Creato da lilith_0404 il 20/02/2005

A Room of One's Own

This is my letter to the world, That never wrote to me, The simple news that Nature told, With tender majesty. Her message is committed To hands I cannot see; For love of her, sweet countrymen, Judge tenderly of me!

 

 

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ROM

Post n°229 pubblicato il 15 Agosto 2007 da lilith_0404

Quando la domenica vado al cimitero con mia mamma é sempre lì, in piedi vicino al cancello d’ingresso. Non è sempre la stessa, si alternano una un po’ più vecchia, un’altra apparentemente più giovane di qualche anno, una ragazza graziosa a suo modo,  ma con uno sguardo sempre triste, a differenza della prima che invece il sorriso non lo fa mai mancare, facendo brillare la capsula d’oro che le ricopre uno dei denti..

Spesso ci sono anche dei bambini con loro, la più giovane un bambino deve averlo avuto anche di recente, la sua figura ha mostrato chiaramente il procedere della gravidanza, poi per qualche settimana non si è vista, e al ritorno, era di nuovo senza pancione, ma sempre con lo stesso sguardo triste.

Ferme in piedi a lato dell’ingresso, salutano chi entra e chi esce,  solo un saluto, ma senza chiedere nulla, dopo tanti anni quello che aspettano si sa, non c’è più bisogno di chiedere. Se allunghi la mano con una moneta, porgono il piattino per riceverla e ringraziano, a volte invece il piattino è appoggiato sui gradini , con i pochi spiccioli raccolti. 

Solo una volta la più vecchia mi ha fermato, all’epoca usavo portare delle gonne ampie e lunghe, molto zingaresche. Ne avevo diverse, le aveva notate, mi chiese se ne avessi di smesse, da  regalarle. Ma lo chiese con garbo, senza insistenza, scusandosi di essere forse importuna. 

Mi ha fatto pensare a loro il post di Rosalux. Mi rendo conto che le ‘mie’ zingare non sono esattamente lo standard. Ha ragione Pelino, nei commenti al post di Rosalux,  i nomadi fanno paura alla stragrande maggioranza degli italiani, e non è solo un problema italiano.

Leggevo un articolo su una rivista qualche tempo fa, che anche nel loro paese d’origine, in Romania, sono considerati cittadini di serie B, e in Europa in nessuna nazione godono di simpatia e protezione, non sono considerati minoranza linguistica, perché non hanno una lingua scritta,  e vivono per lo più ammassati in campi che le popolazioni residenti tollerano molto malvolentieri, perché dove ci sono loro si ha la precisa percezione che aumentino i furti e la criminalità.

Pelino ha citato l’operato di don Colmegna a Milano. Ho letto che è stato tra i promotori di quello che è chiamato ‘patto di legalità e socialità’  tra comune di Milano e comunità Rom: chi ha aderito si è impegnato a mandare i bambini a scuola, avere la residenza nel comune, non avere carichi giudiziari pendenti, non essere dedito all’accattonaggio. Chi non ha aderito, ha dovuto lasciare il campo di Via Triboniano, che il comune ha ripulito e reso meno invivibile, dotandolo di container e roulotte in luogo delle tende e dei rifugi di fortuna che lo ingombravano in precedenza.

Ma chi è stato allontanato, che fine ha fatto?  Lungo i navigli, oppure a occupare case abbandonate prive di luce e acqua, o sotto i ponti, come quella famiglia  di cui i giornali hanno parlato in questi giorni.

Ricordo che mio papà mi raccontava che quando era bambino, nell’aia della casa di mio nonno gli zingari di passaggio fermavano i loro carri, finché stavano in paese. Si mantenevano facendo piccoli lavori, calderai, stagnini.

Ma erano altri tempi,  ospiti e ospitanti  all’epoca erano tutti povera gente.

 

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Commenti al Post:
elioliquido
elioliquido il 15/08/07 alle 11:24 via WEB
Alcuni anni fa un mio collega stava lavorando nel proprio orto. Sua moglie era anch'essa in cortile con il figlio. Le porte di casa erano tutte aperte, il terreno recintato seppur col cancello aperto. Ad un certo momento lui entra in casa, forse per bersi un bicchiere d'acqua. E vede una zingara che tranquillamente se ne esce dalla cucina, attraverso la porta-finestra che dava sulla terrazza. È fuggita all'arrivo di lui, ma era entrata, sia pure senza che se ne accorgessero, mentre loro stavano lì intorno. Senza alcun timore, senza alcun problema, come il migliore dei ladri da appartamento. Ho già scritto un commento abnorme da Antonia, per cui è meglio che non insista, e non avrei nulla di più da dire :-) Comunque il primo problema con gli zingari è il loro modo di rapportarsi alla struttura sociale degli stanziali, o viceversa della struttura degli stanziali rispetto a loro. Viviamo in uno spazio condiviso dove ci vogliono delle regole univoche, ma le loro sono diverse ed in contrasto con le nostre. In ogni caso quando c'è integrazione, sono loro che sono obbligati a perdere la loro specificità. Quando non vogliono perderla, restano dei predoni e non c'è alternativa. Tu scrivi del fatto che non c'era molta differenza di ricchezza (o povertà) tra loro e "noi". Ma la ricchezza, al di là della discutibilità di certi modi con cui è ed è stata accumulata dai "noi", è raggiungibile solo da una civiltà stanziale, che per questa sua caratteristica ha modo di organizzarsi in un determinato modo. Per cui la condivisione di ricchezza (quanta che sia) con il nomade non potrebbe passare altro che per l'elargizione di contributi. Ma i contributi rammolliscono l'animo, e poi è probabile che certuni tra loro li incamererebbero, e continuerebbero nelle loro attività predatorie. Non siamo più al tempo di Alessandro Magno o di Attila (che tra l'altro bastonavano, mica entravano dicendo compermesso), dove il nomade poteva arricchirsi più dello stanziale. Per cui nel rapporto tra noi e loro oggi, la differenza di ricchezza, che poi li induce ad essere predoni, non può che restare tale. Secondo me al momento non si è prospettato alcun patto, con loro, che non implichi la sparizione di gran parte della loro cultura.
 
 
lilith_0404
lilith_0404 il 17/08/07 alle 10:11 via WEB
ho letto il tuo intervento da Ossimora, e sono abbastanza d'accordo con quello che scrivi. In merito poi al fatto che, come scrivi tu, ''quando c'è integrazione, sono loro che sono obbligati a perdere la loro specificità. Quando non vogliono perderla, restano dei predoni e non c'è alternativa', mi chiedo quanto questa specificità sia per loro una scelta e quanto invece una situazione che subiscono. E' un dubbio che mi pongo spesso, non solo riguardo ai Rom, ovviamente: se potessero veramente scegliere, vorrebbero davvero vivere come fanno, ammassati in campi senza alcun tipo di comodità e senza alcuna sicurezza, o si adattano a questo solo perché per nascita non hanno alternative?

io non la so la risposta...

 
   
elioliquido
elioliquido il 17/08/07 alle 15:43 via WEB
Penso che sia proprio perché non hanno alternative. Loro sono, per certi aspetti, come erano gli indiani d'America. Ma lo spazio è condiviso, ed il loro modus di vita ed il nostro non consentono di stringerci un po' ciascuno, lasciando spazio all'altro. O lo si fa in modo sproporzionato rispetto al numero di uno e dell'altro popolo, oppure significa relegarli in qualche riserva. E vediamo che risultati ha comportato. Del resto, secondo me questa cosa fa parte dell'evoluzione. Tutti i popoli furono nomadi, e questo è ovvio anche se noi non c'eravamo. Se non altro perché nessuno è nato imparato, e per coltivare la terra, allevare animali, costruire case (che sono il fondamento della stanzialità), bisogna iniziare a farlo, apprendendo autonomamente. Il nomadismo ha bisogno di terre senza confini. Dovremmo andare noi a vivere in riserva, per lasciar spazio a loro, lo spazio di cui necessiterebbero per non vivere in condizioni indegne. Attualmente alcuni di loro si sono "convertiti", ma va da sé che questo comporta la perdita di tutta la loro specificità. Ci sono svariati popoli, anche molto più numerosi di loro, che hanno dovuto perdere la propria specificità, per inserirsi nei nostri meccanismi occidentali. Tra questi tutti i neri d'America, una buona parte addirittura di quegli stessi che stanno in Africa. D'altra parte il nostro sistema ha dei costi (in termini di libertà e possibilità di autoesprimersi), e dei benefici. Spesso i singoli occidentali stessi, si sentono privati di qualcosa. Io più di una volta avrei preferito lavorare di meno, guadagnare di meno, e vivere in funzione di questo. Ma non è dato. Non esiste lavorare di meno, se non restando tagliati fuori da una buona parte del mercato del lavoro. Gli zingari, se potessero vivere secondo il loro stile "naturale", sarebbero nomadi. Vale a dire spostarsi da un posto ad un altro, che contenga quanto a loro serve per vivere. Poi, quando le condizioni vengono meno, spostarsi nuovamente in un altro sito. Non credo che ruberebbero. Il fatto è che gli abbiamo (noi: per capirsi) preso ogni spazio, e loro devono cavarsela in qualche modo. Qui dietro casa mia hanno costruito un bel po' di case negli ultimi anni. Prima c'erano degli appezzamenti coltivati, e dalla finestra della mia ex-camera potevo vedere passeri e gatti che cercavano di catturarli. Se tutto venisse cementificato, i gatti potrebbero cominciare (tanto per dire) ad entrare nelle case per rubare un pezzo di carne appoggiato temporaneamente sulla tavola. Oggi per i rom il problema si dev'essere ulteriormente evoluto. Perché ormai vivono spesso come dei quasi stanziali, nei cosiddetti campi-rom, ma ci stanno come se per loro fosse una sistemazione provvisoria. Vivono da stanziali, ma come fossero ancora nomadi. E come nomadi non concepiscono assolutamente la presunta necessità del lavoro per procurarsi il necessario, poiché il lavoro del nomade non è altro che la raccolta di ciò che già c'è, senza che ci debba essere alcun intervento da parte sua per far sì che ciò che vorrebbe raccogliere, si produca in modo incentivato. Per loro, come per altri popoli, il primo problema di convivenza con l'occidentale, è quello di concepire il lavoro, quello per produrre reddito (e/o comunque qualcosa che supera il fabbisogno immediato, anche di molto), come una necessità che non si pone in discussione. E qui "cascano" anche popoli stanziali più vicini a noi. Se non altro perché c'è una differenza tra le quantità di reddito eccedente che siamo e sono disposti a produrre (il che ha un costo in fatica che si potrebbe considerare inutile, in stress, in tempo disponibile per altro, non ultimo ampliare la propria visione della vita).
 
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