Creato da lilith_0404 il 20/02/2005

A Room of One's Own

This is my letter to the world, That never wrote to me, The simple news that Nature told, With tender majesty. Her message is committed To hands I cannot see; For love of her, sweet countrymen, Judge tenderly of me!

 

Messaggi di Maggio 2007

Letture

Post n°211 pubblicato il 27 Maggio 2007 da lilith_0404

immagineDa quando Ossimora, e SandaliAlSole e VegaLyrae mi hanno chiamato a giocare, mi sono chiesta a lungo con quale criterio scegliere i cinque libri da elencare, e soprattutto quali libri scegliere. Narrativa, certo. E qui immediatamente l’imbarazzo della scelta: la Yourcenar, ha certo influito profondamente sul mio gusto, con la sua scrittura disincantata e sobria, aliena da sentimentalismo fino quasi al limite del cinismo. Ma anche Tomasi di Lampedusa, con il Gattopardo. Per contro ho amato appassionatamente i romanzi della Bellonci, le sue biografie che sono anche saggio storico: uno su tutti, Rinascimento Privato. Molto più che gli scrittori contemporanei, sono i classici dell’ottocento a riscuotere i miei favori, e benchè considerati libri per ragazzi, sarei tentata di includere i romanzi di Jack London, la sua saga del grande Nord,con Zanna Bianca, e il Richiamo della foresta nella mia lista: non sono possessiva per quanto riguarda i libri, periodicamente faccio pulizia e quelli che non mi hanno  appassionato li metto da parte. Ma Zanna Bianca, quando mi sono accorta di non averlo più, perché probabilmente qualche nipote l’ha preso in prestito senza più restituirlo, sono andata a ricomprarlo. E già con questi, i cinque titoli sarebbero stati esauriti. Però sarebbe stata una descrizione parziale dei miei gusti di lettura, perché buona parte di quello che leggo sono saggi e biografie. Quali scegliere, quali sono stati significativi o lo sono ancora? Due titoli mi vengono subito in mente: L’arte di amare, di Eric Fromm, l’unico libro di cui in casa ci son due copie, e Etica per un figlio, di Savater. Non sapendomi decidere su quali titoli includere e quali tralasciare,  alla fine, ho optato per elencare non già cinque libri che ho letto in passato, ma cinque libri che mi sono piaciuti tra gli ultimi che ho letto, e che sono significativi di quello che cerco nella lettura. 

 

Andiamo a incominciare.

 

Il primo libro che ho scelto  intreccia le vicende di cinque ragazze, tre sorelle di una famiglia borghese, soggetta ad un improvviso rovescio di fortuna, ed altre due sorelle avviate fin da bambine al lavoro nelle filande: sullo sfondo, le vicende politiche dell’Irlanda di fine ottocento:

‘’Ricordo ancora la curva cupa del viso di mia sorella la sera in cui i nostri genitori la riportarono a casa dal collegio. I suoi occhi avevano lo sguardo spaventato di una persona smarrita, catapultata di colpo da un paese familiare in un altro universo. Su tutta la casa era scesa quell’atmosfera di quieta, ammutolita attesa che ormai da tempo avevo imparato ad associare  al pallido sorriso a denti stretti della mamma, e al silenzioso lisciarsi i baffi del papà”

(Catherine Dunne – Una vita diversa )

 

Il secondo, è l’incontro tra un nobile genovese, e una giovane figlia di un mercante di Damasco, nel corso dello scontro che oppose i cavalieri di Malta e l’esercito del sultano Solimano, che vuole conquistare l’Isola per farne una testa di ponte nel Mediterraneo. Alla storia inventata fa da contorno una ricostruzione storica e una coreografia di personaggi e di vicende realmente esistiti, e questa è una cosa che mi piace molto trovare in un romanzo:

“Febbraio 1565.

Guardando la costa che s’allontanava lentamente, Girolamo Doria comprese d’essere salpato dalla propria gioventù. Quell’illuminazione non l’emozionò, semmai regalò un senso più profondo al suo viaggio. Come ogni genovese era nato nel grembo del mare. Ma l’idea di possedere quella grande distesa di poterla solcare ricavandone onori e prestigio, s’era affacciata in lui soltanto quando lo zio Antonio, luogotenente di Andrea Doria, l’aveva condotto, ancora bambino, al cospetto dell’ammiraglio.”

( Patrizia Carrano – Le armi e gli amori)

 

Il terzo è una storia di emigrazione. Quella degli Italiani del secolo scorso. Protagonisti, Diamante, un ragazzino di dodici anni, e Vita, una bambina di nove, che insieme partono da Napoli verso la terra promessa, l’America. Correva l’anno 1903.

“La prima cosa che gli tocca fare in America è calarsi le brache. Tanto per chiarire. Gli tocca mostrare i gioiellini penzolanti e l’inguine ancora liscio come una rosa a decine di giudici appostati dietro a una scrivania. Lui, nudo, in piedi, desolato e offeso, quelli vestiti, seduti, tracotanti. Lui con le lacrime aggrappate al battito di un ciglio, quelli che soffocano risolini imbarazzati, tossicchiano, e aspettano. La vergogna è inizialmente centuplicata dal fatto che indossa un paio di brache di suo padre, gigantesche, antiquate e logore, talmente brutte che non se le metterebbe nemmeno un prete. Il problema è che i dieci dollari necessari a sbarcare sua madre glieli ha cuciti proprio nelle mutande, perché non glieli rubassero, di notte, nel dormitorio del piroscafo. In quei dormitori, - è cosa risaputa, nelle interminabili dodici notti di viaggio sparisce di tutto, - dai risparmi ai formaggi, dalle teste d’aglio alla verginità,- e niente si ritrova.”

(Melania Mazzucco – Vita)

 

Il quarto è la biografia di Emily Dickinson scritta da Alessandra Cenni.

“Magnifica la vallata del Connecticut distende foreste luminose di aceri, platani, abeti, fino ai prati costellati di ranuncoli, stretti dai fiumi. Tra i vividi colori trasmutati dalla stagione, evapora una nebbia leggera dalle paludi non lontane. Homestead è un bell’edificio di stile neoclassico, circondato da alberi da frutto, e da siepi di Biancospino.: si erge con austerità eloquente sul vivace villaggio di Amherst, e sulle sconfinate campagne del Massachusetts. Dalla protettiva penombra della stanza, lei poteva meglio guardare nell’ampia luminosità diffusa”

(Alessandra Cenni – Cercando Emily Dickinson)


per l’ultimo, ero  indecisa tra “Un passato che ritorna”, di Valerio Castronovo che ho comprato, ma di cui per il momento non sono andata oltre l’incipit, o “La mente colorata – Ulisse e l’Odissea” , un saggio sui miti e i motivi del poema di Omero. Scelgo quest’ultimo:

“ Ancora prima di nascere, Apollo fu temuto dalla Grecia.Soffrendo per i dolori del parto,Leto peregrinava lungo le terre e le isole dell’Egeo: era la più amabile delle dee, e possedeva tutte le qualità che il figlio avrebbe violentemente ignorato. Chiese di essere ospitata. Ma le terre e le isole conoscevano Apollo prima che nascesse, e tremavano al pensiero di vederlo calcare il loro suolo. Rifiutarono, e così il Dio conobbe il dolore e la difficoltà di venire al mondo, come gli esseri umani.Infine Leto si rivolse a Delo, la più piccola e oscura delle isole dellEgeo.Le offrì un tempio.Anche Delo tremava.Temeva che il giovane Dio la disprezzasse e calcandola con i piedi la sprofondasse nelle acque del mare.Allora i flutti l’avrebbero sommersa, i polpi avrebbero fatto i loro covi sopra di lei, le foche avrebbero abitato la sua superficie deserta. Leto giurò:<< Qui esisterà sempre l’odoroso altare di Febo, e il suo santuario, ed egli ti onorerà più di qualsiasi altra terra.>> Solo allora Delo accettò di accogliere la madre e il figlio.”

(Pietro Citati, La mente colorata - Ulisse e l'Odissea)


Ora dovrei passare il testimone,  e la cosa non è come dirla, perché più d’una delle persone a cui potrei fare riferimento il gioco l’ha già fatto, o é comunque già stata nominata. Amoildeserto, e  Lupopezzato, sono stati nominati da VegaLyrae, ma ancora non ho visto che abbiano accolto l’invito, e quindi mi associo a Vega nel sollecitarli. Thanksgodisfriday, Quotidianamente e Thefairyround, se avranno piacere di partecipare al gioco, a me farebbe piacere poter leggere le loro scelte.

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L'uovo

Post n°210 pubblicato il 24 Maggio 2007 da lilith_0404

immagine"Che importa se sei nato in un pollaio, se sei uscito da un uovo di cigno?" mi scrive brenca nei commenti al mio post 206. Questa domanda mi ha fatto ricordare una storiella che ho letto tempo fa nel blog di Madame_de_Tourvel. La riporto, tradotta molto liberamente, perché temo che il mio francese sia alquanto approssimativo. Credo comunque che il senso sia rispettato. Eccola:

<< C’era una volta un giovane guerriero che prese un uovo dal nido di un’aquila e lo mise a covare nel pollaio. Quando l’uovo si schiuse, ne uscì l’aquilotto e crebbe in mezzo ai pulcini,  beccando il proprio cibo come gli altri suoi compagni. Un giorno, guardando in alto, vide un’aquila che volteggiava sopra di lui. Sentì fremere le proprie ali, e disse a uno dei polli : “come mi piacerebbe fare altrettanto!” “ non essere sciocco, rispose il pollo, solo un’aquila può volare così in alto”  Vergognandosi del proprio desiderio, la piccola aquila tornò a razzolare, e non rimise più in discussione il posto che credeva di aver ricevuto su questa terra.>>

La risposta pertanto alla domanda iniziale, è quella che ho già scritto nel commento citato: il luogo dove si nasce ci dà l’imprinting, qualunque sia l’uovo da cui si esce, e condiziona inevitabilmente il modo in cui si percepisce sé stessi e il proprio posto nel mondo. Poi, certamente, le circostanze della vita potranno anche correggere alcune impostazioni, ma anche le circostanze che si potranno vivere, e che apporteranno tali correzioni, non saranno, in buona sostanza, il risultato delle condizioni iniziali,  come dicevo nel post precedente,  a cui dunque si dovranno comunque far risalire anche le correzioni di rotta successive?

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Contessa

Post n°209 pubblicato il 23 Maggio 2007 da lilith_0404

immagineDel resto mia cara di che si stupisce
anche l'operaio vuole il figlio dottore
e pensi che ambiente che può venir fuori
non c'è più morale, Contessa.

I versi di questa vecchia canzone di protesta mi son tornati in mente leggendo un articolo pubblicato su La Voce.info 

Se devo dire la verità, i risultati dell’indagine Istat che sono presentati nell’articolo mi sono sembrati addirittura ovvi, e che non ci fosse bisogno di un grandissimo intuito per immaginarli. Tuttavia, il fatto di vederli documentati in modo rigoroso toglie anche quel residuo dubbio che ancora avremmo potuto nutrire. E la verità è questa, che ci piaccia o no: i figli di genitori istruiti, con una laurea, hanno più probabilità di conseguire a loro volta una laurea con buone votazioni, hanno un tasso di abbandono degli studi più basso, si laureano in tempi più rapidi.

Leggendo l’articolo mi è tornato in mente anche un vecchio post di Hesse, in cui l’autrice ironizza sulla posizione di lavoratori precari dei figli dei nostri politici. E mentre ragiono tra me e me su queste evidenze, penso che anche se abbiamo tutti gli stessi diritti e la stessa dignità, tuttavia le condizioni di partenza possono avere un’importanza determinante sul risultato della corsa: nascere in una famiglia piuttosto che in un’altra può fare una certa differenza, in termini di opportunità che si possono cogliere, anche senza che ci sia malafede o nepotismo da parte di nessuno.

Nel momento in cui si nasce, insieme al corredo genetico, da cui dipenderà la nostra buona o cattiva salute, la nostra buona o mediocre intelligenza, ci troviamo forniti anche di una famiglia da cui dipenderanno le opportunità a cui potremo o non potremo aspirare, una carta insieme alle altre con cui dovremo cercare di giocare al meglio la nostra partita.

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La mia Beatrice

Post n°208 pubblicato il 19 Maggio 2007 da lilith_0404

immagine“C'è sempre un'altra donna ben radicata nei momenti chiave di crescita, di nascita, di dolore, di cambiamento, di morte.”

Riflettendo su  queste parole che  Odio_via_col_vento scrive  nel suo post n.147 il pensiero ritorna alle donne che ebbero per me quel ruolo che Dante attribuì a Beatrice, di accompagnarmi dove dovevo arrivare, scomparendo dalla mia vita dopo averlo assolto.

Il mio primo spirito guida fu certamente una amica che avevo  a quindici anni. La incontravo alla domenica, all’oratorio delle suore. Era più vecchia di me di un anno, e non ricordo come diventammo amiche. Frequentava il liceo, e forse era questo ad affascinarmi, perché all’epoca io a scuola non ci andavo.

Quando superai l’esame di licenza media, inizialmente i miei genitori  decisero di trovarmi un posto di lavoro, in qualche laboratorio del paese. Trovarono effettivamente un’artigiana che mi avrebbe preso a lavorare a settembre, al rientro dalle ferie. Era tutto deciso,ero già anche andata in comune a fare il libretto di lavoro, ma in quel laboratorio non  misi mai piede

Un giorno di quell’estate, la mia amica mi invitò ad unirmi a lei e ad un’altra sua compagna di classe per andare alla palestra della scuola, per un allenamento in vista di una partita che avrebbero dovuto disputare. Di quel giorno l’unica cosa che ricordo fu che ritornai a casa bagnata come un pulcino, perché la corriera ci aveva lasciato al paese precedente a quello dove si trovava la scuola, e avevamo quindi un bel tratto di strada da percorrere a piedi, ma mentre camminavamo scoppiò un temporale e ci inzuppammo fino al midollo.

Però dopo di allora cominciai a far opera di persuasione con i miei genitori, e da settembre la corriera del comune che serviva al trasporto studenti mi scaricò regolarmente davanti alla scuola, per i successivi cinque anni.

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Il fumo e l'arrosto

Post n°207 pubblicato il 14 Maggio 2007 da lilith_0404

immagineNon so se il fatto che se ne parli tanto sia una moda o il sintomo di un aggravarsi del problema;  ovvero se tali fatti siano sempre avvenuti e semplicemente un tempo venissero coperti e passati sotto silenzio.

Di certo la parola stessa, pedofilo, non ricordo di averla neppure conosciuta fino ad un’epoca relativamente recente. Al contrario oggi la cronaca ce la propone con inquietante frequenza, da ultimo in occasione di un episodio, di cui parla anche MARIONeDAMIEL nel suo post 410. 

E se da un lato condivido integralmente le argomentazioni che Odio_via_col_vento ha sviluppato in proposito nel suo post n.139, dall’altro, avendo seguito, sia pure indirettamente, le vicende di alcune persone che da simili accuse sono state alla fine prosciolte con formula piena non mi sento di essere io a scagliare la prima pietra.

I bambini devono avere la priorità, é vero, perché quel che viene fatto a un bambino lo segnerà e lo condizionerà per tutta la vita. Però, attenzione a gettare il fango di una accusa così infamante a caso, senza che ci siano delle sicurezze alla base, perché il rischio é di fare altrettanto male e altrettanto danno, non solo alle persone direttamente coinvolte.

Una accusa del genere, non sporca solo chi ne é incriminato, ma anche tutti quelli che gli sono vicini. Il tribunale sottrae i figli a chi é sottoposto a una tale accusa, con conseguenze a lungo termine per i ragazzi che non sono sicuramente auspicabili. E l'ombra del sospetto si estende a genitori, fratelli, coniugi. Il lavoro ne risulta compromesso, spesso in modo irreversibile, con le ulteriori conseguenze a lungo termine sulla famiglia.

“Far conoscere dov'è il pericolo, equivale a difendere il futuro di tutti”, scrive Odio_via_col_vento. Ma se poi effettivamente erano accuse infondate, chi potrà riparare il male fatto?

E' una responsabilità grande, quella di chi deve formulare le accuse.  Sbattere, come si é fatto, i mostri in prima pagina, é una cosa da fare solo quando le prove siano certe e inoppugnabili, e non quando ci sia solo un sospetto non supportato da riscontri sicuri.

Il fatto poi che i criteri dei tribunali siano troppo restrittivi, e lascino andare impunito chi é effettivamente colpevole, come scrive Odio_via_col vento nei commenti al post di MARIONeDAMIEL citato, credo che sia una questione diversa. Lì si tratta di definire diversamente i criteri che definiscono il reato, e sono d'accordo che, specialmente quando ci siano coinvolti dei bambini, i criteri debbano essere molto più severi e restrittivi.

  

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Vecchi cortili dove il tempo non ha età...

Post n°206 pubblicato il 07 Maggio 2007 da lilith_0404

immagineLa casa sul confine della sera
oscura e silenziosa se ne sta,
respiri un' aria limpida e leggera
e senti voci forse di altra età...

L’aia davanti alla casa d’estate si trasformava in una distesa di grano...non spighe di grano nei campi, ma il grano già trebbiato, i chicchi staccati dallo stelo e distesi sull’aia della casa di mio nonno ad asciugare al sole, prima di essere chiusi nei sacchi e portati al mulino.

Una festa per noi bambini camminare a piedi nudi su quella ‘spiaggia’ color miele, lo strato di grano cedevole sotto il nostro peso come la sabbia in riva al mare,  i piedi che affondano nel grano che si richiude ad abbracciare le caviglie... e poi tuffare le mani nei chicchi, caldi sotto il sole, farli scorrere fra le dita e sentirne il profumo, assaggiarne il sapore..

Sul finire dell’estate invece era il granoturco a venire scaricato dai carri, le pannocchie ancora avvolte dalle brattee, e allora le donne si sedevano in circolo,  a ‘scarfogliare’ ,  e poi a sgranare le pannocchie dorate, mentre  dal cortile della casa di fronte, dove era sistemato un essiccatoio, si spandeva nell’aria il profumo caldo e buono del granoturco messo a seccare. Succedeva a volte che  la nonna accendesse il fuoco nel grande camino nella sua cucina, e allora si facevano i fu-fuch: così chiamavamo le pannocchie non del tutto mature che si abbrustolivano sulle braci per poi mangiarle.

Ora non esiste più nulla di tutto questo. Le vecchie case sono state ristrutturate e convertite in confortevoli dimore fintamente rustiche, nelle aie trasformate in giardini il grano non viene più steso a seccare, e l’estate non ha più lo stesso profumo.

La casa sul confine dei ricordi,
la stessa sempre, come tu la sai
e tu ricerchi là le tue radici
se vuoi capire l'anima che hai.

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La bella la va al fosso...

Post n°205 pubblicato il 06 Maggio 2007 da lilith_0404

immagineIn parte alla casa  c’era un piccolo orto, cintato con una rete metallica sulla quale fiorivano rose rampicanti, roselline selvatiche , semplici, con solo un giro di petali; e in parte all’orto, scendendo un paio di gradini si accedeva al fosso... questo costeggiava per tutta la sua lunghezza la stradina sterrata che arrivava fin davanti al cancello del cortile, passava sotto la strada e riemergeva in parte all’orto, per poi proseguire il suo corso sul retro della casa.

In alcuni punti, sulla riva del fosso erano sistemate delle lastre di pietra sulle quali le ragazze del vicinato si inginocchiavano a lavare i panni, facendo attenzione quando li immergevano a non farli scivolare dalle mani, perche’ l’acqua li avrebbe trascinati via.

Stavo ad osservarle, a volte, nelle calde giornate d’estate, seduta sulla pietra e con i piedi nell’acqua, troppo piccola ancora per quel lavoro, ma affascinata dai gesti, dalla maestria con cui le vedevo insaponare e  spazzolare,  risciacquare e strizzare.

Oggi, il fosso é stato coperto, e la strada allargata e asfaltata, ma a volte quando passo, ricordando come era, ripenso a una canzone che cantavamo:

La bella la va al fosso.
Ravanel, gremolass, barbabietole e spinass
Tre palanche al mass
La bella la va al fosso, al fosso a resentar...

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Lucciole

Post n°204 pubblicato il 05 Maggio 2007 da lilith_0404

immagineLoeseri ve a bas,
che ta ciama tò ghidas,
che ta ciama tò sorela,
loeseri ve a tera.

Le  parole della filastrocca che cantavamo alle lucciole, nelle sere d’estate,  riaffiorano alla memoria  leggendo nel post di SandaliAlSole  l’attesa della sera seduti a chiacchierare, il silenzio interrotto dai rumori dei giochi dei bambini . E  mi riporto col pensiero indietro di tanti anni, ai tempi in cui anche io ero bambina, e una scena simile si ripeteva quasi ogni sera, nei lunghi mesi dell’estate, nel grande cortile su cui si affacciava la mia casa e quelle dei miei cugini, tutte cresciute intorno a quella più antica, la casa del nonno.

La casa di mio nonno non era una cascina sperduta nelle campagne della Bassa : sorgeva in parte alla chiesa, a cento metri dalla piazza.

Ma tutto il paese a quel tempo non era altro che una manciata di cascine strette intorno al campanile,ognuna con la sua aia, la stalla, l’orto. Le finestre di alcune stalle davano direttamente sulla strada, e passandoci accanto, per andare a scuola o per andare a fare la spesa,  si sentivano i fruscii dei movimenti degli animali all’interno, il mugghiare delle mucche, l’odore acre dello strame.

E nelle sere d’estate, mentre le donne sedute in cortile prendevano il fresco chiacchierando, capitava di vedere il buio appena interrotto dalla piccola luce intermittente delle lucciole, invano inseguite dalla voce dei bambini che cercavano di prenderle:

loeseri ve a bas,
che ta ciama to ghidas,
che ta ciama to sorela,
loeseri ve a tera.

             

        

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