Il professionista

Giocatori di carte nei dipinti

Con un cinismo che non aveva motivo d’essere, mi sono detta: vediamo un po’ come scrive un ex-giocatore professionista di poker. Ora, posto che Andrea Piva è innanzitutto narratore e sceneggiatore con all’attivo diversi riconoscimenti, perché quel lieve corrugarsi della fronte, quel dubitare meschino? Spiegazione non c’è, ma resta il fatto che se la didascalia a corredo dell’immagine del suo nuovo romanzo non fosse stata rivelatrice di quell’antica passione, difficilmente avrei approfondito. Anzi, avrei “messo tutto in un’alzata di spalle”, come dice proprio Piva nel brano che segue. Ma per tornare alla domanda iniziale: come scrive un giocatore di poker?, la risposta è: benissimo. E in base a quanto letto, sarebbe un azzardo averlo al tavolo da gioco.

Le notizie luttuose ci colpiscono due volte.

Quando ci arrivano all’orecchio, e quando ci raggiungono davvero. Tra l’una e l’altra cosa viviamo come in terza persona; il nostro inconscio, bambino difficile, ci chiede di passare oltre: non vediamo? prima ci sono problemi più importanti da affrontare. Noi non ci facciamo pregare, per carità, ci fidiamo, e per qualche tempo andiamo avanti come se niente fosse con le nostre vite. Ma siamo già feriti pure se non lo sappiamo, e prima o poi il dolore ci raggiunge comunque, di solito mentre ci occupiamo d’altro. Io per esempio non ricordo di avere sofferto granché quando ho saputo che Renata si sposava. Mi è successo dopo. Lì per lì sono rimasto sorpreso, ma era solo che da lei non mi aspettavo un matrimonio, non certo che provasse a costruire qualcosa di decente con qualcuno. Per come erano andate le cose tra noi negli ultimi tempi era ovvio che quel qualcuno non potevo essere io, quindi, pazienza. Ho messo tutto in un’alzata di spalle e non ci ho pensato più, almeno fino ai giorni della cerimonia. Neanche su quello ho ragionato troppo. Ci sono andato e basta. Se mi aveva invitato si doveva aspettare che ci andassi sul serio: non era proprio il tipo da fare il gesto solo per la forma, ed era molto nel suo stile mostrarsi disinvolti ai limiti dell’indifferenza in fatto di sesso come in fatto di amore. Renata era così, una specie di rockstar, sempre al di sopra delle leggi di costume. Per il resto del mondo quell’invito presentava come minimo una questione di opportunità, dato che ufficialmente noi due non ci eravamo neanche mai lasciati; per lei, figuriamoci. Se pure ci aveva pensato, e non è detto, doveva esserle sembrato dettaglio marginale.

Piuttosto, dal mio punto di vista sarebbe interessante capire come mai ci sono andato davvero, a un matrimonio che sulla carta avrei dovuto solo ignorare o detestare. E non sono sicuro che la risposta mi piaccia. Temo infatti sia stato più che altro per darmi un tono, per mostrare a me e a Renata che non ero meno liberato di lei solo perché conducevo una vita più ordinaria della sua. Ma in realtà sapevo pure benissimo che al ricevimento avrei potuto presentarmi con un alieno al guinzaglio senza che questo cambiasse di una virgola la sua percezione di me. Per lei, abituata alle stravaganze del gran mondo della moda, io sarei sempre restato il dottorino di provincia di quando mi aveva conosciuto. Quindi alla fine sembrerebbe da rubricarsi tra le più banali questioni di principio, se non fosse che la mia esperienza di psichiatra mi ha insegnato a guardare sempre con sospetto alle questioni di principio, che spesso servono solo a nasconderci motivazioni meno pure di quanto vorremmo, e più articolate. Insomma adesso non mi meraviglierei di scoprire che il mio quadro psicodinamico fosse molto più complesso di come lo sto ricostruendo qui. Può ben essere per esempio che io fossi invece talmente sotto shock all’idea di perderla da rifugiarmi senza saperlo in un meccanismo di diniego, con tanto di narrazione sostitutiva. E magari al matrimonio ci sono andato per qualche altro motivo profondo che ancora non vedo. A volte i lutti funzionano così. Prima di svelarsi per quello che sono, ci fanno vivere la vita in sospensione, macchinalmente, come se in casa non ci fosse nessuno”.

Andrea Piva, La ragazza eterna

Immagine: Theodoor Rombouts, Giocatori di carte