Frontiere colabrodo e rischio di contagio globale

Ave Socii

Da quanto tempo sentiamo dire dai fascio-buonisti che bisogna accogliere tutti i disperati della Terra? Che le frontiere vanno abbattute? Che non bisogna avere paura dell’altro? Che chi la pensa diversamente dai buonisti vuole solo alimentare lo scontro fra poveri, la divisione, l’odio? Ebbene, oggi ci troviamo a dover fronteggiare un nemico comune, che non fa differenze tra ricchi e poveri, tra benestanti e disperati, tra buonisti e non. Un nemico che le autorità cinesi hanno celato per settimane, forse per evitare che gli affari nel periodo natalizio si contraessero troppo. Un nemico che ora, per l’inerzia più o meno intenzionale della Cina, rischia di divenire una vera e propria pandemia mondiale.

Oramai il danno è fatto. Adesso non c’è più da interrogarsi su chi per primo ha avuto colpa di indolenza. Siamo giunti al punto che ogni Stato inizi a pensare con la propria testa. Interroghiamoci su quali conseguenze può avere un virus contagioso in Stati o interi continenti in cui la salute è tutt’altro che garantita. In Africa, ad esempio. Il continente africano intrattiene rapporti commerciali strettissimi con la Cina. E’ inevitabile che un virus possa proliferare in quei luoghi dove non esiste un’attenzione per l’igiene così sviluppata come la intendiamo noi. Per di più, in aree del genere non è neanche facile rilevare il numero effettivo di contagi.

L’Europa, a questo punto, dovrebbe garantire maggiori controlli lungo le proprie frontiere. Ne va della sicurezza dei cittadini europei. Pensare ora di aprire le porte ai migranti dell’Est e dell’Africa sarebbe un suicidio. Non per i migranti dell’Est e dell’Africa, ma per il concreto rischio di contagio. Chi entra irregolarmente in Europa spesso non è neanche controllato. Come facciamo a sapere se lungo il suo peregrinare ha contratto o meno delle malattie? Già è difficile riscontrare delle malattie attraverso i migliori controlli, soprattutto nelle prime fasi del contagio. Figuriamoci se i controlli non vengono proprio effettuati. Forse nemmeno le frontiere serviranno a molto, in una società globalizzata come la nostra. Nel dubbio, tuttavia, crediamo che in situazioni simili sia meglio averle che non.

Tra comunicati ambigui, da parte dell’Oms, e frontiere colabrodo, da parte dell’Europa, la situazione appare quanto mai incerta. A livello europeo, ma anche italiano, la politica dovrebbe rendersi finalmente conto a quali conseguenze può portare la promozione dell’immigrazione incontrollata. Speriamo, almeno ora, che anche il governo italiano cominci a riscoprire l’utilità delle frontiere. Che chi è contrario all’immigrazione incontrollata non lo è per mera ideologia, ma per utilità pratica e sicurezza. Che spesso ha molta più ideologia in corpo chi vuole l’accoglienza a tutti i costi, sempre e comunque. Che il problema dell’immigrazione non sta nei Paesi che non vogliono accogliere, ma nei Paesi da cui i migranti partono. E che è lì che bisognerebbe garantire più servizi, più istruzione, più lavoro, più salute.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Strade sempre più insicure, soprattutto per i pedoni

Ave Socii

Da tempo immemore, purtroppo, la cronaca mostra che, sulle nostre strade, c’è chi si mette al volante ubriaco o drogato. E c’è ancora chi, tra le forze politiche, è addirittura favorevole ad aumentare il numero di sostanze legalizzate. Come se non bastasse l’alcol, vogliono aggiungere la cannabis e magari pure qualcos’altro. E poi si arrabbiano, quando qualcuno si fa vedere un tantino più “proibizionista”… Allora perché non fermiamo anche la vendita di alcolici? Questo si domandano, dandoci degli ipocriti. Sanno benissimo, furbetti, che la vendita di alcolici non si può limitare facilmente. E pensano bene di proteggersi dietro a questo scudo. Ci si sballa con l’alcol, tanto vale sballarsi pure con altro. Perché l’alcol sì e la cannabis no?

Questo giochino del “mettere sotto scacco i proibizionisti”, tuttavia, dà per scontata una cosa che in realtà scontata non è affatto. Ossia, che alcol e droghe abbiano la stessa natura e servano, fondamentalmente, per sballarsi. Questa pericolosa identità è oggi sponsorizzata in primo luogo dai trapper e dai loro testi musicali, tanto amati da giovani e giovanissimi. E’ un’identità pericolosa e fuorviante. Bere alcol non significa necessariamente sballarsi; farsi una canna, invece, conduce sempre ad un’esperienza di sballo. Perché gli alcolici sono degli alimenti, i cannabinoidi dei medicinali. Chi pensasse di trattare l’alcol come una droga tout court, in pratica, giungerebbe a considerare “spacciatori” perfino quei viticoltori che mantengono alto il nome del “Made in Italy” nel mondo. D’altro canto, la cannabis è una sostanza psicotropa che ha certamente effetti benefici su determinate patologie. E, in quanto tale, dovrebbe essere trattata come un farmaco, non come un passatempo ricreativo.

Ritornando a chi viaggia sulle nostre strade, potremmo chiederci perché certa gente si mette a guidare in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti. Probabilmente è gente che soffre, gente depressa che ha bisogno di sballarsi. Gente totalmente incentrata sui propri problemi, perciò incurante di tutto il resto. Una sostanza non provoca sballo finché non è legata ad una particolare esperienza. Bere tre dita di vino a pranzo, accompagnando i pasti, è forse un’esperienza di sballo? Persino la somministrazione controllata di cannabinoidi in ambito sanitario, per curare il morbo di Parkinson ad esempio, non porta ad uno sballo propriamente detto. D’altro canto, chi prima si fa una canna oppure svariati bicchieri di alcolici e poi scorrazza per le strade… Beh, forse ha bisogno di curarsi.

Chi ha avuto particolari esperienze di vita, soprattutto all’interno di famiglie problematiche, tende a cercare al di fuori del nido familiare la propria ragion d’essere. E spesso la trova nel divertimento estremo, nello sballo appunto. Mettere a rischio la vita altrui è forse una componente essenziale di quest’esperienza. Come dire: io ho sofferto tanto e ce l’ho con la società, perciò la società deve capire cosa vuol dire soffrire. A volte il fatto stesso di aver sofferto giustifica, agli occhi di costoro, la sofferenza che può capitare ad altri membri della società. L’invidia nei confronti del mondo li rende pericolosi: si lamentano che la loro vita è un inferno, quando certe volte sono loro stessi a rendere infernale la vita degli altri. E’ forse “libertà di divertirsi” questa? Nessuno può permettersi di affermare la propria libertà, arrivando a negare la libertà altrui.

Mettendosi nei panni di queste persone, si finisce senza dubbio per giustificarle. Le loro “vite difficili” coinvolgono e commuovono. Se sbagliano non importa, l’importante è che prima o poi si redimano… Perché la redenzione è possibile per tutti… Si tratta di un pensiero (purtroppo) assai diffuso oggi, dove sembra che ai criminali sia concesso tutto e che delle vittime tutti si dimentichino. Perché è così che dovrebbe essere considerato uno che scorrazza per le strade in preda allo sballo: un criminale. Il fatto che dei pedoni abbiano attraversato col rosso non giustifica un conducente in stato di ebbrezza che li travolge. Non vogliamo fare la solita predica sul divertimento sano e senza eccessi. Se volete bere, bevete. Se volete drogarvi, drogatevi. Ma per tornare a casa, fatevi almeno accompagnare da chi sta meglio di voi. Ne va non tanto della vostra vita ma della vita altrui, dei pedoni soprattutto.

Purtroppo il clima di buonismo negli ultimi tempi imperante ha varcato pure i confini del diritto. Dinanzi a un sistema che concede attenuanti a persone che “hanno sofferto”, noi rispondiamo con un progetto ri-educativo serio di reintegrazione e reinserimento nella società. Un progetto basato sulla rielaborazione del senso della vita, sull’abbattimento del vittimismo e sulla responsabilizzazione. Crediamo che ai soggetti devianti debbano essere concesse possibilità che magari non hanno mai avuto. Ma non all’infinito. Qualora tale progetto fallisca, infatti, non rimane che trattare queste persone come in effetti vogliono essere trattate: da criminali. E, nel caso risultino nuovamente coinvolte in reati provocati da situazioni di sballo, provvedere alla loro neutralizzazione.

L’applicazione della pena di morte, in realtà, non dovrebbe valere solo per chi viaggia per le strade in preda a droghe o alcol. Dovrebbe valere per tutti coloro i quali mettono a rischio la vita altrui, fra i quali anche spacciatori e assassini. Perché la vita è un diritto sacro e, in quanto tale, nessuno dovrebbe permettersi di insidiarlo. Qualora questo accada, potrebbero aprirsi degli spiragli per un intervento dello Stato nel caso il reo sprechi le possibilità di reinserimento nella società. Speriamo, ovviamente, che interventi tanto drastici non trovino mai applicazione pratica. Tuttavia crediamo che ognuno di noi avrebbe un motivo in più per responsabilizzarsi, se sapesse di rischiare grosso. E’ così strano sentir parlare di morte per i colpevoli, in uno Stato in cui si parla spesso di morte per gli innocenti?

Vostro affezionatissimo PennaNera

Venti di guerra ad inizio anni Venti

Ave Socii

Il decennio appena iniziato si è aperto sotto i peggiori auspici. Il Medio Oriente è in subbuglio, il mondo islamico in fermento, l’Occidente in confusione. L’ultima azione militare di Trump ha letteralmente spaccato l’opinione pubblica. Perfino negli Stati Uniti qualcuno è convinto che si sia gettata una dinamite in una polveriera. Soffiano venti di guerra minacciosi. Guerra in ambito non solo militare, ma anche economico. E’ incominciata la corsa ai beni rifugio e il petrolio ricomincia a salire velocemente di prezzo. I segnali di insicurezza sono più che evidenti.

In tutto questo, Italia ed Europa sono costrette a tentennare. A barcamenarsi da una parte e dall’altra. A dire che l’unico modo per risolvere le questioni è la diplomazia. A non assumere una posizione chiara e definita. Forse non per colpa loro. Questioni tanto delicate non si possono liquidare con semplici atteggiamenti di assenso o dissenso. La politica estera è complessa, costruita su molteplici rapporti di interdipendenza. Italia ed Europa non possono assumere posizioni nette, perché dipendono da altri Paesi. Nel settore energetico, ad esempio. Gli Stati Uniti possono permettersi di assumere le posizioni che vogliono: tanto dispongono a sufficienza di qualsiasi tipo di risorsa di cui necessitano. Noi no. Siamo certamente contenti che Trump abbia eliminato dei pericolosi terroristi islamici. Ben vengano ulteriori misure di questo genere. Ora però domandiamoci: quanto sarà feroce la vendetta islamica verso l’Occidente?

Esistono dei periodi storici in cui conviene essere aperti al resto del mondo. Esistono altri periodi storici in cui conviene, invece, difendere la propria sovranità. Crediamo che ora il sovranismo sia preferibile all’apertura incondizionata e all’abbattimento dei muri. Il modello di società aperta, nonostante qualche momento di tensione, ha funzionato piuttosto bene finora. Ma da un po’ di tempo a questa parte hanno iniziato a soffiare venti impetuosi, dinanzi ai quali non eravamo preparati. Due fra tutti: l’immigrazione di massa e il terrorismo islamico. Una volta per tutte, è necessario ribadire con forza che l’apertura non è sempre il bene assoluto e la chiusura non è sempre il male assoluto. Se l’identità nazionale è minacciata, è opportuno trovare soluzioni che la preservino dagli attacchi provenienti da certe culture aggressive.

Il mondo non può esistere senza le identità nazionali. Non può esistere un’unica “identità nazionale umana”. La cultura non è solo ciò che accomuna gli uomini, ma pure ciò che li differenzia. Per natura gli uomini aiutano i loro amici, ma combattono i loro nemici. Negare che esistano culture fra loro nemiche vuol dire fare il gioco delle culture più aggressive. E costringere le altre a soccombere. Noi non ci stiamo. Noi crediamo che una qualsiasi cultura abbia il sacrosanto diritto di difendersi, ogniqualvolta contro di essa spirino venti impetuosi in grado di minacciarne l’esistenza.

Ma difendersi non vuol dire solo annientare i nemici più pericolosi o chiudere i porti agli immigrati irregolari. Esiste un ambito che talvolta passa sotto traccia, ma che spesso sta alla base di molte condotte umane: quello economico. Il comportamento economico si fonda, in soldoni, sui bisogni degli uomini. Se gli uomini non avessero bisogni, non esisterebbero comportamenti economici. Più soggetti bisognosi generano rapporti economici, che nel lungo termine divengono vere e proprie interdipendenze. Ma l’interdipendenza dovrebbe fondarsi su un sostanziale equilibrio fra i bisogni dei soggetti. Al sopraggiungere di determinate circostanze, può subentrare uno sbilanciamento che inevitabilmente favorisce un soggetto a scapito dell’altro.

Come dicevamo, a livello energetico noi dipendiamo in larga misura da diversi Paesi. Alcuni di questi sono proprio in territorio islamico. Se la vendetta di questi Paesi dovesse colpire l’Europa e l’Italia, probabilmente il settore energetico ne sarebbe pesantemente influenzato. Forse è soprattutto per questo che non possiamo assumere una posizione chiara: per non rischiare di rimanere “a secco”. Ai petrolieri fa comodo così. Perché, tuttavia, dobbiamo essere condannati a dipendere da Paesi tanto instabili? Non sarebbe meglio promuovere una sorta di autarchia energetica, magari impiegando termovalorizzatori ed energia nucleare? Il messaggio sta lentamente incominciando a passare, per esempio attraverso l’economia circolare. Purtroppo ancora attendiamo che si realizzi in concreto.

Forse promuovere la sovranità e l’autarchia è solo uno slogan vuoto. Forse sono davvero troppi gli interessi che si andrebbero a smuovere e colpire. Forse nessuno vuole rinunciare a questi interessi. Forse dobbiamo subire passivamente i venti scatenati da altri, per timore di affrontarli. Noi vogliamo credere che non sia così. E vogliamo credere che un giorno l’Italia sarà in grado di risollevare la testa e competere orgogliosamente per la vetta del mondo.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Ideali scomodi. Il coraggio dell’impopolarità

Ave Socii

Lo strumento della politica dovrebbe servire per portare avanti degli ideali e trasformarli in realtà. E’ questo il bello della politica: combattere per degli ideali in cui si crede. Continuare a combattere per essi, anche se sono ideali passati ormai di moda. Oppure ideali che cozzano contro posizioni attualmente di moda. Battersi per degli ideali, in democrazia, espone al rischio di trovarsi contro le mode del tempo, contro le tendenze, contro il popolo. E purtroppo è proprio questo che, molto spesso, impedisce ai politici di lottare liberamente per gli ideali in cui credono davvero.

In realtà, un po’ tutte le forze politiche tendono a comportarsi come il popolo vorrebbe si comportassero. Il populismo, checché se ne dica, alberga a sinistra così come a destra. Mettere nuove tasse è certamente impopolare, specie in uno Stato dove la pressione fiscale è già alta. Se tuttavia una forza politica ha il coraggio di proporre simili misure, dovrebbe poi avere anche il coraggio di sostenerle fino in fondo. Ciò che in sostanza questo governo negli ultimi giorni non ha fatto, rinviando tasse proposte e avallate proprio da alcune forze di maggioranza. Pur di mostrarsi compatto e “favorevole al popolo” ha deciso di non decidere, spacciando questa “non decisione” per un “miracolo”. Pensando magari che gli italiani avrebbero ringraziato elettoralmente, quasi avessero l’anello al naso. Dalle tasse rinviate alle sardine, se le stanno inventando tutte pur di riacquistare consensi. Se alle prossime elezioni regionali non dovessero farcela neanche così…

L’essere popolari, come detto, è un vincolo che caratterizza e influenza tutti i partiti, soprattutto i più grandi. Accanto ad argomenti popolari, invece, ogni partito dovrebbe pure sostenere posizioni e ideali che vadano al di là del proprio tornaconto elettorale. C’è chi propone lo ius culturae per i minorenni nati in Italia da persone immigrate, benissimo… C’è chi propone di superare il concetto di “modica quantità” e trattare con durezza ogni tipo di detenzione di stupefacente, benissimo… Si abbia, però, anche il coraggio di portare avanti queste battaglie. Con serietà, determinazione e coerenza. Perché la coerenza paga. E se non paga adesso, perché momentaneamente vanno di moda altri ideali, magari pagherà in un futuro neanche troppo lontano. Perché le bandiere che il popolo segue possono cambiare. La sfida è farsi trovare pronti. E farcisi trovare, per quanto possibile, da una posizione che nel tempo si è mantenuta coerente.

Secondo noi, esistono molte battaglie politiche per cui varrebbe la pena combattere, in questo preciso momento storico. Andare in mezzo ai giovani e spiegare che la cannabis fa male. Legalizzare la prostituzione, invece che le droghe. Colpire i consumatori, oltre che i trafficanti di stupefacenti. Almeno discutere di pena di morte per i criminali, così come si discute di aborto e eutanasia per gli innocenti. Consentire l’organizzazione di ronde per sopperire alla carenza di pubbliche forze dell’ordine, oltre che regolamentare la legittima difesa nella proprietà. In casi eccezionali, per salvaguardare la sicurezza pubblica, provvedere a limitare alcuni diritti.  Affermare che l’integrazione è sì buona e bella, ma impraticabile perché ogni immigrato ha i suoi valori, spesso incompatibili con quelli del Paese che lo ospita. Sostenere che alcune famiglie, nell’accudimento dei figli, sono più adatte di altre. Schierarsi contro la deriva ambientalista, sostenendo che avvantaggia i petrolieri piuttosto che l’ambiente…

Quante battaglie si potrebbero sostenere, se non si badasse esclusivamente al consenso del popolo! Ma schierarsi apertamente contro certi ideali significherebbe, per alcuni partiti, crollo sicuro nei sondaggi. Visto che ultimamente si tengono elezioni a distanza molto ravvicinata, certe battaglie non vengono intraprese. Ce li vedete, voi, i politici ad andare in mezzo ai giovani, spiegando loro che la cannabis fa male? Gli riderebbero addosso, in fondo “è solo una cannetta, tutta roba naturale”… O a dire che, a determinate condizioni, certi diritti vanno limitati? Darebbero loro dei “barbari”… O a sostenere che certi nuclei familiari, pur legittimati da un Parlamento, sono una spanna al di sotto della “famiglia tradizionale” nella cura dei figli? Politici del genere sarebbero etichettati come “retrogradi e sfigati”… O a mettersi contro l'”onda verde”, contro chi riempie le piazze manifestando a favore dell’ambiente? Tali politici verrebbero messi al rogo, pure a costo di inquinare l’atmosfera…

Ci auguriamo che alcuni abbiano il coraggio di assumere queste (ed altre) posizioni scomode. E di assumerle in maniera continuativa, senza timore per una situazione di impopolarità temporanea o prolungata nel tempo. E di continuare a navigare nella stessa direzione, pure quando il popolo volta le spalle e il vento cambia. Perché un giorno il vento tornerà a soffiare in questa direzione. Perché un giorno il popolo volgerà di nuovo lo sguardo verso questa parte. Perché quel giorno chi è rimasto coerente raccoglierà i frutti della propria coerenza.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Lavoro flessibile. Il contrasto di interessi applicato al problema dell’occupazione

Ave Socii

La globalizzazione, lo sviluppo tecnologico, le crisi della domanda di beni e servizi… Molteplici sono i fattori in grado di modificare il significato del lavoro. Rispetto a qualche anno fa, quando il posto fisso non era ancora un miraggio, c’è stato un vero e proprio cambio di paradigma: dalla stabilità alla flessibilità. E ciò, apparentemente, sembra aver favorito solo le imprese a tutto discapito dei lavoratori. Un giorno, forse neanche troppo lontano, molti lavori nasceranno e molti altri scompariranno. Dopotutto, l’importante è adattarsi alle contingenze. I nostalgici del posto fisso dovranno farsene una ragione… Ora c’è la globalizzazione, la lotta al massimo ribasso, la riduzione dei costi (spesso proprio del lavoro)… Quando si tornerà a prediligere l’economia locale, probabilmente anche il lavoro stabile verrà rivalutato.

Dovranno davvero rassegnarsi, i lavoratori, finché il modello globalizzato non sarà entrato in crisi? Davvero la flessibilità avvantaggia solo le imprese? A nostro parere, un’oculata regolamentazione del mercato del lavoro può dare opportunità insperate persino ai lavoratori. Coniugando, ad esempio, flessibilità e diversificazione. Non solo, cioè, dare la possibilità alle imprese di assumere a tempo o a progetto, ma anche permettere ai lavoratori di svolgere più lavori contemporaneamente presso differenti aziende. Una sorta di “portafoglio di lavori”, da poter riempire fino al raggiungimento del tempo pieno (supponiamo 40 ore settimanali). Non ci pare una stranezza: così come all’investitore è concesso un portafoglio diversificato di attività in cui investire, perché ad un lavoratore non dovrebbe essere concesso un portafoglio diversificato di lavori?

Il motivo della diversificazione è chiaro: garantire una maggior sicurezza. Se un’attività del portafoglio va male, magari ci sono altre attività che vanno meglio e su cui l’investitore può contare. Così per un lavoratore: se un lavoro va male, magari ci sono altri lavori che possono andare meglio. Nel complesso, una maggiore diversificazione è associata a maggiori probabilità di successo. Ciascuna impresa potrebbe assumere un lavoratore a tempo parziale, ma al contempo consentirgli di conoscere altre imprese (magari dello stesso luogo) interessate al suo profilo lavorativo. Se poi l’Italia avesse anche una rete infrastrutturale decente e un trasporto pubblico funzionante, i lavoratori potrebbero permettersi pure di spostarsi degnamente e lavorare in posti differenti… Ma questo è un discorso a parte.

Dal lato della domanda, il binomio flessibilità-diversificazione genererebbe molti vantaggi. Possibilità di maggiore collaborazione e coopetizione fra le imprese. Possibilità di riduzione dei costi del personale. Possibilità di fronteggiare le diminuzioni di domanda senza la preoccupazione di ridurre sul lastrico intere famiglie. Dal lato dell’offerta, i vantaggi sarebbero ancor più interessanti. Possibilità di rendersi maggiormente indipendenti dall’andamento di una singola azienda. E, soprattutto, possibilità di diversificazione e allargamento delle proprie competenze. Certo, diversificare il lavoro potrebbe richiedere ai lavoratori di assumere competenze trasversali: mantenendo più lavori ma tutti nello stesso settore, i lavoratori potrebbero ravvisare un peggioramento generale delle proprie condizioni qualora quel settore andasse male. Avere più competenze non contrasta con la divisione e la specializzazione del lavoro. Al contrario, le molteplici combinazioni di più competenze consentono a più lavoratori di specializzarsi in maniera differente gli uni dagli altri, variegando l’offerta di lavoro.

Quella del portafoglio di impieghi è una facoltà che il mondo delle imprese dovrebbe offrire ai lavoratori, accanto al più classico lavoro all’interno di una singola azienda. Il portafoglio di lavori consentirebbe di liberare risorse per l’innovazione o, perché no, per assumere nuovo personale e ridurre così il tasso di disoccupazione. La nostra è una semplice proposta. Magari sarà irrealizzabile, nel contesto italiano o più in generale, però crediamo che le motivazioni da noi addotte siano sensate. Ad alcuni questo “spezzatino di lavoro” potrebbe apparire inutile o addirittura controproducente. Eppure, al momento, questa ci pare la soluzione migliore in grado di venire incontro a tutte le parti in causa. Conservare la mentalità del “posto unico e fisso” significherebbe, secondo noi, ignorare le attuali condizioni del mercato del lavoro. Un mercato globalizzato, che si rinnova, che entra in crisi e che spesso non fa sconti a nessuno.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Sardine in piazza… Ma gli italiani abboccheranno?

Ave Socii

Vedere gente che riempie una piazza e manifesta pacificamente è la miglior cosa che possa accadere in democrazia. Purtroppo le frange violente esistono dappertutto e vanno ovviamente condannate. D’altro canto, i movimenti propositivi vanno elogiati e incoraggiati nelle loro battaglie. Negli ultimi giorni sta prendendo piede il fenomeno delle “sardine”, gente comune che organizza manifestazioni, nelle principali piazze italiane, per protestare contro il populismo di una certa politica. Due cose in particolare ci stupiscono di questo movimento: la tempistica e l’obiettivo. Non è un caso, secondo noi, che le sardine nascano e spopolino proprio a ridosso di importanti elezioni regionali. Così come non ci sembra un caso che le sardine abbiano come (unico) obiettivo dichiarato quello di scagliarsi contro una ben precisa parte politica.

Essendo nato da pochi giorni, il movimento delle sardine deve ancora comprendere e far comprendere le sue reali intenzioni. Per ora però una cosa è certa: si sta dimostrando un movimento totalmente “contro”. E “contro” obiettivi specifici: un partito, la Lega, e un avversario, Salvini. Segno evidente che Salvini è ormai talmente forte da riuscire a compattare non solo i salviniani, ma pure gli anti-salviniani. E la paura che presto possa prendere in mano le redini dell’Italia cresce di giorno in giorno. Fossero davvero un movimento contro il populismo, le sardine potrebbero trovare slogan populisti persino a sinistra. I soldi vanno presi dove ci sono… Togliere ai ricchi per dare ai poveri… Pagare tutti per pagare meno… Non è forse ciò che il popolo si aspetta di sentir dire dalla politica? Perché allora, quando si parla di populismo, si è abituati a guardare solo a destra?

Si pensa che dietro il movimento delle sardine si celi la regia di qualche politico di sinistra. Nulla di cui stupirsi, se così fosse: non è la prima volta che a sinistra nascono movimenti alternativi, per giunta più “contro” che “pro”. Se invece si trattasse di un movimento totalmente spontaneo, una cosa sarebbe certa: l’attuale sinistra, in politica, si sta dimostrando assolutamente incapace di rappresentare le istanze che dice di voler rappresentare. Tant’è che queste istanze hanno bisogno di far sentire la propria voce in altro modo. Fossimo nei panni degli attuali esponenti politici di sinistra, non ne andremmo così fieri. Per dirla tutta, in realtà, non è che le sardine rappresentino istanze poi tanto diverse dal passato. Pretendono di costituire il rinnovamento e cantano “bella ciao”… Un buon inizio, non c’è che dire!

A nostro parere, le sardine nascono come risposta a una sinistra inerme di fronte all’avversario politico. Come ultima spiaggia per tentare di salvare il salvabile. Come estremo tentativo di riunire delle pecore rimaste senza pastore, pur consapevoli che il lupo è sempre in agguato. Il Pd plaude per non piangere. Qualcuno forse maledice il giorno in cui ha accettato di dar vita a questo sgorbio di governo. Un governo che macina figuracce su figuracce, commette errori su errori… Ed è ad appena due mesi di vita. A questo punto, sarebbe meglio consegnare l’Italia al centrodestra. E lasciare che anche il centrodestra, a lungo andare, commetta degli errori. Perché è inevitabile che governare produca anche esiti negativi. Solo così la sinistra potrà sperare di ritornare competitiva nella politica italiana.

Sardine o no, allo stato attuale la maggioranza del Paese attribuisce tutto il negativo all’attuale governo e ogni possibile soluzione positiva è riposta nel centrodestra a trazione Lega. Nessuno li ha obbligati a formare questo governo, eppure hanno voluto provarci lo stesso. Per “salvare l’Italia”… Per “mettere Salvini e la Lega all’angolo”… E questi sono i risultati. Hanno voluto la bicicletta? Continuino a pedalare! Oppure accostino e scendano!

Vostro affezionatissimo PennaNera

Razzismo, stereotipi e Commissioni per valutare i pregiudizi

Ave Socii

Chiunque dovrebbe essere contrario al razzismo e alla discriminazione razziale. Nessuno oserebbe dire il contrario. Ma l’istituzione di una Commissione parlamentare apposita, chiamata a pronunciarsi anche su altri “argomenti affini”, rischia di condurre a giudizi ambigui e di parte. E dal condannare l’odio, l’antisemitismo e il razzismo, spesso si finisce per condannare pure il patriottismo e il nazionalismo. E si finisce per identificare i nazionalisti con i razzisti… Forzatura non da poco, che inevitabilmente influenza qualunque giudizio supposto “imparziale”. E intacca la serietà di qualunque Commissione che abbia la pretesa di dirsi “al di sopra delle parti”.

Va notato che, nella pronuncia dei giudizi, si fa spesso distinzione tra “fascisti cattivi” e “compagni che sbagliano”. E non solo in politica. C’è chi elogia chi sta dalla parte dei “diritti dei gay”, poi alla prima occasione utile dà a qualcun altro del “frocio” per i più disparati motivi. C’è chi dice di vedere nelle diversità una ricchezza, ma nel privato non perde occasione per emarginare l’altro percepito come “diverso”. I giudizi dipendono sempre da chi hai di fronte: se è un amico, si interpretano; se è un nemico, si applicano fino all’ultimo. I giudizi, specie se pronunciati verso un “nemico”, sono poi fortemente influenzati da stereotipi e pregiudizi. Pure se chi li pronuncia dice di essere apparentemente “libero da qualsiasi pregiudizio”. E’ bene guardarsi da chi si proclama “libero da pregiudizi”: spesso è il miglior modo per dire che solo i suoi pregiudizi sono quelli giusti.

Una Commissione davvero giusta non dovrebbe rispecchiare le forze parlamentari in proporzione alla composizione delle Aule. Dovrebbe, invece, garantire che ogni istanza, ogni partito, ogni parte della società apporti il medesimo numero di commissari. Solo così, secondo noi, si potrà dar luogo ad un organo intrinsecamente giusto ed equilibrato. Poi c’è l’influenza del contesto nel quale siamo immersi, ma si tratta di una questione a sé… Il problema fondamentale è capire cosa andare a giudicare. E chi lo debba giudicare. Se il “cosa” è variegato e ambiguo e il “chi” è mutevole e parziale, qualsiasi Commissione è ingiusta. Perciò che i partiti di centrodestra abbiano votato contro l’istituzione di questa Commissione è, a nostro avviso, un ottimo segnale. A differenza di quanto sostenuto dal vasto coro dei fascio-buonisti, tanto bravi ad accusare gli altri di populismo ma altrettanto bravi a servirsene quando opportuno.

Oggi viviamo in un contesto in cui la razza è vista come qualità negativa e il razzismo come atteggiamento biasimevole. Non è sempre stato così in passato, lo sappiamo. Ed è meritevole che ognuno di noi si batta perché simili atteggiamenti negativi siano evitati (o almeno limitati) per consentire un dibattito sereno fra le parti. Ma di qui a considerare alcune parti come “negative”, perché espressive di idee giudicate aprioristicamente immeritevoli e biasimevoli, va contro il principio della libertà di espressione. E pregiudica ogni sereno dibattito, perché elimina dalla dialettica attori certamente importanti e che poco o nulla hanno a che vedere col razzismo. Dirsi “sovranisti” potrebbe essere un problema, se una Commissione può censurare chiunque si proclami “difensore della patria”. Per assurdo, una simile Commissione dovrebbe censurare pure il governo… Tutti i suoi membri, infatti, giurano fedeltà alla Repubblica. E pure gli stessi parlamentari, in quanto rappresentanti della Nazione.

Siamo franchi! L’istituzione di questa Commissione sembra, in realtà, l’ennesimo tentativo per tentare di mettere all’angolo certe forze politiche. Quelle forze politiche, guarda caso, che ora godono del maggior consenso nel Paese. Strumentalizzare tematiche importanti e sentite quali l’antisemitismo e il razzismo, magari con lo scopo ultimo di screditare l’avversario politico, è la peggiore e più ipocrita delle strategie. L’ennesimo tentativo di affrontare l’avversario non con argomenti politici, ma attraverso battaglie intrise di moralismo e giustizialismo. Ci auguriamo, pertanto, che questa Commissione giudichi nella maniera più imparziale possibile. E che i suoi giudizi si trasformino il meno possibile in attacchi politici.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Fisco etico… E’ giusto tassare pure lo zucchero?

Ave Socii

L’etica è una delle bandiere in grado di guidare la linea politica e l’operato di un governo. Attraverso provvedimenti che incidono sul fisco, è possibile orientare i comportamenti dei soggetti economici. Sarebbe bene, però, che il fisco possa influenzare i soggetti economici nel pieno rispetto della loro libertà. In poche parole, non tanto penalizzando i comportamenti ritenuti sbagliati quanto, piuttosto, incentivando i comportamenti ritenuti giusti. Non tutto quel che è etico per il governo di turno lo è anche per la Nazione. Nel dubbio, meglio incentivare che vessare. Pena il tracollo elettorale, come dimostrato dalle ultime elezioni regionali.

Questo governo nasce, ufficialmente, per evitare l’aumento dell’Iva. Allo stato attuale delle cose, si direbbe che l’obiettivo si voglia raggiungere davvero e che, forse, sia già stato raggiunto. Più a livello formale che sostanziale, tuttavia. Formalmente, l’attuale governo ha disinnescato i famosi 23 miliardi di clausole di salvaguardia… Sostanzialmente, lo ha fatto prevedendo diversi miliardi di nuove tasse o “microtasse” in più. Tasse “micro”, tanto per evitare di chiamarle con il loro vero nome: tasse. Il nostro Paese ha bisogno di un fisco più snello e non di altre tasse, né micro né xxl.

Questo governo è stato (non a torto) denominato “governo delle tasse”. E il bello è che i suoi principali componenti continuano a negarlo, come se gli italiani fossero un branco di stupidi. A questo punto, non è meglio che cada il prima possibile? Purtroppo abbiamo l’impressione che ciò non avverrà nell’immediato… Ricordiamo che questo governo non nasce tanto per evitare “l’aumento dell’Iva”, quanto piuttosto per evitare il “trionfo del populismo di destra”. Questo governo nasce su impulso dell’Europa, o meglio di certi Paesi europei che vogliono l’Italia nuovamente genuflessa dinanzi ai loro comodi. Questo governo risponde agli interessi dell’Europa… Non illudiamoci: finché l’Europa non darà il proprio ok, questo governo non cadrà. E poi, cosa direbbero l’Europa e il mondo di un Presidente della Repubblica Italiana votato con una maggioranza di “populisti di destra”?

Certo, una tassa in più è il modo più semplice per far cassa. Piuttosto che attuare tagli alla spesa pubblica, specie a quella improduttiva, si preferisce accrescere un prelievo fiscale già abbastanza ostile a famiglie e imprese. Eppure, non è detto che il gettito preventivato aggiungendo nuove tasse corrisponda al gettito reale effettivamente conseguito a distanza di tempo. E non è neanche detto che a maggiori tasse corrispondano servizi migliori, come ci si dovrebbe attendere dal buon senso. Anzi, spesso è vero l’esatto contrario: ad un fisco più flessibile è associata una miglior qualità di servizi. E’ evidente come i progressisti prendano a modello i Paesi scandinavi… Ma non tutto il mondo è Scandinavia. Spesso l’efficienza, nel settore pubblico, si raggiunge limitando le risorse a disposizione. E costringendo gli enti pubblici a servirsene nel modo migliore possibile.

E’ etico tassare la plastica… Chi avrebbe il coraggio di dire di no, dinanzi a una platea di giovani che riempiono le piazze chiedendo a gran voce agli adulti di stare più attenti all’ambiente? E’ etico tassare il contante… Chi mai potrebbe affermare il contrario, di fronte a chi in maniera roboante proclama che la lotta all’evasione fiscale passa anche attraverso la digitalizzazione dei pagamenti? L’unica realtà è che, per giustificare un fisco sempre più opprimente, si ricorre a fantomatici principi etici… La tutela dell’ambiente… Pagare tutti per pagare meno… Nessuno che dica che certe plastiche inquinano meno del vetro… Nessuno che dica che, piuttosto che “pagare tutti per pagare meno”, sarebbe meglio “pagare meno per pagare tutti”…

La tassa sulle bevande zuccherate rappresenta il massimo dell’ipocrisia raggiunta. L’attuale governo vuol tassare le bibite e le merendine perché “fanno male alla salute”… Perché “il tasso di obesità giovanile in Italia è fra i più alti”… In compenso, però, praticamente tutti i sostenitori dell’attuale governo sono favorevoli alla legalizzazione della cannabis (e, magari, pure di altre droghe). Qual è il messaggio che passa? Se a ricreazione un ragazzo mangia una merendina è da sanzionare. Se invece fuma uno spinello o altro è da lasciar stare. Anzi, magari gli fa pure bene!

La recente sconfitta elettorale comincia a pesare enormemente anche sulla manovra economica. Pian pianino, qualche tassa comincia a sparire dalla circolazione. Ma guai a cantar vittoria: dietro le pieghe del Def può ancora celarsi di tutto. D’altronde le hanno sparate di tutti i colori, gli azionisti di questo governo. Di tutte le tasse che hanno proposto qualcosa sicuramente rimarrà. E chissà se altre sottobanco verranno aggiunte. Sempre con la motivazione dell’eticità, ovviamente. Basta un poco di zucchero e la pillola va giù… Pure se lo zucchero è tassato!

Vostro affezionatissimo PennaNera

Anziani, baluardo a difesa dei valori e delle tradizioni

Ave Socii

Nessuno tocchi i nostri anziani! L’attenzione alla terza età e alle età successive dovrebbe essere questione prioritaria per ogni partito. Specialmente qui in Italia, Paese dove l’età media della popolazione è in continua crescita. C’è chi vede il bicchiere mezzo pieno, c’è chi (purtroppo) lo vede mezzo o tutto vuoto. Qualcuno vorrebbe addirittura toglier loro il diritto di voto. Magari per darlo ai sedicenni, anche figli di immigrati che risiedono in Italia da molto meno tempo. Chi ha contribuito alla ricostruzione del nostro Paese dovrebbe meritare un minimo di rispetto in più. Taluni rigurgiti pseudo-sessantottini lasciano il tempo che trovano. Certo, chi non ha radici non ha una cultura di riferimento a cui appigliarsi. Perciò è più facilmente manipolabile. Magari proprio dai medesimi geni che sostengono l’immigrazione incontrollata, il fantomatico ius culturae e lo stesso voto ai sedicenni.

Gli anziani sono i depositari più autentici delle nostre tradizioni. Gli anziani rappresentano le nostre stesse radici. Per certi versi, sono difensori di valori anche religiosi. Avendo vissuto in periodi storici certamente meno disincantati del nostro, possono tramandare molti insegnamenti alla cosiddetta “generazione 2.0”. Non c’è bisogno di esser bigotti per tramandare dei valori religiosi: anche le tradizioni più pagane e popolari costituiscono valori da preservare. In una parola, gli anziani tramandano la nostra identità come popolo.

La maggior parte delle uscite dello Stato serve per pagare le pensioni ai nostri anziani… E’ forse una colpa? Quante volte gli anziani aiutano i figli, impegnati col lavoro, nella gestione e nella crescita dei nipoti? I soldi che lo Stato spende in pensioni hanno probabilmente un effetto benefico non solo per i nonni, ma anche per i loro discendenti. E’ forse una colpa avere uno Stato che spende tanti soldi in pensioni? Se in ballo c’è la tutela della nostra identità culturale, ben venga qualunque spesa pensionistica!

Gli anziani costituiscono pure un baluardo a difesa della famiglia. A fronte di tutte le liberalizzazioni introdotte dalla modernità, il focolare domestico ha un modello privilegiato: la famiglia tradizionale. Nessuna liberalizzazione delle relazioni potrà mai competere con l’immagine della famiglia tradizionale. Quando altri tipi di nuclei pretendono di sedere sul trono della società, invece di porsi in atteggiamento di rispetto e riverenza, la società incomincia a decadere. Ne sono un drammatico esempio la sempre più pronunciata decrescita demografica, il dilagante relativismo culturale, la crisi dei rapporti sociali, la crisi delle agenzie educative…

Smettiamo di considerare gli anziani come individui non più produttivi, da badare, da buttar via, o perfino da eliminare… C’è un forte pregiudizio nei confronti dei nostri vecchi. Forse bisognerebbe avere più rispetto per coloro che hanno fatto grande e continuano a far grande il nostro Paese. Nel bene e nel male, per carità, ma nessuna generazione è perfetta. Chi manca di radici manca di cultura, senza eccezioni di sorta. Ogni pianta ha le sue radici. Ogni pianta cresce bene nel terreno in cui si è sviluppata. Sradicarla e piantarla altrove, oppure addirittura reciderne le radici, porta spesso ad una sola nefasta conseguenza: la morte.

La morte di ogni cultura… Forse è quel che vogliono i fascio-buonisti, eliminare qualsiasi elemento d’intralcio all’appiattimento culturale dell’umanità… Eliminare ogni residuo di identità dei popoli, per affermare la dittatura dei “valori universali”… Valori imposti, perciò indegni di appartenere alla cultura di qualsiasi popolo. Dinanzi a questi valori privi di qualunque sostanza, noi affermiamo con orgoglio la nostra identità e i nostri valori come popolo. E con orgoglio sempre ci affideremo a chi la nostra identità e i nostri valori li sa difendere davvero: i nostri anziani.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Castità. Elogio di una virtù bistrattata

Ave Socii

Nell’odierna società, sempre più legata all’effimero, c’è forse sempre più bisogno di una visione del mondo che vada al di là delle contingenze. Una visione duratura e forte, che permetta di sopportare le sfide della vita con minor preoccupazione. Una visione di tipo spirituale, simile a quella dei religiosi. Ognuno, in cuor suo, può avere una visione religiosa dell’esistenza. Non è necessario essere preti per decidere di abbracciare dei valori duraturi invece che dei valori effimeri. Chi scopre valori che durano non è impensierito dalla rinuncia dell’effimero. Per costui, la castità non è e non sarà mai una costrizione. La castità è l’umiltà di rinunciare ai rapporti umani, per donarsi completamente al perseguimento di un ideale. Chi segue degli ideali, invece, è spesso considerato uno sfigato, un pazzo, un visionario nella migliore delle ipotesi.

Chi sta nella Chiesa ha un’opportunità che altri non hanno: lottare per degli ideali senza subire il ricatto di rovinare un rapporto umano. Perché il casto rinuncia ai rapporti umani stretti. E’ capace di rinunciare alla madre, al padre, ai fratelli, agli amici, alla moglie, al marito, ai figli… per seguire Gesù e il Suo messaggio evangelico. E chi più di un uomo di Chiesa è disposto a seguire il duraturo e rinunciare all’effimero?

Ma la castità non è affare solo della religione e degli uomini di Chiesa. Ciascuno di noi può essere casto. La castità è un gesto d’amore verso i nostri amici: rinunciare al legame con loro ci rende può forti e meno corruttibili dinanzi ai ricatti altrui. Il Vangelo rappresenta tutti quei messaggi scomodi che stridono con la mentalità del mondo. Chiunque, rinunciando alle comodità terrene, può aspirare a seguire il Vangelo.

Spesso la castità non viene considerata con il rispetto che invece dovrebbe meritare. Il casto è spesso vittima di forti pregiudizi da parte di quelli che fanno dell’umanesimo una sorta di religione. E del rapporto umano una sorta di idolo. E’ evidente nell’ambito del sesso: chi ha tanti rapporti sessuali è considerato persona spigliata e capace, all’interno della società. Ma questa spigliatezza, talvolta, non è che un modo per farsi notare. Un modo per cercare amore. Un modo per dire “io ci sono”. Un modo per cercare l’aiuto dell’altro, a dimostrazione della propria dipendenza dai rapporti umani.

Ma la sfera sessuale è solo la punta… Essere casti significa astenersi da qualsiasi rapporto che rischi di diventare troppo profondo. La società si riempie di pregiudizi nei confronti del singolo, di chi si mostra solo. La forza sta nel gruppo, nel “noi” e non nell'”io”… Ma il singolo può portare messaggi scomodi, anche in mezzo a un branco di lupi. Il membro del gruppo non può, i messaggi che porta non sono i suoi ma quelli del gruppo di appartenenza. Pronunciando parole scomode, i suoi nemici potrebbero rivalersi sul suo gruppo e sulle persone che con lui stringono un legame importante. Il singolo, da solo, è invece libero di pronunciare parole scomode. E di perseguire ideali scomodi senza temere di perdere qualcosa. Senza mettere in pericolo le persone a cui tiene. Lo stesso Gesù Cristo non è forse esempio di una simile castità?

Un singolo disposto a seguire ideali e valori duraturi, in realtà, fa paura. Il mondo controlla a meraviglia l’effimero, perché ha la sua stessa natura temporanea e corruttibile. Ma il duraturo… Quello il mondo fa fatica a domarlo. E pur di sminuirlo gli attribuisce la qualità della pazzia. Che il mondo tema i pazzi, allora! Perché se lottare per un ideale vuol dire esser pazzi, allora i pazzi cambieranno ancora una volta il mondo.

Vostro affezionatissimo PennaNera