Ciao Pablito!

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Quindici giorni fa Diego, ieri Pablito. Due calciatori e due personaggi completamente differenti  (non solo per il sistema di gioco, ma caratterialmente) entrambi però facenti parte, per noi che negli anni ’80 eravamo bambini, della nostra infanzia.

Perché Paolo non è stato solo “El hombre del partido”, il cannoniere del Mundial 1982, è stato di più.

E’ stato, insieme agli altri “Ragazzi di Bearzot”, il simbolo di una squadra bella, vincente, amata, rispettata. L’Italia del 1982 è stata ciò che avremmo voluto che fosse l’Italia come paese e in quell’estate si può dire che lo fu.

Perché agli occhi del mondo  (anche se forse per poco) in quel periodo non eravamo più “Italiani spaghetti mafia, mandolino”, ma eravamo “Paolorossi”.

In queste ore su di lui è già stato scritto e detto  tanto, perciò non staremo a ripercorrere le tappe della sua straordinaria carriera.

Una cosa però ci ha sempre colpito. Dietro a quell’uomo che sembrava fragile, fisicamente non possente rispetto ad altri cannonieri (si pensi a Riva, a Boninsegna, a Bettega), timido, si nascondeva una forza d’animo insospettabile.

Ci riferiamo a quando, nel 1980, venne squalificato per due anni a causa del Calcio-Scommesse. Mesi fa abbiamo scritto anche un post al riguardo, quella squalifica fu discutibile e contraddittoria per certi aspetti. La sua fu semplice omertà, piuttosto che voglia di fottersene delle regole e della sportività al fine di ottenere un vantaggio.

Perse due anni della sua carriera (aveva 24 anni e ricominciò a 26, perdendo  quello che per un calciatore è un periodo “buono”), tornò in Nazionale e le prime partite beh, non brillò certo.

Nonostante ciò continuò a lavorare, anche grazie al fatto che aveva alle spalle un uomo che in lui ci credette fino all’ultimo, senza se e senza ma e che alla fine dimostrò che crederci ne era valsa la pena: Enzo Bearzot.

Fu così che una carriera che sembrava compromessa irrimediabilmente, si riaccese e dalle stalle del Calcio Scommesse passò alle stelle del Mundial, del Pallone d’oro e della gloria che lo accompagnerà per sempre, regalandoci parecchi insegnamenti.

Paolo Rossi ci ha insegnato che anche se nella vita non sei un bulldozer, puoi farcela.

Soprattutto ci ha insegnato che nulla è perduto, che se si tocca il fondo, ci si può sempre dare una spinta per cercare di risalire.

Ci ha insegnato che senza la prosopopea che hanno molti calciatori oggi (e che si sognano di fare ciò che ha fatto lui) si possono fare grandi cose.

Ci ha insegnato che si può diventare eroi rimanendo normali.

Ci ha insegnato che anche se gli altri hanno Zico, Falcao, Socrates, Eder, Junior, si possono battere.

Grazie Paolo, per i goal, per il campione che sei stato e per quello che ci hai insegnato.

Una piccola storia di calcio degli anni ’80

Oggi raccontiamo una storia successa trentasette anni fa.

Quelli che, come noi, hanno vissuto il calcio degli anni 70/80, la ricordano ancora oggi.

Il 26 Novembre 1982 , si giocò Ascoli-Juventus. Lo stadio della città marchigiana (il “Del Duca”) fece registrare il tutto esaurito, nonché il record d’incasso; d’altronde per una provinciale vedere arrivare la Juve nella propria città è sempre un evento.

La Juventus arrivava ad Ascoli come la squadra superfavorita per lo scudetto (anche se, in quel momento, aveva già lasciato alcuni punti per strada) e del resto non poteva essere altrimenti, potendo i bianconeri contare su sei campioni del Mondo in squadra, più Bettega, Platini e Boniek.

Leggendo le formazioni, si notava immediatamente la differenza in attacco. L’Ascoli schierava: Novellino, De Vecchi, Pircher, Greco e Monelli. La Juventus rispondeva con Bettega, Tardelli, Rossi, Platini e Boniek.

Se prima del match qualcuno avesse detto: “Vince l’Ascoli 2-0 e Zoff eviterà il peggio”, probabilmente lo avrebbero preso per pazzo e sarebbe stato sedato con dei tranquillanti.

Invece fu così che andò.

Quel giorno il mitico “Monzon” Novellino  fece il Platini, realizzando due reti nel primo tempo. Zoff ebbe il suo da fare affinché la sconfitta non fosse più ampia nel punteggio. Gli attaccanti bianconeri furono neutralizzati dalla difesa e dal centrocampo ascolano.

Fu così che, come in molti altri casi della storia, Davide (l’Ascoli) sconfisse nuovamente Golia (la Juve).

Quella domenica ci fu ancora una volta la dimostrazione che, solo avere i nomi in squadra non è sufficiente (cosa che è ancora valida oggi e che probabilmente sarà ancora valida nei secoli dei secoli) e che nel calcio, puoi chiamarti come vuoi, ma se non corri non vinci. Se l’avversario corre più di te, avrà più facilmente il pallone nei piedi e se il pallone nei piedi ce l’ha lui e non te, come fai a fare goal? Se non fai goal, come fai a vincere?

Un teorema molto semplice che fu confermato quel giorno di Novembre del 1982, quando l’Ascoli di Carlo Mazzone e del leggendario Presidente Rozzi, sconfisse senza discussioni uno squadrone nettamente superiore sulla carta. Sulla carta.

 

 

Dedicato alla memoria di Costantino Rozzi, sanguigno e appassionato Presidente di un calcio che non c’è più, ma è ancora vivo nel cuore di chi l’ha vissuto.