R.I.P. Presidentissimo!

boniperti

Chi ha seguito il calcio negli anni ’70 e ’80 sa cosa abbiamo perso ieri.

La foto sopra rappresenta forse meglio  delle punizioni di Platini, dei cross di Causio, della grinta di Furino e Tardelli, dei colpi di testa di Bettega, delle sgroppate devastanti di Boniek, dell’eleganza di Scirea, dei fischi di Trapattoni in panchina,  ciò che è stata la Juve in quel periodo.

Quei due signori hanno costruito una delle squadre più forti e vincenti di sempre, scrivendone la storia.

Gianni Brera scriveva di Boniperti: “A voler sempre vincere non è lui ma don Giovanni. Boniperti è un valvassore che sa il fatto suo, al punto che il piacere più vero per lui è saperlo accontentare” (con don Giovanni, Brera si riferiva naturalmente all’Avvocato Agnelli).

Lo accontentò parecchio. Come calciatore prima, ma soprattutto come Presidente poi.

Con Boniperti Presidente infatti la Juve tornò a primeggiare, anche grazie al fatto che, all’inizio, gli venne affiancato il più grande general manager del calcio italiano: Italo Allodi. Due galli nel pollaio però non potevano durare, perciò nel pollaio gli Agnelli ci tennero Boniperti, che qualche anno dopo, nel 1976/77 costruì il suo capolavoro. L’anno prima infatti la Juventus perse malamente lo scudetto, dissipando un vantaggio di punti considerevole che aveva acquisito nel girone d’andata. Lo scudetto andò al Torino, la rivale cittadina e allora Boniperti, nella stagione successiva,  sorprendendo un po’ tutti cedette due colonne come Capello e Anastasi al Milan e all’Inter in cambio di Benetti (e soldi)  e Boninsegna (e soldi anche in questo caso). Ad allenare la squadra chiamò un giovane allenatore, che aveva allenato il Milan come traghettatore prima e insieme a Nereo Rocco poi, ma mai in una stagione completa: Giovanni Trapattoni.

I tifosi erano scettici, più che per Trapattoni, per la campagna acquisti. Non capivano che stava nascendo una delle Juventus più forti e belle di sempre: quella della stagione dei 51 punti in campionato e della vittoria in Coppa Uefa. Quella squadra, composta da undici giocatori italiani (ancora oggi infatti viene definita “Juve autarchica”)  è sempre stata, per sua ammissione, la Juve a cui l’Avvocato fu più affezionato.

La Juve bonipertiana ha vinto tutto e forse l’unico rammarico del Presidentissimo bianconero è aver portato a casa il trofeo più ambito (e a lungo più inseguito dai bianconeri) quel maledetto 29 maggio del 1985, in quella che è stata forse la peggiore serata che lo sport abbia vissuto.

Ad ogni modo, con Boniperti ci lascia un’altra figura carismatica del calcio che abbiamo vissuto da bambini. Personaggi come lui, l’Avvocato Agnelli,  Dino Viola, Peppino Prisco, Paolo Mantovani, Orfeo Pianelli, ci mancano e continueranno a mancarci, per la loro signorilità e perché erano Presidenti di squadre di calcio sì, ma per cui il calcio alla fine era prima di tutto sport e divertimento.

Concludiamo con un famoso aneddoto.

Alla fine del campionato 1980/81, vinto dalla Juventus, ricordato ancora oggi come quello in cui ci fu “Er gol de Turone”, Boniperti inviò a Dino Viola un righello (giacché il fuorigioco/non fuorigioco di Turone fu commentato dal compianto Presidente giallorosso come “Questione di centimetri”). Viola rispedì al mittente il dono a Boniperti (che era geometra): “Un righello è per geometri, io sono ingegnere. Serve più a lei che a me”.

Sono passati quarant’anni e tanti tifosi litigano e si azzuffano ancora per un episodio che i principali protagonisti presero con molto garbo, scherzandoci quasi su, poche settimane dopo. Farsi delle domande?

R.I.P. Presidentissimo.

18 maggio: due vittorie, due storie

Ieri era il 18 maggio, ovvero una data in cui sono state conseguite due vittorie rimaste scolpite nella storia del nostro calcio, a cui dedichiamo questo post.

Il 18 maggio 1977 la Juventus vinse il suo primo trofeo europeo, alzando al cielo la Coppa Uefa.

Quel successo però nacque ben prima di quella data, iniziò in effetti nell’estate del 1976, quando un mucchio di sapientoni contestò Giampiero Boniperti per aver ceduto Capello e Anastasi, acquistando al loro posto Benetti e Boninsegna.

Quei “professori” non capirono che stava per nascere una delle Juventus più forti e più belle di tutti i tempi, che avrebbe vinto lo scudetto conquistando 51 punti su 60 disponibili e avrebbe vinto appunto anche il suo primo trofeo internazionale, guidata in panchina da un giovane allenatore (che  si rivelò essere un’altra  scommessa stravinta da parte di Boniperti): Giovanni Trapattoni.

Era un periodo particolare, non si potevano tesserare calciatori stranieri e vedere quella Juve, composta tutta da calciatori italiani, trionfare anche all’estero fu motivo d’orgoglio per il nostro calcio. Lo fu senza dubbio anche per il primo tifoso bianconero: l’Avvocato Gianni Agnelli, giacché quella Juve tutta italiana, vincitrice di campionato e Coppa Uefa nel medesimo anno, fu quella a cui (per sua ammissione) rimase più affezionato.

Diciassette anni dopo, il 18 maggio 1994 ad Atene il Milan doveva incontrare il Barcellona allenato da Johan Cruijff  per la finale di Coppa dei Campioni.

Cruijff alla vigilia fece un po’ il gradasso dichiarando: “Noi abbiamo acquistato Romario, loro Desailly”.

Il Milan inoltre per quel match doveva fare a meno di Franco Baresi e Alessandro Costacurta, i due centrali difensivi “titolarissimi” (il primo poi senza dubbio il migliore al mondo in quel momento) e ciò destava naturalmente preoccupazioni (“Basterà Filippo Galli per fermare Romario?” era la domanda che tutti si facevano e che conteneva in sé palate di perplessità).

Fabio Capello, allenatore del Milan, mise a compimento un capolavoro tecnico tattico. La squadra che schierò in campo infatti annientò letteralmente i blaugrana.

Se mai vi è stata una partita perfetta, quella dei rossoneri in quella serata fu qualcosa che gli assomigliò in maniera tremenda.

Un Milan granitico, compatto, le suonò di santa ragione al Barcellona. Superiore in tutto e per tutto, rifilò 4 pappine alla banda di Cruijff che, dopo la sparata della vigilia, dovette assistere non solo al congelamento di Romario in campo da parte degli avversari, ma pure Desailly permettersi il lusso di andare in rete.

Rispetto al 1977 erano già altri tempi, i calciatori stranieri potevano essere tesserati (ma solo 3 ne potevano essere schierati in campo), ma quella vittoria fu (ed è ancora) un grande motivo di orgoglio per il calcio nostrano, proprio come quella conseguita 17 anni prima dalla Juventus.