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A nessuno piace pubblicare postumo

Post n°654 pubblicato il 19 Novembre 2012 da LaDonnaCamel
 

 

bookcity

Era proprio quella della foto che ho messo nel post anticipatorio  la sala panoramica del castello dove Paolo Cognetti ha presentato il suo libro, e mi dispiace per te che non c'eri perché si son fatte poche chiacchiere a vuoto e si è offerta molta sostanza: ha letto due raccontini inediti che potrebbero ben essere considerati come bonus track o contenuti speciali del libro su Sofia. Perché ancora una volta di lei si parla. Uno dei due si può trovare anche nel blog di Paolo, è una storia che cammina precipitosamente all'indietro e fa venire le vertigini tanto è secca e vera: già da allora mi ero domandata come mai non l'avesse inclusa nella stesura finale. L'altro racconto è erotico e piuttosto esplicito, una versione hardcore di Sofia che sorprende perché inaspettata. È un amore piccolo piccolo,  "Skinny Love come una canzone di Bon Iver" premette, come se lo dovesse giustificare. Io mi stupisco della citazione ma forse non dovrei.
Eppure è lei, cioè è lui, Paolo Cognetti, che ribadisce "Mi manca molto scrivere di Sofia e di nascosto lo faccio ancora".
Per prima cosa lo dice, dice che leggerà questo racconto anche se è presente in sala la sua mamma "Le avevo detto di stare a casa ma è venuta lo stesso". Si vergogna ma non si ferma, e questa è la scrittura, caro mio: mostrare il contenuto delle proprie viscere anche se delle volte non si vorrebbe che la propria mamma - o i propri figli - sapessero cosa c'è dentro. Coraggio e onestà intellettuale.
Che poi, cosa vuoi che ci sia dentro di diverso dagli altri, se non il modo di raccontarlo?
Comunque c'era un bel po' di gente, le sedie, rigorosamente spaiate, erano quasi tutte piene, segno che c'è stato un bel movimento intorno a questa festa. A un certo punto mi si è avvicinato un signore distinto, mi ha chiesto se per caso ero la mamma dell'Ilaria. No, non lo ero e credevo di non conoscere nessuno lì, a parte Paolo.

MozziInvece prima, a palazzo reale, oltre a Giulio Mozzi c'era Matteo, un mio collega dei laboratori (non dico ex perché chi lo sa). La situazione era alquanto paludata: presentavano questo libro che si intitola Siamo spiacenti,  di Gian Carlo Ferretti e, a parte Giulio Mozzi non conoscevo nessuno dei relatori - e a parte Matteo nessuno nemmeno nel pubblico - ma da come se la tiravano dovevano essere pezzi da novanta dell'editoria, gente che ha mangiato il budino con Vittorini, che si prendeva a pacche sulle spalle con Pavese, per dire. Cioè, non si sono vantati di niente del genere, sono cose che mi immagino io, retroscena interessantissimi dei destini editoriali, di successi e di clamorose cantonate, dove il succo mi pare che fosse: se non ti riconoscono entro un tempo ragionevole, a che serve poi? A nessuno piace pubblicare postumo.
E così son rimasta lì fino all'ultimo momento possibile, non fino alla fine che facevano interventi che duravano delle belle mezze ore e avevano appena finito il primo giro quando ho dovuto salutare Matteo e scappare al castello. Sono arrivata là che la sala Weiss era appena stata svuotata, una disdetta che non ti dico. weissWalter Siti si attardava chiacchierando con qualcuno, la sala era tutta foderata di librerie, fino in alto, due o tre piani di scaffali ricolmi e protetti dai vetri, una meraviglia che non mi hanno permesso di fotografare, maledetti, però fa niente, ho trovato in rete questo raduno dei monarchici italiani che gli han dato la sala e si vede bene, non so quando l'han fatto ma rende l'idea.

Questo è stato il bello e il brutto di questa festa del libro, un sacco di incontri in contemporanea sparpagliati dappertutto. La sala panoramica era al terzo piano con l'ascensore nella stessa ala del castello ma era un bel po' più grande e anche più strana, con divani di modernariato e dei pezzi di finestre in mezzo alla stanza, un po' scrostate, come se dovessero ripitturarle da un momento all'altro.
Dopo che ha finito la lettura mi sono attardata a guardarmi in giro e una signora mi fissava, io allora la fissavo e si è avvicinata, ci siamo fissate e abbiamo sorriso, ci conosciamo? a me sembra di no però non so, a lei? anche a lei sembra di no. Poi forse era una vicina di casa dei genitori di Paolo, oppure ho capito male io. Intanto lui firmava i libri. Sono andata via alla chetichella, senza salutare. Chiedo scusa, delle volte mi vengono degli accessi improvvisi di timidezza, oppure non so più che cosa dire e scappo.
Nel cortile c'erano delle lettere tridimensionali e bianche, illuminate da sotto e sparpagliate nell'erba che facevano un bell'effetto, ma l'effetto ancora più turbante erano le voci che si sentivano, avevano nascosto dei microfoni che recitavano pezzi di libri con le voci impostate, non so se andavano avanti a nastro oppure si accendevano quando ti avvicinavi però nella notte faceva la sua porca figura. Eran quasi le dieci e non avevo cenato, ho pensato che in frigo avevo un po' di minestrone da scaldare e mi sono affrettata.
Al semaforo di viale Lunigiana, ero quasi arrivata a casa, una signora mi guarda fissa. Era insieme a un'altra e io penso, ma cosa ho addosso oggi? ho messo le mutande sopra i pantaloni che tutti mi guardano? Ma và, ho anche la gonna, non è possibile. Questa signora mi sorride e fa: ma tu andavi al Cremona? Sì, sezione G e tu? Io F. Eh, si vede che eravamo vicine, sullo stesso corridoio. E però. Lei insiste. Con chi eri, e che anno era e cosa hai fatto poi e dove abiti.
Era in classe con il mio ex marito, abbiamo anche fatto le vacanze insieme, l'estate dopo la maturità. Una parte delle vacanze, vabbè. Solo qualche giorno in Portogallo.
Almeno la terza volta era quella buona: altro che le mutande, si vede che venerdì sera emanavo ricordi.

 
 
 
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