Creato da LaDonnaCamel il 16/09/2006
Il diario intimo della Donna Camèl con l'accento sulla èl
 

Messaggi di Ottobre 2009

Coach

Post n°383 pubblicato il 25 Ottobre 2009 da LaDonnaCamel
 
Foto di LaDonnaCamel

Dal blog del mio allenatore:

1) Secondo te è possibile insegnare a scrivere? Se sì, che cosa?

Forse sarebbe meglio chiederci: si può insegnare a fare arte? O al contrario: perché insegniamo a dipingere, a suonare, a recitare, e dubitiamo che si possa insegnare a scrivere, come se lo scrittore dovesse essere l’unico artista autodidatta?
Naturalmente, la scrittura non è solo una tecnica. Dunque non è come insegnare a nuotare o a guidare la macchina. Ma scrivere richiede strumenti che possono essere trasmessi, o almeno perfezionati: prima di tutto saper leggere bene, cioè capire come funzionano le storie che leggiamo. Imparare a riconoscere i modelli che possiamo utilizzare scrivendo.
E poi avere a disposizione un ambiente ricettivo e uno sguardo critico, onesto e competente sul nostro lavoro. Non è poco, non ti pare? Diverso è chiedersi se tutto questo basti per fare uno scrittore. Credo di no, così come non basterebbe per un musicista o un pittore. Per fare un artista servono qualità personali - esperienza, cultura, sensibilità, intelligenza, tenacia, abitudine all’immaginazione - che provengono dalla storia di ciascuno, e che a volte, mistificando, riuniamo sotto il nome di “talento”.

2) Di recente a Milano hai avviato un laboratorio di scrittura, che è cosa ben diversa da una scuola o da un corso. Perché? E qual è l'idea che sta alla base di questa esperienza? Quali gli obiettivi?

L’idea è quella di mettere a disposizione dell’allievo un ambiente di lavoro. Le nostre non sono lezioni ma incontri, in cui ciascuno porta i suoi testi e li confronta con gli altri. Il mio ruolo è quello di ascoltare, analizzare, identificare i problemi e i punti di forza di una storia, proporre alternative e possibili sviluppi, con tutta l’intelligenza di cui sono capace, e con l’esperienza che viene dal mio lavoro di scrittore. Dimenticavo di dire che il laboratorio è incentrato sul racconto breve. Non scriviamo romanzi né poesie né saggi, ma racconti di narrativa, perché è la forma che conosco meglio e su cui sento di avere delle cose da dire. Il laboratorio dura tutto l’anno. È importante che non finisca dopo qualche lezione, come succede di solito. Per usare un’altra immagine, è come se uno amasse correre, e volesse migliorarsi nella corsa, ma vivesse in città e non riuscisse a organizzarsi tra il lavoro, la famiglia e tutto il resto, e di fondo fosse una persona pigra e insicura come tutti noi. Allora io gli metto a disposizione un campo sportivo, un calendario da seguire, dei compagni con cui condividere la fatica e me stesso come allenatore, e la certezza che, se ti piace, puoi andare avanti quanto vuoi. Abbiamo anche grandi bottiglioni di vino, e una piccola biblioteca.

 
 
 

Per fortuna

Post n°382 pubblicato il 20 Ottobre 2009 da LaDonnaCamel
 

Stamattina ero in una sala d'aspetto, fai conto dal dentista. Leggevo questo bel romanzo, Gelide scene d'inverno di Ann Beattie, quello di cui ho parlato nel post precedente. A un certo punto sono scoppiata a ridere forte. Non si fa, lo so. Altro che minimalista, ho pensato, ma quando mai? Minimalista? ma fammi il piacere, ma dove?
Il ragazzo davanti a me mi guardava, mi ha sorriso. Bel libro, ho detto piano, come per scusarmi. Lui ha annuito, ci credo, voleva dire. Ero a pagina 150, ho guardato apposta per potertelo raccontare. Ho pensato che i consigli di Paolo sono sempre azzeccati. Non sbaglia un colpo. Ci metto quattro stelle anche se, per fortuna, non l'ho ancora finito.

 

 
 
 

Buona la ventitreesima

Post n°381 pubblicato il 13 Ottobre 2009 da LaDonnaCamel

Venerdì scorso sono andata alla presentazione di un libro. Dove sta la novità, dirai tu. Vai sempre alle presentazioni dei libri. Bè, non sempre. E comunque sì, ci vado spesso, e allora? Mi piace incontrare persone a cui piacciono i libri, mi piace sentirne parlare e mi piace anche vedere qualche nuova libreria, se capita. Questa per esempio si chiama Centofiori e ha traslocato da poco in una sede nuova di zecca in piazzale Dateo a tre metri dalla fermata della 92. Ci hanno messo degli scaffali blu lussuosissimi, mi sarebbero piacuti per casa mia. Lo so che non è dagli scaffali che si giudica una libreria, però anche dagli scaffali belli e ben allestiti si può dedurre la cura per i particolari, l'attenzione e la pazienza, l'amore per i libri.

Paolo Cognetti e Matteo B. Bianchi presentavano Gelide scene d'inverno di Ann Beattie, una scrittrice di culto negli USA e molto sconosciuta qui da noi, pressoché mai stata tradotta prima. E' ancora Minimum fax l'editore che rilancia autori di spessore ignorati, chissà perché, dalla grande editoria commerciale.

Si è parlato di tante cose: del fatto curioso che anche se per noi è nuovo, il romanzo è stato scritto una trentina di anni fa; dell'etichetta di minimalista che i critici le hanno appiccicato addosso (a chi mai può piacere essere coperto di etichette? nemmeno alle scatole di pelati piace), degli influssi e contaminazioni con gli altri esponenti sia letterari che cinematografici di quella corrente di "riflusso" che aveva attraversato un certo strato sociale verso la fine degli anni settanta in USA e nei primi ottanta da noi. La signora ha risposto a tutto con leggerezza e ironia, senza però cercare di svicolare.

Poi Matteo B.Bianchi ha fatto una domanda che aveva pressappoco lo stesso contenuto di un post che avevo letto qualche giorno fa nel suo blog, lo riporto qui quasi tutto che le sue parole sono molto meglio del mio striminzito riassunto. La risposta con la traduzione di Martina Testa nel video che segue (vedilo piccolo perché è a bassa risoluzione).

"La cosa che mi ha maggiormente colpito della biografia di Ann Beattie è un episodio precedente al suo debutto: aveva scritto e inviato ventidue racconti alla rivista The New Yorker prima che questa accettasse di pubblicarne uno nel 1974. Il ventitreesimo, "A platonic relationship".

Ogni scrittore in erba mette in conto di dover subire dei rifiuti prima di giungere alla pubblicazione. Tuttavia riceverne ventidue consecutivamente (per ventidue opere differenti) credo che avrebbe annientato l'autostima di chiunque. Non è stato così per Beattie, che ha continuato con immutata costanza e dedizione a scrivere, a immaginare nuove storie, a misurarsi con se stessa. In una parola, a provarci.

Interrogata a proposito nel 2005 dalla rivista Folio, l'autrice fornisce una risposta deliziosa. Alla giornalista che le chiede come abbia potuto mantenere questa determinazione, Ann Beattie dice: - Oh, ero giovane. A quei tempi per me "mantenere la determinazione" significava indossare un pigiama comodo prima di mettermi a scrivere -. E' una bellissima immagine, calda e pacifica, intrisa di un'innocenza e un entusiasmo tipicamente giovanili. Una ragazza che (per sua ammissione) trovava noiosa l'università e dedicava le proprie serate alla scrittura quasi come fosse un hobby ricreativo.

Sebbene la risposta sia così rassicurante, non posso fare a meno di calcolare che solo due anni più tardi Beattie avrebbe debuttato in libreria con ben due volumi, il romanzo "Gelide scene d'inverno" e subito dopo la raccolta di racconti "Distorsions". E' dunque probabile che anche quei materiali derivassero dalle sue sedute notturne. Leggendo il romanzo non si può che rimanere stupiti per l'abilità con la quale l'autrice illustra i complessi rapporti sentimentali che uniscono i protagonisti, il ritmo irresistibile dei suoi dialoghi, la maturità della prosa. Un livello altissimo per un romanzo d'esordio, che lascerà stupefatto più di un critico. Quindi quella scrittrice impegnata nella stesura di un libro di tale valore è la stessa persona che riceveva un rifiuto dopo l'altro.

Ciò che mi chiedo allora non è come abbia potuto "mantenere la determinazione", quanto piuttosto come abbia potuto non soccombere, con un simile talento e il suo continuo mancato riconoscimento.

Basta un piccolo conforto casalingo a fornire la forza necessaria? Forse Ann Beattie sta minimizzando in maniera brillante un periodo fatto sì di entusiasmo, ma anche di incertezze e difficoltà?"

 
 
 

La nostra costituzione VIVE!

Post n°379 pubblicato il 07 Ottobre 2009 da LaDonnaCamel
 

Art. 3

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

 
 
 

Tutti i miei robot

Post n°378 pubblicato il 04 Ottobre 2009 da LaDonnaCamel
 
Foto di LaDonnaCamel

Ti ricordi il robottino pulitore di cui avevo parlato qui? Bè, il mio desiderio sta per avverarsi! Ho finalmente raggiunto i cinquemilacinquecento punti fragola necessari per averlo in regalo dall'esselunga, pagando in soprappiù solo il modico contributo di centosessanta euri che comunque è meno della metà del suo prezzo sul mercato, l'ho ordinato ieri e mi hanno detto che in tre giorni sarà mio. Perché io detesto fare i mestieri. Cioè, non è che desto fare il falegname, il fabbro e l'arrotino, come mi diceva tanto tempo fa ridendo un mio amico di Firenze. Lo so che fare i mestieri è un modo di dire tipico di Milano e altrove questa locuzione fa ridere. A me mi fa più ridere faccende, come dicono i fiorentini per esempio. Prima mi fa venire in mente quelle signore che stavano disegnate sulle scatole dei detersivi in polvere, col fazzoletto legato in testa, le due cocche che svettano come cornini e la stella sul sorriso dentuto. Tide. Roba vecchia che tu non puoi sapere. Subito dopo invece penso a Follieri, Marini, Tarantino e quelli come loro, purtroppo certe parole vengono anche snaturate dall'uso. E allora mi immagino i loro bambini a scuola, la maestra che chiede a tutti che lavoro fa il tuo papà? E uno dice il falegname, l'altro l'arrotino, e il figlio di Follieri dice: il faccendiere, e il figlio del filippino dice: anche il mio. Niente, parola bruciata. Potrei dire che faccio le pulizie, ma pure questa mi da fastidio, mi viene in mente pulizia etnica e non ce la faccio, non ce la posso fare. Così continuo a fare i mestieri, sarà anacronistico, sarà dialettale, fino a che bossi non se ne impadronisce vado avanti così e poi vedremo. Ognimodo, dicevo che odio i mestieri ma tra tutti i mestieri odio più di tutti scopare. Eccolo lì, lo so che anche questo ti susciterà una risatina. Che colpa ne ho io se questa parola viene usata più metaforicamente che in senso proprio? Avevo una collaboratrice domestica, quando me lo potevo permettere, che ogni volta che le chiedevo ha scopato in camera mia? arrossiva. Era di Foggia. Va bene, lo so. Non odio scopare in senso figurato, al contrario, odio farlo solo in senso letterale. Ma spazzare a me mi porta subito all'idea di un tornado, una alluvione, un terremoto o una frana (ot: un pensiero di solidarietà per gli amici siciliani). E poi, scusa, ma l'attrezzo si chiama scopa, mica spazza. La spazzatura è quella che già sta nella pattumiera. Allora, io che detesto scopare, e più ancora passare l'aspirapolvere, ho sempre la casa sporca. Una volta non era così, una volta avevo la collaboratrice domestica, detta anche l'aiuto, che pure questo mi fa ridere, sentire le signore che si chiedono una all'altra, hai l'aiuto? Sì, un cardiochirurgo di prima nomina, era aiuto al policlinico ma gli ho offerto cinquanta centesimi in più all'ora e i biglietti del tram andata e ritorno. Vabbè, divago. Io l'aiuto non ce l'ho più e i pavimenti sono sporchi quasi sempre. Tanto non ho più bambini che gattonano in giro. Ho solo gatti che bambinano, ma questa è un'altra storia che non c'entra. Si tratta di aprire la porta con un ritmo regolare, ogni dieci minuti, quando sono fuori vogliono entrare e quando sono dentro vogliono uscire. Poi vogliono essere nutriti ogni tre ore circa, cioè, vorrebbero, ci provano: questa pappa non è buona, mi dai la pappa buona? Anche qui non è difficile, basta far finta di essere quello che si è, cioè solo stupidi umani che non capiscono. E sarà lo stesso pensiero che avrà il robottino, temo, quando cercherò di farlo funzionare senza aver prima letto il manualone di trecento pagine ventisei lingue stampato in times in corpo due.

 
 
 

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