Creato da LaDonnaCamel il 16/09/2006
Il diario intimo della Donna Camèl con l'accento sulla èl
 

Messaggi di Luglio 2011

Le avventure di Nonugo 2/n

Post n°470 pubblicato il 18 Luglio 2011 da LaDonnaCamel
 
Tag: Nonugo

Nonugo era laureato in agraria. Aveva potuto studiare grazie a una zia facoltosa perché il babbo era morto quando lui era bambino e la mamma riusciva a malapena a sfamarli. Era il minore di sette fratelli e sorelle, lo chiamavano poleciut. Quando era piccolo assomigliava davvero a un pulcino, con tutti quei capelli biondi fini fini che d’estate, a correre tutto il giorno per i campi, diventavano ancora più chiari, quasi bianchi come la scorza delle pannocchie.
La sua carriera di scaricatore era già bella e finita in un ufficio a riempire i moduli e i registri della Compagnia. Numeri su numeri da far venire il mal di testa. Non che Nonugo fosse dispiaciuto, non subiva per niente il fascino romantico della dura vita del porto, era un tipo concreto che badava al sodo. Per questo aveva deciso di scrivere al parroco del suo paese in Italia.
Lavorava senza concedersi tregua, senza una distrazione. Alla sera studiava lo spagnolo per migliorarsi.
Abitava in una stanza a pensione da una vecchina, una signora curva come un giunco sull’acqua, con le mani nodose da strega ma gli occhi gentili che nella sua andatura stortignaccola portava una certa aristocratica fierezza. Era una bella casetta pitturata di azzurro, tutta su un piano con intorno un piccolo giardino polveroso. Nonugo le tagliava l’erba e le potava le siepi - uno sforzo di Sisifo arginare la giungla che a dicembre cercava di avere la meglio sull’ordine pretenzioso e già piccolo borghese a cui aspirava la padrona di casa. In cambio di questo extra in natura alla pigione aveva il permesso di consultare qualsiasi volume della biblioteca che era stata del marito di dona Angelica Ocampo Aguirre.
La stanza era sempre in penombra, mai gli scuri venivano aperti per non rovinare i tappeti e la grande poltrona di cuoio, unico mobilio oltre agli scaffali che ricoprivano due pareti intere, dal pavimento al soffitto.
Nonugo si prendeva un libro a caso ogni sera, lo sceglieva nel buio come una sorpresa o una promessa, se lo portava in camera da letto e leggeva qualsiasi cosa per metà della notte. Dopo due o tre ore di sonno si alzava, faceva la sua ginnastica mattutina, il bagno nella vasca di zinco, la barba davanti allo specchio a tre ante, riponeva il libro nel punto preciso dello scaffale da dove l’aveva preso e andava al lavoro profumato di vetiver.

(Continua, forse)

 
 
 

Vedete anche voi quello che vedo io?

Post n°469 pubblicato il 18 Luglio 2011 da LaDonnaCamel
 

 

Qualcuno sa dirmi come si fa a togliere il box di facebook dal blog? Non so se i contenuti a lato sono riservati a me oppure sono visti da tutti, non so nemmeno se sono correlati in qualche modo alle mie pagine, magari di culo e di porno qualche volta ho anche parlato ma non recentemente, non mi ricordo e non è moralismo il mio, ci mancherebbe, delle volte mi fa anche ridere. Solo che preferirei di no (cit.)

 
 
 

Eccola

Post n°468 pubblicato il 16 Luglio 2011 da LaDonnaCamel
 

nutria

 

Che fossi una donna capace di grandi passioni s'era già sospettato. Non credo ci sia niente da aggiungere: è il finale? Credo di sì. Ne sei sicura. Sì. (cit.)

 

(It's such a sad old feeling
the fields are soft and green
it's memories that I'm stealing
but you're innocent when you dream
when you dream
you're innocent when you dream)
(Tom Waits)

 

Ma potrebbe esserci un sequel prima o poi, chi lo sa.

 
 
 

Le avventure di Nonugo 1/n

Post n°467 pubblicato il 15 Luglio 2011 da LaDonnaCamel
 
Tag: Nonugo

Mi sto girando nella testa un personaggio, una bella sagometta te lo dico io. Uno che se fosse ancora vivo (ma non ho detto che sia morto) uno che se fosse vivo sarebbe sui novanta adesso, perché è nato negli anni venti. Ne sa di storie questo qua, da riempie uno scaffale se ha voglia.
Dico uno per dire, che potrebbero anche essere molti, ma se dico uno ho le mie ragioni.
So anche il nome ma adesso non mi va di dirtelo, sappi che non è Ugo: con questo ti puoi già fare un’idea perché Ugo è un conto, non Ugo tuttaltro.
 
Nonugo si ricorda ancora delle robe di sua nonna, si va un bel po’ indietro, saranno robe che nessuno oggi te le potrebbe raccontare di prima mano ma solo di seconda o di terza, come sto facendo io del resto, robe che potrebbero anche essere state vere.
La nonna di Nonugo metteva il vino nella minestra, per esempio. Quel brodo di gallina vecchia con tutti gli occhi di grasso a galla che fa venire i brividi solo a vederlo. Ci metteva dentro un bel bicchiere di rosso e ti assicuro che, a parte l’aspetto inquietante, era buonissimo, credimi sulla parola che ho le mie buone ragioni. Aveva anche uno strano modo di condire l’insalata: faceva soffriggere nel padellino un po’ di lardo e lo buttava sopra al radicchio, se ce l’aveva il radicchio, se no andavano bene le foglie bislunghe di quei fiori gialli che poi diventano soffioni, non mi ricordo come si chiamano ma lo sai (sto scrivendo a mano su un pezzo di carta, sono a casa e non ho voglia di andare in studio e accendere il mac per domandare a wikipedia).
Quelle foglie sono amarissime a mangiarle così, si devono prendere solo le più tenere e si devono tagliare fini fini e poi lavare tante volte nell’acqua per portare via i succhi cattivi. Invece dell’olio e dell’aceto ci butti sopra quel soffritto che ti ho detto e non serve neanche il sale. Dicono, perché questo non l’ho provato. È che la nonna di Nonugo stava in campagna, il sale e l’olio bisognava comprarlo con i soldi invece il maiale veniva su da solo e anche le erbe.
 
Nonugo da giovanotto è andato in Argentina a cercare fortuna, non sto qui a raccontarti adesso il perché e il percome, immaginatelo già là. Siccome era uno che le cose le sa, aveva preso al volo il primo lavoro che aveva trovato che alla fortuna bisogna andargli incontro: scaricava i barili al porto di Buenos Aires. Un lavoro da bestie insieme alle bestie, dalle quali Nonugo si distingueva indossando camicie di seta. Lo chiamavano il dandy, ma con rispetto: i suoi pugni avevano imparato la lingua del posto prima di lui. Me lo immagino che arranca sulla banchina, il fazzoletto sulla spalla a proteggere la sua bella camicia dal barile. Il capo lo vede dal gabbiotto e sbatte due volte gli occhi, esce lasciando la porta aperta e gli si avvicina, gli cammina a fianco, chinandosi per guardarlo in faccia gli domanda se, quel damerino, per caso sapesse anche leggere e scrivere. Nonugo era laureato. (continua, forse prima o poi)

 

Indice provvisorio

- 2
- 3
- 4
- 5

 
 
 

Fotoromanzo

Post n°466 pubblicato il 10 Luglio 2011 da LaDonnaCamel
 

L'ho rifatto. Perché sono così, che se una cosa mi piace una volta sola non mi basta, ho come l'impressione che la prossima volta sarà ancora meglio, mi faccio delle aspettative, mi dico che se ho fatto qualche piccolo sbaglio la prossima volta starò più attenta. Poi gli errori si fanno lo stesso, si capisce, si fanno errori diversi. Per questo voglio provare e riprovare, anche se lo so che la perfezione non esiste o se esiste non si può raggiungere mai. Però una tensione verso il meglio non è sbagliata, è giusto provare e mettercela tutta. E poi se non è giusto pazienza, lo voglio fare e lo faccio.
Così ho preso su la bici, era più o meno la stessa ora di sabato scorso ma non faceva così fresco, non c'era aria e l'afa si sentiva.
Stavolta ho controllato che il telefono fosse carico, tutte le tacche aveva, che lo uso per fare le foto. L'ho messo in tasca, pronto alla mano. Lo ammetto, speravo di reincontrare la nutria. Evabbè, sarò fissata ma voglio una foto di quella nutria e vediamo chi la vince.
Oggi ho le gambe meno legnose, per quanto sia passata una settimana si vede che i muscoli rispondono meglio. Stamattina ho fatto altro esercizio fisico: ho pulito il terrazzo che è un lavoraccio. Stai a vedere che se vado avanti così divento in forma davvero.
E allora pedalare senza fretta, che il vento me lo faccio io e la differenza si sente.

Ci sono dei momenti in cui mi accorgo all'improvviso che sto andando in bicicletta e mi dico da sola ehi, so andare in bicicletta e mi sembra impossibile. Eppure è vero, e adesso non cado nemmeno quando me lo dico, si vede che mi sono abituata.

Voglio fare un po' di foto, ci sono degli scorci bellissimi su questo naviglio, a raccontarli nessuno ci crede, specie se come prova porto una foto senza nutria.
Voglio fare tante foto invece e metterle nel blog, non solo nella galleria che messe lì così non dicono niente. Queste sono le cose che sto pensando mentre pedalo, posso anche distrarmi e guardare gli alberi sulla riva opposta, gli orti stretti poco sopra il pelo dell'acqua e tenere d'occhio i ciclisti che mi vengono incontro, le signore che spingono i passeggini, quelli che corrono tutti sudati, ma come faranno che io, già così. Le foto le mischio un po' al testo che scriverò, ieri ho letto che Giulio Mozzi sta facendo un fotoromanzo, lo vedi, tutto torna, farò anche io un fotoromanzo. Sono proprio una blogger persa a pensare di scrivere di una cosa mentre la sto facendo. Proprio adesso che i blog son passati di moda, come i fotoromanzi. Va che son controcorrente anch'io come Mozzi. Difatti all'andata si pedala controcorrente, l'acqua mi viene incontro, ma questo lo sapevo già da prima.

viale monza

E allora scendo e fisso giù questa bella casa a due passi da viale Monza. C'è un tunnel per passare sotto la strada, si sente subito il fresco, peccato che è corto. Ogni tanto una nuvola passa davanti al sole e i ciclisti ringraziano, ma l'arietta di sabato scorso era un caso straordinario.
Mi domando se mi ricorderò il posto della nutria, ci sono già le paperette in fila, mi sa che non manca molto. L'ha vista anche Massimo, è famosa. Mi ha detto perché non l'ho chiamato, che sarebbe venuto anche lui. Non l'ho chiamato perché avevo voglia di andare da sola e anche oggi ho fatto finta di niente.
Mi ha portata lui qui, due anni fa siamo andati fino a Gorgonzola. Come ero tesa, facevo il doppio di fatica e mi bolliva la testa. Un po' è anche proprio perché c'era lui, dovevo tenere il suo ritmo, non mi potevo fermare quando volevo. Lui era paziente e cercava di adattarsi alla mia imbranataggine, però ogni volta che dicevo di sì spostava il traguardo un po' più in là e io di conseguenza frenavo. Sarò bastian contrario?

tana

Ecco il posto della nutria, son sicura, lo riconosco dal tronco che sporge. Scendo e mi avvicino al parapetto. La nutria non c'è ma il posto è occupato. C'è un uccello nero che si liscia le penne col becco e una paperetta che va avanti e indietro

Quello deve aver appena fatto il bagno e si sta facendo la messinpiega davanti alla tana della mia nutria, per forza lei non viene fuori. Aspetto un po', cammino avanti e indietro anch'io come la paperetta ma niente, si vede che non è il momento. Gli osservatori di nutrie devono avere molta pazienza e molto tempo da perdere, io oggi sono un'osservatrice di nutrie frettolosa, ci ho la smania. Vado. Al ritorno, casomai.
Poche pedalate e sono a Crescenzago, il canale costeggia per un pezzetto viale Padova e poi si gira a sinistra, si va sulla strada asfaltata fino a un cancello, e dopo il cancello un ponte.

cartello

Davanti al ponte c'è questo cartello. Un po' offensivo, a dirla tutta: sarà bassa per voi, per me mica tanto. La prima volta che sono arrivata al baretto mi pareva di aver scalato l'Everest.
Il ponte va spiegato: qui c'è un incrocio di acque: da una parte il Seveso, che è un fiume vero e proprio, anche se piccolo, dall'altra la Martesana che è un fiume finto, artificiale.

ponte

Il ponte passa proprio sopra l'incrocio. Per non sbagliare ci hanno messo un altro cartello, come se fosse possibile perdersi: c'è una strada sola, è sempre vicino al canale, perfino io sono in grado di tornare a casa.

Di qui il Seveso arriva, è brutto da vedere perché c'è una specie di chiusa, o diga, e forse anche una cava o fabbrica, non si capisce bene, sembra più artificiale del canale, magari su wikipedia c'è scritto.

Dall'altra parte il Seveso va via e si vede che è un fiume vero, con le sue belle rive irregolari.
Il ponte è tutto fatto su con una rete metallica, forse per le piene, non credo per evitare di cadere di sotto. Questa foto l'ho fatta tra una maglia e l'altra.
Siamo quasi a Vimodrone.

Difatti, ecco un altro cartello. Adesso mi fanno un po' ridere, ma la prima volta li leggevo tutta fiera, pensa, Vimodrone! pensa, Cologno Monzese! Pensa, Cernusco sul Naviglio! Cassano d'Adda no, non ci sono mai arrivata. Però chissà, c'è un punto, più avanti, dove la ciclovia incontra la metropolitana. Alla domenica si può salire con la bici, dieci minuti e sei già lì, e allora anche l'Adda diventa possibile.
Ma intanto adesso siamo qui, vicino all'autostrada, la tangenziale.

b

Qui c'è sempre qualcuno che si ferma a riposare, o a pescare giù dal ponte. Sempre tranne che in questo preciso momento. Mi fermo io, il posto è libero. Mi rinfresco all'ombra e guardo giù per la discesa.

Una discesa ripida e in curva che va a finire dentro un tunnel stretto e buio, per passare sotto all'autostrada. Ti butti giù a rottadicollo e poi d'improvviso sei cieco. Una paura, io poi non ho nemmeno il campanello. Ogni volta mi dico che me lo devo comprare, non posso andare avanti a fare la tosse per far spostare i pedoni. Del resto non mi va nemmeno di gridare pista!, come si fa in questi casi? si chiede permesso? Scusi per favore vorrebbe per cortesia guadagnare il bordo della pista ciclabile di modo che io, che per l'appunto starei ciclando, possa procedere nella direzione di marcia. Insomma, faccio due colpi di tosse e così si tirano da parte. Sono impaziente, l'ho già detto?
Comunque questa discesa non è niente vista da questa parte, immaginatela al ritorno, in salita. Le prime volte dovevo scendere e spingere la bici, troppo ripida e troppo lunga per me. La mia bici non ha mica le marce, era quella che costava meno.

Da qui in poi le strade si attraversano, non ci sono più le gallerie e ogni volta sono salite e discese per raggiungere il livello stradale. La cosa bella delle salite è che poi c'è la relativa discesa, con la relativa l'arietta che ti accarezza le ascelle.

 

 

Quello della foto qui sopra è il pezzo più brutto. Il canale ha le rive squadrate e lisce che sembrano marciapiedi, alberi pochi e piccoli e i prati a lato, saranno anche ben tenuti ma sembrano artificiali, sembrano quei campi di calcio fatti di moquette che ci sono negli oratori, non ti porta nemmeno vicino alla sospensione dell'incredulità. Faccio questa foto per documentare, non son tutte rose e fiori.
Ma il telefono, cioè la mia impropria macchina fotografica, emette un lamento. Dannazione, la batteria si è scaricata, e io che volevo fotografare il baretto con la sua cupola astronomica. E volevo fotografare anche più avanti dove viene il bello, o la nutria, se per caso al ritorno. E invece niente. Dovrò tornare un'altra volta, mi tocca fare un fotoromanzo a puntate. Già è venuta fuori una mappazza così, non è nel mio stile. Digrigno i denti e senza accorgermi ci do dentro di brutto. Arrivo al baretto con la faccia che mi bolle. Prendo nota che si chiama Astro Bar, la cupola bianca simil osservatorio è tutta imbrattata di scritte.
Stavolta i soldi li ho portati, mi compro un calippo alla cocacola e mi siedo su una panchina. Il telefono non è morto del tutto, quasi quasi ci provo. Voglio entrare anche io nella foto in qualche modo e ci deve essere la bici e la cupola, soprattutto la cupola. Medito bene l'inquadratura e scatto. Pif. Come pif! Pif? Neanche click ha fatto, ha esalato l'ultimo fiato così, senza rumore.
Ecco, lo sapevo. Si vede che era destino.
Le cose finiscono, cara mia, devi fartene una ragione.
Eh, lo so ma non mi rassegno, mai. Mi faccio tutti i mie ragionamenti, mi avviso, mi preparo ma poi ci rimango male. Magari a parole faccio anche la cinica, la disincantata. A chi vuoi darla a bere, eh?
E intanto mi sono accorta che non ho nemmeno fumato la sigaretta. Senti, Bià, fatti sto favore, và, fallo per me, fumatela dopo, a casa. Massì, per una volta ti darò retta.
Mi rimetto in sella e vado senza fatica, non avessi il sole negli occhi sarebbe perfetto. Mi segno mentalmente di portarmi un paio di occhiali neri la prossima volta, da mettere sopra questi. C'è sempre spazio per fare meglio.
Pedalo a occhi bassi come una ragazza timorata e in un baleno sono alla tana della nutria. Mi fermo solo un momento, giusto per non dargliela vinta. E lei arriva come un sottomarino in emersione, la vedo bene, il dorso bruno che luccica contro sole, le orecchie tappate e gli occhietti furbi. L'acqua si apre a V al suo passaggio, come il mantello di una regina. Bastarda, dillo che lo sapevi che mi si è spento il telefono. Lei non fa una piega, arriva alla penisola e sparisce in un buco nascosto dalle foglie. Bada che non finisce qui, non è ancora nata la nutria che. E poi magari non è neanche una femmina.
Domani ci torno. Non c'è bisogno di farsi tutta la gita completa, domani prendo la macchina fotografica vera e te la faccio vedere io, nutria femmina o maschio che tu sia.
Poi, a casa ho messo in carica il telefono e ho guardato le foto.

 

io

L'ho messa piccola perché è venuta un po' sfocata. Però, delle volte, anche un pif...

 
 
 

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