Creato da LaDonnaCamel il 16/09/2006
Il diario intimo della Donna Camèl con l'accento sulla èl
 

Messaggi di Dicembre 2011

Rilevanza

Post n°532 pubblicato il 22 Dicembre 2011 da LaDonnaCamel
 

 

rilevante

 

Delle volte mi mettono in evidenza nella home page di libero. Me ne accorgo perché mi aumenta il traffico e le faccine delle ultime visite al blog cambiano vorticosamente. Ma non è vera gloria, è tutto finto. Non ho ancora capito a che cosa serva, non aggiunge proprio niente alle discussioni in corso. Delle volte qualcuno mi chiede di essere amico - e dico sempre di sì - ma anche questa è una cosa finta, sono numeri, se va bene è come giocare con le figurine panini. Se va male cominciano a spammarmi la casella, vieni a vedere il tal blog, tutti i giorni tre volte al giorno. Allora li cancello e neanche se ne accorgono.
Delle volte qualcuno mi chiede di firmare una petizione per qualcosa, di solito non lo faccio perché lo so come funziona e non serve a niente e a nessuno.
Come nella vita vera, se vuoi conservare un amico devi impegnarti di persona, andare a casa sua quando non sta bene ma anche quando è felice per qualcosa di bello che gli è capitato e pure quando non è capitato niente di speciale. Un amico si incontra così, senza motivo. Si può anche stare zitti se si sta bene insieme, condividere il tempo e lo spazio è più che sufficiente.
Lo stesso, se vuoi che una cosa succeda devi alzare il culo, esserci di persona, concretamente. Nella peggiore delle ipotesi, se non sei riuscito a cambiare il mondo almeno sarai cambiato tu. Di solito in meglio.

 
 
 

La spider rossa

Post n°531 pubblicato il 20 Dicembre 2011 da LaDonnaCamel
 
Foto di LaDonnaCamel

La macchina a pedali di Luciano era una spider rossa. Con le linee arrotondate del cofano davanti e i fari tondi, ricordava l'Alfa Romeo Giulietta, ma senza copriradiatore a forma di scudo. Aveva un solo posto e il volante in mezzo. Non aveva il parabrezza e nemmeno la capote ma nessuno ci faceva caso, a parte Anita. Era insofferente a quell'approssimazione, ma non c'era altro da fare dalla nonna. Le macchinine vere erano quelle delle giostre, che avevano il tetto e le porte che si aprivano, avevano due sedili davanti e due di dietro. L'unico fastidio era il volante davanti a tutti e quattro i posti, questo era proprio uno sbaglio che di volanti, nelle macchine, ce n'era sempre solo uno. Lei detestava quando qualche altro bambino era seduto nel posto del passeggero e girava il volante: guido io, gli diceva, lascia stare. Ma era inutile, non le davano retta. E poi alle giostre ci era andata una volta sola.
La macchinina rossa l'aveva vinta nonna Rina a una riffa e l'aveva regalata a Luciano, era l'unico maschio. Comprava sempre due o tre biglietti dal droghiere o dal prestinaio o dal lattaio e aveva vinto molte volte, uova di pasqua alte come un bambino di sei anni, ceste natalizie piene di paglia sintetica, un paio di bottiglie di spumante, un torrone e un panettone, e la macchinina. Sono fortunata, diceva lei. Compri troppi biglietti, diceva Amilcare ma non si arrabbiava, era l'unico suo vizio e se lo potevano permettere.
Luciano sfrecciava avanti e indietro nel corridoio lungo della casa della nonna, Anita seduta sul cofano davanti e la cugina Irma, che era più piccola, dietro. Le due bambine si mettevano un fularino in testa e Irma prendeva una piccola valigia, Anita la borsetta che la valigia non ce l'aveva, tenevano le bambole in braccio. Luciano parcheggiava vicino al portaombrelli.
"Siete pronte?" diceva. Loro frugavano nelle borse e tergiversavano, lui approfittava per farsi un altro giro da solo, "Vado a far benzina, fatevi trovare pronte." E se non erano pronte, andava a comprare le sigarette, oppure i vermi per pescare.
Con le bambine sui cofani Luciano faceva più fatica a pedalare, doveva spingere coi piedi per terra per partire.
"Perché vai così piano?" diceva Anita.
"C'è il traffico."

 
 
 

da Bacon ai Beatles

Post n°530 pubblicato il 17 Dicembre 2011 da LaDonnaCamel
 

Anita giocava col meccano. Non era suo, l'avevano regalato a Luciano ma lui era ancora troppo piccolo, si stufava subito. A lei piaceva. Le vitine d'oro e i dadi quadrati soprattutto. C'erano delle piastre colorate, amaranto o verde scuro con i buchi rettangolari, c'erano le barrette d'argento con i buchi rotondi, c'erano dei pezzi piccoli ad angolo e soprattutto c'erano le ruote. Con le ruote si potevano fare le carrucole, c'era anche una manovella per farle girare.
Le piaceva perché quello che veniva fuori mettendo insieme i pezzi sembrava proprio vero. Non sembrava un giocattolo il meccano, sembrava una cosa vera perché era di ferro e non di plastica. Il cacciavite che davano in dotazione non sembrava molto vero, aveva il manico come un tubo piegato a triangolo, ma Mino ne aveva portati due veri dall'officina, col manico verde trasparente.
Mino aveva fatto fare dal suo falegname una cassetta di legno con gli scomparti della misura giusta. Quando avevano finito di giocare rimettevano dentro i pezzi, anche se a lei un po' dispiaceva smontare quello che avevano costruito. Facevano gru che stavano in piedi da sole sostenute da tralicci, nel cestello si potevano mettere piccoli oggetti come una caramella, un rocchetto di filo. Si girava la manovella e si faceva salire e scendere come si voleva.
Facevano macchinine spigolose come quelle di Stanlio e Ollio o camion, una volta un omino che sembrava un robot.

 

Baj

Il meccano era un gioco che Mino aveva avuto quando era piccolo e si vede che l'aveva amato molto perché ci giocava volentieri anche da grande. Luciano non tanto, prima preferiva il lego e poi, quando avrebbe avuto l'età giusta, preferiva sperimentare con le cose elettriche. Quando Mino era bambino il lego non esisteva ancora.
Luciano aveva un garage con tredici macchinine, di cui una color argento con le porte che si aprivano. Aveva trovato il modo di rubare le lampadine dei fari delle automobili, le metteva in una scatola di latta dei biscotti al Plasmon, col coperchio incernierato e una maniglia sopra che si poteva portare in giro come una cassetta degli attrezzi. Una volta gli era venuto in mente di provare che luce facevano e col saldatore a stagno gli aveva attaccato dei fili, che poi aveva infilato in una presa di corrente. Si era sentito uno scoppio, era andata via la luce e si era formata una macchia nera intorno alla presa in corridoio, davanti alla porta della sua camera. Lui aveva detto che non si era fatto niente ma aveva le ciglia tutte bruciate che facevano un ricciolo sul pezzettino rimasto.
Il bello del meccano era che si potevano aggiungere altri pezzi, se all'inizio ne avevi pochi. Mino aveva comprato un motorino che funzionava a pile, si attaccava alle ruote e si poteva demoltiplicare per farlo andare più piano usando ruote più grandi e più piccole attaccate insieme con degli anelli di gomma fatti apposta. Luciano avrebbe voluto la pista delle macchinine e purtroppo non gliela regalarono mai.

Baj


Da Bacon ai Beatles

Nuove immagini in Europa negli anni del rock
Milano, Museo della permanente
16.11.2011 - 12.2.2012

Baj

 

"Negli anni del rock, quelli quando per noi era cominciato quel rock, magari trovavi ancora il bambino con la cassetta dei gelati appesa al collo, a venderli allo stadio, ai giardini, alla stazione. Un cornetto, un ricoperto pralinato. Non c'era in giro nessuno in quella domenica d'agosto e il ragazzino s'era seduto accanto a mio padre, sulla panchina. Mio padre non voleva il gelato. Oggi era meglio se non venivo, aveva detto il bambino. Quanti anni hai? gli chiese mio padre. Undici, gli disse. E mio padre gli disse, come mio figlio. Me lo disse poi alla sera, di quel bambino. Vedi, mi dice, lui era in giro a lavorare, non come te al laghetto a fare i bagni con tua mamma. Io stavo la ed avevo tirato fuori la scatola del meccano. Alla radio si sentiva Lady Madonna dei Beatles. Poi quello fu il primo disco che mia madre mi comprò assieme al mangiadischi. Un mangiadischi rosa. Non l'ho mai capita questa cosa del mangiadischi rosa. Si vede che non ce n'erano altri, o che era di occasione. Ce l'ho ancora, giu da basso in taverna, con i suoi dischi di allora. Mi ricordo di questa storia, di mio padre che mi parlava di quel ragazzino. Suo padre, quello del bambino, vendeva gelati anche lui con un carrettino. Siamo tre fratelli, aveva detto il bambino a mio padre. Mio padre era trasognato e, quando mi raccontava questa storia il suo sguardo non so dove guardava. Mi ha detto che il bambino aveva posato la cassetta per terra. Aveva infilato le mani nella tasca e tirato fuori un pacchetto di figurine. Le aveva messe in fila sul bordo della panchina. Poi gli dava dei colpetti col dorso di un dito e cosi cominciò a farle volare di sotto. Quelle che cadevano le une sopra le altre le prendeva e le metteva in un mucchietto a parte. Queste vincono, aveva detto il bambino guardando mio padre, come per spiegargli il gioco. Non so perchè avesse quello sguardo quando mi raccontava del bambino con la cassetta dei gelati e, in tasca, le figurine. Chissà cosa vedeva. E tu invece hai il meccano eh? Come dovessi sentirmi in colpa. Chissà cos'avevano che trovavano sempre una scusa per farti sentire in colpa o che avevi piu degli altri e che dovevi avere riguardo e cosi via, cosa avevano in quegli anni del rock, che non se la spassavano mica male neanche loro, in quegli anni del rock. Insomma è stato poi quel giorno del bambino con la cassetta dei gelati che ho chiesto a mia madre se mi comprava anche a me il mangiadischi. Quel giorno al laghetto ce n'erano un sacco che suonavano a manetta di mangiadischi. C'erano le batterie di scorta sull'erba. Cose cosi insomma, degli anni nostri del rock. Poi è cosi che ho imparato l'inglese. Lady madonna Lady Madonna children at your feet Wonder how you manage to make ends meet. Who finds the money when you pay the rent?<7i> Mi vien da ridere perchè allora me le inventavo le parole e facevo finta che erano vere, quando cantavo facendo le mosse davanti lo specchio in camera mia. Non so ancora cosa avesse nello sguardo mio padre quando mi raccontò questa cosa. Quello sguardo la che gli vedevo ogni tanto negli anni del rock. Mi sa che me lo prendo e ne faccio un post anch'io degli anni del rock. e mi lasci ti cito perchè è bello il post con quella storia la del meccano. Bacon è uno di quelli che amo di piu in assoluto tra l'altro."
S
imurgh

 
 
 

Bellosguardo

Post n°529 pubblicato il 16 Dicembre 2011 da LaDonnaCamel
 
Foto di LaDonnaCamel

Pensando a tutte le cose dette e scritte negli ultimi giorni sullo sguardo dell'artista, volevo mettere una citazione di una frasetta di Checov che mi ricordo più o meno a memoria, però visto che il libro da cui è tratta ce l'ho, si intitola Senza trama e senza finale, stavo tergiversando perché non avevo voglia di alzarmi dalla scrivania per andare a prenderlo sullo scaffale, ma la citazione la voglio mettere precisa, con tutti i punti al posto giusto.
Ho tentato una ricerca qui nel mio mac, mi pareva di averla già copiata da qualche parte, forse in una mail privata, forse su Anobii. Mah, forse mi ricordo male e sto sbagliando le chiavi.
Sguardo guardo, bellosguardo. Mi viene in mente un personaggio di un vecchio film di Mel Brooks, Robin Hood un uomo in calzamaglia, che so a memoria fotogramma per fotogramma perché mio figlio, quando era piccolo, non voleva vedere niente altro. C'è stato un periodo - a me ora pare lunghissimo ma forse era solo qualche mese, che tutte le sere prima di dormire mi chiedeva mamma guardiamo robinud in calzamaglia? Non voleva vedere tutto il film, ormai era sottinteso tra noi, solo la sequenza in cui Robin lotta contro Little John per il diritto di passaggio su un ponticello. (guardala su iutub) Portavo il nastro del videoregistratore sul fotogramma giusto, all'inizio me l'ero segnata ma poi lo trovavo anche con gli occhi bendati,  lui prima batteva le mani e poi rideva, sempre, anche alla ottomilionesima volta. Non ti ho detto che magari lo vedevamo due o trenta volte di fila.
Finito il rito del film lo mettevo nel suo lettino caldo, insieme alle spade. Perché il mio bambino  non dormiva con l'orsacchiotto ma con le sue spade di plastica allineate sotto le coperte. Per proteggersi dai ladri, mi aveva detto una volta nell'orecchio.
Bellosguardo in quella scena compare solo un attimo, non è rilevante, anche se i suoi equivoci attraversavano tutto il film. È un nome che non si dimentica.

Non cosa ho veduto, ma come l'ho veduto.
Ho veduto ogni cosa: adesso, quindi, non si tratta di quello che ho veduto, ma di come l'ho veduto.
Anton Cechov, Senza trama e senza finale, 99 consigli di scrittura, Minimum Fax.

 
 
 

Citone

Post n°528 pubblicato il 15 Dicembre 2011 da LaDonnaCamel
 
Foto di LaDonnaCamel

Oggi ho letto un bel racconto di Valeria Parrella, uno di quelli che davano un po' di tempo fa con il Corriere della Sera per un euro, credo. Io il giornale di carta non lo compro mai, Corriere o Repubblica o altro, soprattutto perché poi non so dove metterlo, ma anche perché è fin troppo impegnativo e ora che ho il tempo o la voglia di leggerlo è già diventato vecchio. Io leggo a spizzichi e bocconi sul web, mi guardo le prime pagine su il post e mi sembra di avere una visuale complessiva, che tenga conto di tutto. Poi approfondisco poco, è vero, leggo uno o due articoli o qualche opinione ma ho l'impressione che le versioni sul web siano abbreviate, semplificate.
Dicevo del racconto della Parrella che mi sono fatta prestare. Mi è piaciuto molto e ne vorrei copiare qui un pezzolone, quello che mi ha colpita di più, che mi ha fatto pensare. Così quando avrò restituito il libriccino lo potrò rileggere quando mi va. Leggilo anche tu se te l'eri perso, è un pezzo che basta a se stesso - anche se è importante nella trama del racconto.

"Di fronte, lungo il muro, ci sono i tavolini quadrati piccoli, per le coppie, che qua dentro sono solo vecchi, alcuni li conosco, molti no. La città poi è grande e si invecchia senza conoscersi. Altri ancora li conosco solo se li vedo seduti lì: se li vedo seduti lì la vecchia può anche cambiare bavero al cappotto o tinta ai capelli e il vecchio avere i baffi o essersi rasato, ma insomma lì dentro li riconosco. Fuori no. Come bevono le vecchie!, ma reggono, cazzo. Le coppie qua si siedono di lungo, a fianco lungo il muro, non di angolo come i giovani. Così non si devono parlare per forza. Che è la cosa più bella del mondo, la più bella in assoluto, quella che mi manca di più nella mia vita: quando esci con la tua donna, o stai in casa con la tua donna, e non ci devi parlare per forza. Quando io e Jude prendevamo anche tre pinte seduti a fianco: a guardare le gente che cambiava davanti al bancone, e il barista al lavoro, la cassiera che dava il resto, un televisore lontano acceso sullo sport, ma senza audio. Le decorazioni del Natale precedente che avrebbero attraversato la primavera e di nuovo l'autunno per essere già al loro posto il Natale seguente. La licenza per vendere gli alcolici e l'orologio rotto che girava comunque, ma dava i secondi due alla volta, e poi niente per un po'.
"Quando cambia le pile a quell'orologio, secondo te Jude?"
"Secondo me mai: lui lo tiene di spalle, che se ne fa di un orologio di spalle? Manco lo vede là con tutte quelle bottiglie rovesciate per mezzo."
Questo ci dicevamo io e Jude, magari per tutto un pomeriggio solo questo. E poi:
"Andiamo?"
"Andiamo."
Oppure andavamo a passeggiare ai magazzini per vedere il mare. La tenevo sotto braccio o lei stava qualche passo avanti, perché le dava fastidio che qualcuno, io in particolare, invadesse l'orizzonte. Però da sola non ci veniva mai, non ci sarebbe mai venuta. O forse voleva solo essere guardata contro il mare, con il controluce di quel cielo pesante e luminoso come il piombo quando lo lucidi bene. Perché era una bella donna. Ma comunque stavamo così per ore senza parlarci, in perfetto silenzio finché uno dei due diceva: "Andiamo?"
"Andiamo."
Questa cosa nella vita non la puoi fare con nessuno se non ti fidi al mille per mille. Io non la faccio con nessuno, pure con Bill qualche cazzata sulla squadra ce la diciamo, e con Brandon anche. Anzi con Brandon parlo continuamente perché ho paura che nel silenzio arriva qualcosa - di detto o di non detto - su cui io poi non so cosa pensare. E poi Jude mi ha insegnato così fin da quando lui era piccolo: che gli dovevamo riempire la testa del mondo che c'era attorno.
Solo con Jude io mi son potuto permettere la ricchezza del silenzio perfetto: perché sapevo che non stavamo perdendo nulla. E questa cosa qui se non l'hai mai sentita, non la puoi capire. "

Behave, Valeria Parrella. (I refusi sono miei)

 
 
 

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