Creato da LaDonnaCamel il 16/09/2006
Il diario intimo della Donna Camèl con l'accento sulla èl
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"Mille e ancora mille."
Messaggi di Gennaio 2014
Tempera la matita, affila la tastiera, vai a letto presto e stai in campana: è quasi ora...
La storia del calabrone che non può volare ma siccome non lo sa vola lo stesso è una bufala che circola dagli anni trenta. E' comunque affascinante, se vuoi sapere la verità puoi cercare un po' in rete oppure visitare questa pagina che te la racconta per filo e per segno. Invece per il prossimo eds dovrai aspettare almeno fino a domani. |
Eccoci qui alle confessioni finali. Questa volta abbiamo fatto il botto, diciassette autori con ventotto racconti se ci metto anche i miei sproloqui, e ce li metto!, li ho scritti apposta. Melusina con Gloria mundi - Red Velvet - L'amore ai tempi dei nonni - Mille papaveri rossi - I salami della Beppina Dario con Lisa Borletti - Turi Pappalardo - Lucevan li occhi suoi più che la stella Gordon Comstock con Il peccato più grande Fulvia con Biancaneve Hombre con Present continuous - nove primi venerdì Angela con Pensiero stupendo – trilogia Gabriele con Cave cave deus videt - Pesci bianchi, pesci rossi Io Camèl con Vedo rosso - I magnifici sette - La casa rossa Leuconoe con Sogno di un pomeriggio di mezzo autunno Singlemama con La messa della domenica Bene, anche questa è andata. A febbraio si ricomincia ma adesso ho bisogno di una vacanza e per riposarmi me ne vado ai Caraibi per una settimana. Non è vero. |
Anche Giorgio Vasta ha partecipato (a sua insaputa) all'EDS del rosso e del peccato. Ordiniamo a qualcuno di arrossire. Presumibilmente – dopo una serie di sforzi per indursi disagio, una declinazione del metodo Stanislavskij focalizzato sulla vergogna – l’esito sarà nullo. Forse con un po’ d’impegno si arriverà a simulare, nella postura, l’imbarazzo (sguardo in basso, la punta delle dita contro le labbra), ma guance e fronte permarranno intatte.
Il rossore si sottrae all’ordine. Perché, appunto, non può essere suscitato da un comando, ma anche nel senso che coincide con un disordine del corpo, con una sua piccola impalpabile insubordinazione. Il rossore è l’irruzione improvvisa, sulla superficie somatica, di uno stato d’animo che non si è in grado di disciplinare: l’ammutinamento più lieve e silenzioso che i nostri corpi siano in grado di generare.
A questa manifestazione corporale è dedicato Rossori. Viatico all’esercizio della colpa e della redenzione di Felice Accame (:duepunti edizioni), un saggio breve che si concentra non tanto sul rossore in sé quanto sulla sua funzione narrativa. Che cosa esprime un narratore nel momento in cui decide che un suo personaggio, in una determinata circostanza, si ritrova con le gote in fiamme? Quale universo valoriale media un comportamento narrativo di questo genere? Quale idea di individuo, di società, di colpa? Continua a leggere su Minima e Moralia E' tempo di chiudere la raccolta dei testi, per questa volta basta qui, sono tanti, tantissimi e belli, alcuni davvero molto belli. Nei prossimi giorni scriverò i miei commentini come al solito, son contenta, ogni volta è meglio. |
Avevo finito per affezionarmi a quella casa troppo cara, troppo grande e troppo lontana. Anna l'aveva presa in affitto senza interpellarmi. Solo per un mese, aveva detto. Poi eravamo tornati là ogni estate. Invitavamo spesso coppie di amici ma anche se ci andavamo noi due non si era mai soli. Gli ospiti si guardavano intorno, facevano un sacco di complimenti alla bouganville che si arrampicava sul portonicino, al colpo d'occhio dell'ingresso sul soggiorno spazioso, i divani bianchi, i pieni e i vuoti ben calibrati, le librerie, i tavolini, la cucina attrezzata di tutto punto. Tutti trovavano il modo di lodare il buon gusto con cui erano accostati i mobili, fin troppo per una casa delle vacanze, e tutti, immancabilmente, appena aprivamo la portafinestra sul retro, quella che dava sul patio aperto verso la scogliera di Capo d'Orso, si zittivano di colpo, ammutolivano. Un sentiero di sabbia rosa tagliava una conchetta digradante coperta dai cespugli di mirto, euforbia e di elicriso che mandava su il profumo fino a lì. Sui due lati un piccolo anfiteatro di rocce striate dal vento e in mezzo la riga bianca della sabbia, il celeste chiaro dell'acqua limpida, le macchie delle alghe sul fondo, il turchese che si faceva più scuro in lontananza. Lo scorcio appariva sempre diverso, a seconda dell'ora, della luce, del vento che plasmava la superficie del mare e la cospargeva di scintille al mattino, la increspava di grigio con la brezza di terra, la animava con la potenza delle onde quando soffiava il ponente. La schiuma allora colorava di bianco tutta la baia, portava l'odore di salsedine fino alla terrazza. Le imposte sbattevano e l'inquietudine si trasmetteva alle persone. Una vista mozzafiato, dicevano tutti appena si riprendevano dallo sgomento, un paesaggio straordinario, selvaggio e commovente al tempo stesso. In realtà era tutto artificiale, la macchia mediterranea era stata piantata, le rocce erano state messe in modo da creare una quinta per nascondere la vista delle ville poste ai lati, pini marittimi, olivastri, cespugli e blocchi di granito facevano da muro divisorio discreto e gradevole a questo complesso di villette a schiera di livello, rosse come le rocce della Sardegna. Conoscemmo i vicini dopo pochi giorni, ci invitarono a una grigliata in terrazza. Anche dal loro portico si godeva dell'illusione di essere in un eremo, le ville mimetizzate nell'eden artificiale erano una dozzina e gli inquilini di quell'estate erano tutti lì. Consegnai al padrone di casa la mia bottiglia di Berlucchi già freddo, lui mi ringraziò e la portò in cucina. “Beppe, vieni che ti presento gli amici” mi disse, mettendomi in mano un flûte. Mi spinse verso la terrazza. Una serie di fiaccole al piretro erano disposte sul perimetro del patio. Sui tavolini sparsi in giro c'erano vassoi di tartine e sushi, bicchieri col gambo esagerato, secchielli pieni di ghiaccio e bottiglie di Dom Pérignon. Anna era sparita con la moglie del vicino e quando poco dopo la rividi in mezzo agli ospiti, per un attimo mi parve di non conoscerla. Aveva un vestito bianco scollato, il sole che aveva preso le faceva brillare la pelle, sembrava più liscia, più luminosa, più nuova quasi. Sorrideva piegando la testa di lato, non sentivo le sue parole ma le vedevo muovere la mano con grazia, disegnava nell'aria qualcosa e non mi era mai sembrata così bella. Quella sera si bevve molto. Non avevo capito la metà dei nomi e avevo dimenticato subito l'altra metà. Non riuscivo a seguire i discorsi per più di tre minuti, parlavano di cose che non sapevo, di gente che non conoscevo e di cui nemmeno mi importava. Guardavo Anna da lontano e la vedevo brillare nel suo alone dorato, emanava infrarossi e profumava l'aria col doposole che le friggeva sulla pelle. Non vedevo l'ora di tornare a casa per fare l'amore. Quasi ogni sera ci furono feste in terrazza o cene minimaliste con pochi invitati, l'interazione tra gli abitanti del complesso era fortemente incoraggiata, probabilmente faceva parte del pacchetto. Io non amavo quel genere di passatempo, stare in piedi tutta la sera con un bicchiere in mano e un sorriso finto in bocca non era il mio stile di vacanza. Anna ci sguazzava, era la sirena nella baia, gli occhi scintillanti come l'acqua della nostra caletta: se io non ne avevo voglia ci andava lei, come facevo a dirle di no. Una domenica mattina mi svegliai col mal di testa. Allungai una mano nel letto ma Anna non era lì. Non era nemmeno in cucina, non era in casa. Mi scaldai un po' di caffè e me lo portai nel patio con una pastiglia, speravo che l'aria fresca mi snebbiasse l'alcool della sera prima. La vidi svoltare la siepe di ginepro coi sandali in mano, i capelli arruffati, il trucco colato sotto gli occhi. Non le chiesi dove fosse stata. Prese una sedia e la trascinò lì vicino. Mi toccò il ginocchio. Teneva la testa bassa, i capelli le sfioravano il viso. “Beppe” disse piano. Io ero spaventato, stupito, arrabbiato. Non sapevo cosa stesse per succedere. Ero deluso e avevo tanta paura. “Beppe.” Zitta. Stai zitta per favore. Non voglio sapere niente. Avrei voluto dirle questo. Avevo anche aperto la bocca per parlare. Ma non mi uscì la voce. Lei guardò la baia, il sole era già alto, era entrata la brezza e faceva tremare le foglie del corbezzolo. “Sono una merda” disse riabbassando gli occhi. Io fissavo imbambolato i piedi nudi che lei strofinava per terra. Il pavimento di cotto era coperto da un sottile strato di sabbia portata dal vento, si distinguevano le orme che aveva lasciato arrivando dalla spiaggia, le strisce della sedia spostata, lo scalpiccìo nell'area che calpestava adesso, dondolandosi avanti e indietro come se toccasse terra appena, come se la sedia fosse altissima o lei piccolissima. I suoi piedi affusolati, le unghie rosse, i granelli di sabbia minuscoli che luccicavano tra le dita abbronzate, il tallone polveroso. “Scusami.” Scusami un cazzo, avrei dovuto dire. O anche solo taci, vai a lavarti, che è meglio. Schifosa. Niente, non riuscivo nemmeno a deglutire. “Un po' me l'aspettavo, da Enzo, erano giorni che ci provava” continuò, rauca. Enzo. Enzo! Ovvio. Dovrei sentirmi meglio. Anzi, lusingato. E tranquillo. Passato pericolo. Invece. La guardai e mi feci pena. Non sono stato capace di badarle, l'ho lasciata a disposizione di Enzo, fin troppo facile. “Dovevamo andare a fare il bagno fuori con il tender della Gioconda, eravamo in tanti. Ma poi gli altri hanno cambiato idea all'ultimo momento e sono rimasta solo io.” Mi scrutava attraverso i capelli, allungò una mano verso di me. Io ebbi un brivido. Lei sussultò a sua volta, non mi toccò. Prese il bicchiere con l'acqua avanzata. “Posso?” Perfetto, così l'impresa è omologata, Enzo non dovrebbe essere più un problema. E' andato in meta e ha timbrato. Il tributo umano è stato pagato, l'iniziazione completata. Mi veniva da ridere. O forse da piangere. Ma non riuscivo. Non riuscivo a muovermi. Ormai. Avrei voluto fare una cosa qualsiasi. Alzarmi e andare via. Salire in macchina e guidare fino a Milano. Prenderla a schiaffi magari. Insultarla. Sbattevo gli occhi e respiravo con la bocca aperta. Un cefalo nell'acqua bassa ero, meritata preda di ogni uccello che si trovasse a passare di lì. “Col tender siamo andati alla barca, già che eravamo lì abbiamo bevuto una bottiglia che aveva in frigo. Il marinaio era sceso a terra. Sai com'è.” “No. Non lo so com'è.” Mi alzai di scatto. Lei mise davanti il gomito, come per proteggere la faccia. “Ti sembro uno che picchia le donne?” dissi. Le voltai le spalle. Finalmente. Entrai in casa, attraversai il soggiorno quasi di corsa, andai in cucina e mi versai dell'altra acqua. Non parlammo più di questo. Ovviamente niente sarebbe stato come prima. Negli anni ho avuto modo di prendermi qualche piccola rivincita, di tanto in tanto. Ho anche procurato che Anna ne fosse debitamente informata. Col beneficio del dubbio: sono sempre un signore. E anche Enzo, ovviamente, e tutti gli altri. Continuavo a non divertirmi alle feste dei vicini ma purtroppo non si può fare tutto quello che si vuole. Non saprei dire se ho smesso di amarla quella sera o se era stata un'illusione fin dal principio, non sono mai stato bravo con i sentimenti, non capisco. So solo che non l'ho mai perdonata per quella notte alla casa rossa. Non per avermi tradito con un cretino qualsiasi di cui non le importava niente, può capitare. Non le ho perdonato di non aver avuto il riguardo di tenerselo per sé.
Questo era il mio racconto per l'EDS sul peccato e sul colore rosso. Gli altri:
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Dei sette peccati capitali il mio preferito è sempre stato la lussuria. Primo perché non fai male a nessuno, e questo soddisfa anche la mia etica laica. Il secondo motivo è perché insieme alla gola è uno dei più divertenti. Difatti la gola ha qualche effetto collaterale che se ti ci abbandoni in maniera sconsiderata poi la lussuria le la scordi, budrione. Mi correggo, i sette peccati capitali non sono peccati ma vizi, lo dice wikipedia (sulla quale però non si può fare affidamento, difatti l'altro giorno uno ha confessato che aveva inserito apposta delle cazzate e tutti non solo gli avevano creduto, ma l'avevano anche citato, rendendo vero anche quello che era falso, secondo il suggerimento di Umberto Eco il quale giura e spergiura che se trovi in internet la stessa notizia tre volte, vuol dire che è vera. Questo è il link ma te lo dico io in breve: il bugiardone - Daniele Virgilio, ti stimo molto fratello e spero di aver citato la fonte giusta - aveva approfittato della morte di un tizio, semi-famoso, per aggiungere sulla sua biografia in wikipedia qualche aforisma farlocco. Si sa che quando muore uno semi-famoso tutti i giornalisti di mezza tacca vanno a interrogare wikipedia per metter su un coccodirilletto, difatti i fighi il coccodrillo ce l'hanno già pronto per tutti, e i famosi sono pre-coccodrillati anche dai non fighi, ma se uno non è figo, per un famoso a metà si affida alla rete, chi vuoi che la sappia la verità. Ma soprattutto, a chi vuoi che importi qualcosa? Sticazzi, dicono i poliglotti. Io chiudo la parentesi ma intanto Belzebù ci gode. Questo non è un eds, difatti ci manca il rosso - a parte quello della figura di merda ma ormai chi arrossisce più? E soprattutto manca il dialogo, mancano i personaggi - a parte i morti e i semimorti. Questo non è nemmeno un racconto, è solo una scusa per mettere in fila tutti quelli dell'eds rosso come il peccato, vardè quanti che siamo e ancora non è finita. Contiamoci:
Ho fatto copia incolla: manca qualcuno? :-P |
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