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Il diario intimo della Donna Camèl con l'accento sulla èl
 

 

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Il peccato più grande

Post n°859 pubblicato il 03 Gennaio 2014 da LaDonnaCamel
 
Foto di LaDonnaCamel

Questo racconto è di Gordon Comstock, una cara vecchia conoscenza per me e non solo. Son contenta.

Il peccato più grande

di Gordon Comstock

Questa poi..! A sentirla, il mio bicchiere di champagne e la tartina sono rimasti bloccati a mezz’aria. C’è voluto un po’ prima che posassi l’uno e l’altra, lentamente, e me ne uscissi sul terrazzo.

Bisogna raccontare… il peccato più grande che si è commesso nella propria vita!”. Figuriamoci! Con quale coraggio proprio lei, la moglie del commendatore,
ha proposto questo gioco? Signora mia, la maggior parte dei suoi ospiti sa bene
come avete fatto a comprarvi questa villa, il parco che la circonda e tutto
il resto; chi non lo sa lo immagina, e tutti vi invidiano e ammirano al tempo stesso.

No, non voglio un altro bicchiere, basta così, grazie”.

Questa sera i camerieri hanno ordine di scovarti anche qui, nell’angolo più buio della grande terrazza. Guardo quest’uomo mite allontanarsi a passi brevi, ancora un po’ curvo. I camerieri di una certa età mi hanno sempre messo tristezza. Questo è un lavoro che può anche andar bene per un giovanotto gagliardo, che sappia soffocare a malapena il suo sguardo ardito mentre le dame lo indagano con civettuola malizia e i signori ne invidiano le spalle ampie e l’incedere elastico. Che importa se poi gli faranno scivolare in mano una moneta? Vorrebbe essere una ricompensa al loro servire, ma in realtà è uno stizzito tributo alla loro giovinezza, merce che non è in vendita. Ma un cameriere con i capelli bianchi… Ogni volta non resisto, e mi sorprendo a spiarne i gomiti della giacca per vedere se siano lisi come me li figuro, e mi convinco perfino che da quella giacca emani un vago sentore di sudore antico e mai completamente eliminato.

Luca, cosa fai lì nascosto? Vieni dentro! Sbrigati!”.

Con ampi gesti Laura mi fa segno di entrare nel salone. Ha gli occhi lucidi. Ha bevuto un po’ troppo, e il vestito troppo rosso e troppo costoso le lascia la schiena troppo nuda. Tiro fuori di tasca il pacchetto di sigarette, ne estraggo una e gliela mostro con un sorriso di scherzosa supplica. Laura sbuffa indispettita, e rientra nel salone in un fruscio di seta. La vedo scivolare con grazia tra lo scintillio degli argenti e la luce complice delle candele, e accomodarsi con grazia su un divano antico; seta rossa su seta avorio.

Ecco che qualcuno inizia a raccontare del suo peccato più grande. Dal mio angolo sulla terrazza non riesco a vederlo, ma il pubblico e’ tutto per lui. Chi è?
E cosa starà raccontando? La curiosità è più forte di me, e mi sposto di qualche passo. Eccolo. Non lo conosco, però sembra essere il candidato ideale per questo
petit jeu. Non è più tanto giovane, quindi ha l’età per averne fatte
diverse di cose brutte, ma il suo volto non è ancora tanto segnato dalla
vita come quello di chi ha ormai conquistato il privilegio dell’autoassoluzione.

Mi avvicino per ascoltare meglio, ma presto mi rendo conto che il suo
racconto non merita tutto l’interesse che gli astanti sembrano dimostrargli.
Sta narrando di un ben misero peccato, in verità, del quale sembra vantarsi piuttosto che vergognarsi. Qualcuno del pubblico glielo contesta, qualcuno sogghigna, qualcun altro dubita che i critici sarebbero capaci di dare il buon esempio. Altri sembrano distratti, come se l’argomento non li sfiorasse per nulla. C’è anche chi non riesce a mascherare del tutto un qualche disagio: questi devono essere i migliori, mi viene da pensare, sia che soffrano per se stessi che per il ben misero spettacolo che si svolge dinanzi a loro.

Laura invece ascolta rapita, le braccia strette al petto come una bambina allo spettacolo del circo. Incrocio lo sguardo dell’uomo seduto accanto a lei, ed è lui a distoglierlo per primo.

La festa e’ finita, finalmente. Una pioggerella perfida ci obbliga a correre fino alla macchina. Laura e’ ancora eccitata, e ci tiene a raccontarmi tutto quello che mi sono perso (“Orso che sei!”) e ogni dettaglio di questa “splendida serata”. Chi c’era e chi non c’era. Chi parlava e chi sparlava. Chi ha detto cosa, e perché.

Guido lentamente per le strade che dalla collina portano giù in città verso il nostro bilocale. Fingo di ascoltarla, ma il mio pensiero è altrove come sempre.

Siamo quasi arrivati quando Laura mi chiede che cosa racconterei se dovessi confessare il mio peccato più grande. Sorrido e scherzo, ma la risposta vera mi appare chiara, fin troppo, e forse il mio non è un sorriso ma una smorfia.

Il mio peccato più grande nasce nel passato, ma vive ancora nel presente. E’ quello che da troppo tempo compio ogni giorno contro me stesso, contro quello che sono e che provo realmente. Un peccato che si rinnova ogni giorno, perfino qui, ora. Ma non posso confessarlo proprio a lei.

Questo racconto partecipa all'EDS Rosso come il peccato e chiama in correità:

Melusina
Dario
e poi Dario
e poi ancora Dario

 

 
 
 
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