Creato da LaDonnaCamel il 16/09/2006
Il diario intimo della Donna Camèl con l'accento sulla èl
 

Messaggi di Febbraio 2016

I consigli del web advisor

Post n°1006 pubblicato il 28 Febbraio 2016 da LaDonnaCamel
 

Ma in pratica, che consigli consiglia un consulente Web Advisor, mi hanno chiesto. Mi hanno chiesto anche un sacco di altre cose, si stava lì apposta. Del resto scrivere per il web è una dicitura molto vaga. Ciascuno ci ha il suo problema e dunque se riesce a dirmelo in meno di un quarto d'ora, c'è la possibilità che io riesca passargli una buona idea.
Le buone idee sono quelle cose dalla forma imprevedibile ma fluida che nuotano nel brodetto di queste manifestazioni, guizzano tra un tavolo e l'altro e se hai pratica, mano lesta e buona mira ti può succedere di fiocinarne una o due.
Il primo dei miei consultanti produce video aziendali e io lo comprendo nel senso più profondo. È difficile far capire al cliente che per girare un video bisogna partire da un obiettivo (nel senso di scopo, non è un gioco di parole troppo facile) e poi viene il progetto e poi tutto il resto, mi dice, dunque cosa ci metto nel sito?
Io lo comprendo, dicevo, perché so che sperimenta le mie stesse difficoltà.
Il più delle volte anche chi viene da me non sa dire con precisione cosa si aspetta dal suo futuro sito web. Molti sentono di aver bisogno di un sito, tanto quanto probabilmente sentono di aver bisogno di un video aziendale. (Pensa a quelli che sentono di aver bisogno di un figlio, di un fidanzato, un cane, un gatto un pesce rosso e poi, quando va bene, finiscono per accontentarsi di un paio di scarpe nuove. Non voglio guardare nell'abisso di quando va male.)
La risposta che può funzionare è quella che consiglio sempre nella scrittura, quella dei miei maestri e dei loro maestri: mostra e non spiegare, show don't tell e se questo può avere a che fare con lo story telling, che è una delle mode attuali della comunicazione, va applicato con attenzione. Story telling, raccontare una storia, va bene se mi fai vedere come funziona bene e non se mi racconti quanto è buono il tuo prodotto, e ci sono milioni di brutte pagine pubblicitarie che lo dimostrano. Del resto, un sito non è una pubblicità, come non lo è un video aziendale.
A mia volta non sto a spiegargli tutto quanto, ho solo quindici minuti e metà se ne sono già andati nella sua richiesta, nel ritratto del suo cliente, dei clienti dei suo cliente fino al sesto grado di separazione, quello in cui il cliente del cliente del suo cliente sono io.
Case history, ecco come devi fare, e questo è il mio show don't tell.
Racconta le storie dei lavori venuti bene, a partire dal momento in cui hai applicato la maieutica per estrarre dal desiderio informe del tuo cliente un obiettivo preciso e una direzione: branding, marketing, prodotto, prestigio, customer care, cosa, come sei riuscito a fargli vedere quello che si immagina il tuo cliente nel suo futuro.
E poi il secondo, necessario momento, la scrittura del film, il soggetto, la sceneggiatura, la location, la durata, le battute, le musiche, tutto quello che ci hai messo e perché ce l'hai messo, e quello che non hai messo, quello che hai dovuto lasciare fuori, di solito una grossa parte del lavoro, e la lotta che hai dovuto vincere - o perdere-  col tuo cliente per convincerlo, che il cliente si affeziona ma il montaggio è la parte più importante, decisiva direi.
La terza fase della tua case history è il prodotto finito, nelle sue diverse declinazioni: la versione istituzionale, quella per i social, quella leggera e quella delle grandi occasioni, i commenti, i premi, il portfolio.

webadvisor

(foto di Emanuele Flain)

Se quindici minuti ti sembran pochi pensa che in tutto questo c'è lo scambio di sorrisi, strette di mano e biglietti da visita, c'è il sedersi, l'alzarsi e si accomodi il prossimo, c'è il giovane startupper, che vuol dire esordiente imprenditore, giovanotto di belle speranze che sta mettendo su un sito che parla di eventi nella città degli eventi, dove di siti di eventi son più degli eventi, tanti auguri guerriero, se vuoi distinguerti nella bolgia di questo girone infernale devi provare a ritagliarti una nicchia tutta tua, qualche contenuto esclusivo che solo tu puoi proporre, e per primo: vai a intervistare i gruppi indie, quelli che suonano nei circoli Arci, alla salumeria della musica, nei locali alternativi, al carro ponte. Offri una vetrina a chi ancora non ce l'ha, ma ce l'avrà e scommetti su di qualcuno, come io sto scommettendo su di te adesso, la prossima volta il biglietto da visita da scambiare ce l'avrai anche tu, intanto scambiamoci di posto, gira la giostra scendi tu e sale un altro giovane speranzoso imprenditore che vorrebbe farsi spazio nel mondo delle recensioni dei ristoranti, sempre più difficile signore e signori, camminare sul filo con l'ombrellino o buttarsi giù dalle cascate del niagara in una botte, tripadvisor ci fa un baffo a noi webadvisor e ci sono altri ragazzi da far sgravare, te lo faccio dire a te e così funziona, vedrai che se lo spieghi a me poi lo capisci anche tu un po' di più, ti avvicini al nocciolo, te lo prometto che funzionerà, ce la puoi fare, ce la farà quello che gli eventi li organizza, quello che fa giocattoli creativi, quella che ha messo su un coworking, la giornalista riciclata, la pierre, la direttrice dell'asilo nido casalingo, quello che fa l'ippoterapia con l'asinello, l'agriturista, il contadino e ce la faremo tutti.

 
 
 

Al funerale di Umberto Eco i suoi amici raccontavano barzellette

Post n°1005 pubblicato il 23 Febbraio 2016 da LaDonnaCamel
 
Tag: ciao

Mi piacerebbe che anche i miei amici lo facessero: raccontate barzellette al mio funerale e non piangete, cari.

Umberto Eco

Sono andata a casa sua, ero un po' in anticipo e l'ho visto uscire. C'era ancora poca gente, più che altro giornalisti e televisioni.

Umberto Eco

Al castello invece c'era il cortile pieno e tanti sono rimasti fuori, non ci stavamo tutti.

Umberto Eco

È stato Moni Ovada, ha raccontato quella del rabbino e della fetta di pane imburrato caduta dalla parte dove non c'era il burro. No, non te lo dico come andava a finire, la prossima volta vedi di esserci anche tu.

 
 
 

La libido docendi

Post n°1004 pubblicato il 20 Febbraio 2016 da LaDonnaCamel
 
Foto di LaDonnaCamel

Stamattina ho fatto tre cose sul più famoso e frequentato dei social network.

Per primo ho fatto gli auguri di compleanno a un caro amico. Una volta ci vedevamo molto spesso e ci sentivamo tutti i giorni, al telefono o via mail. Avevamo parecchie cose in comune, svago, lavori, figli a scuola, barche, vacanze. Quasi sempre mi dimenticavo del suo compleanno perché non c'era nessuno lì a dirmelo e non tenevo un'agenda, un cicalino nel telefono, che so, un alert che mi mandasse una mail. Fa niente, siamo stati tanto bene lo stesso.
Adesso non ci vediamo quasi mai, si è trasferito al mare. Però non manco di fargli gli auguri al compleanno visto che c'è quel ficcanaso del social network che dicevo prima che non mi lascia in pace fino a che non l'ho fatto.

La seconda cosa riguarda la morte di Umberto Eco, che è stata annunciata fin dalla prima mattina. Diventa doveroso decorare di necrologi la propria bacheca? Di solito non lo faccio, se posso evito, ma nella mia rassegna stampa del sabato mattina ho trovato un bel pezzo di Stefano Bartezzaghi, un ricordo molto personale del professore che era Eco, della sua passione per l'insegnamento, infatti dopo il megasuccesso interplanetario del Nome della rosa ha continuato ad andare in università tre volte la settimana, chi glielo faceva fare? La sua libido docendi, la passione che si trasmette e crea un legame vero tra il Maestro e i suoi allievi.

La terza cosa, un minuto dopo, sono stati gli auguri e i complimenti per la nascita di Sara, la nipote di una signora che conosco.

Eccomi qua, a parlare della vita, della morte e tutto quanto. Tutto quanto passa il noto social network, intorno al quale è ormai difficile dire qualche cosa di personale, originale o che non sia già stato analizzato in tutte le salse, la conclusione è ovvia e te la risparmio, caro unico lettore di questo blog.

Però qualcosa posso ancora dire circa la libido docendi, che è quel piacere profondo che provano alcuni insegnanti nel trasmettere il sapere ai propri fortunati allievi, e molto spesso suscitano un piacere analogo per la materia o per il processo stesso dell'apprendimento. Ne ho avuti pochi, forse uno solo, ma bastante.
Ero in terza liceo, filosofia era alla terza ora e io stavo al terzo banco. Se la cabala ha qualche fondamento di verità era una situazione perfetta. Ma purtroppo un turbamento amoroso di cui si è persa l'origine mi aveva colto a metà della lezione. Le lacrime premevano nei condotti appositi, il proff spiegava e io non sapevo che fare. Si nota di più se metto la testa sul banco o se resto su dritta come se niente fosse? La seconda che hai detto, la posizione eretta se non altro mi risparmiava i commenti della metà classe dietro. Tanto lui mica si accorge, non mi vede neanche.
Dunque le lacrime hanno cominciato a scendere sulla mia faccia che tentava di rimanere impassibile, sguardo dritto, mento proteso, spalle squadrate. Lui,  seduto al suo posto in cattedra, probabilmente ha visto. Anzi, certamente ha visto, meglio ancora: ha guardato. Ha guardato me. L'essere è e non può non essere. L'essere è e il non essere non è. Chissà cosa avrà pensato, forse che Parmenide mi aveva mossa a commozione? Forse che la difficoltà dei concetti mi aveva sopraffatta in una reazione di stizza o impotenza? Forse che mi ero presa una cotta per lui? Non lo so cosa aveva pensato, so quello che ha fatto. Si è alzato, è sceso dalla pedana senza smettere di parlare, e di guardare me. Per fortuna non è venuto al mio banco, del resto non era uno sprovveduto, no che non lo era. Si è fermato davanti alla prima fila, si è accomodato con le spalle alla cattedra e mi ha sfidata. Ha continuato la sua lezione come se parlasse a tutti, ma parlava a me, solo a me. Sparpagliava per la classe domande retoriche, ma il punto interrogativo lo ficcava nei miei, di occhi. La pausa di sospensione era me che aspettava. La costruzione sintattica era una freccia che puntava al mio banco, al mio già fiorente petto, forse.
Ammetto: sventurata ho risposto.
Aveva concentrato la sua libido docendi su di me come una lente i raggi del sole, e io, come le foglie secche, ho preso fuoco.
Non ho poi fatto filosofia all'università, anche se quell'anno lì presi nove in pagella e Parmenide me lo ricordo ancora, come mi ricordo ancora il nome e la barba del professore.

E qualcosa è rimasto, vai a sapere. Sarà questa mania di interrogarsi intorno alla verità, cosa diavolo è e cosa non è, chi la fa, chi la dice e chi la nega e chi la piega. Sarà lo spirito di contraddizione. Saranno le parole crociate senza schema tra le pagine chiare e le pagine scure.

 
 
 

La verità, Turing e i misteri della vita

Post n°1003 pubblicato il 14 Febbraio 2016 da LaDonnaCamel
 
Foto di LaDonnaCamel

Una cosa vera è un’arma potente in qualunque trattativa di lavoro o attività di comunicazione. Una cosa vera è ciò di cui sei assolutamente certo, perché nel dirla ad alta voce ti senti a posto con te stesso. Qualunque essere vivente è in grado di capire se quello che dice è vero oppure no.

Questa citazione proviene da un blog che frequento per lavoro, no, dico meglio, l'ho conosciuto tramite il lavoro ma lo leggo con piacere e per la mia cultura personale,  perché il SEO non è al centro dei miei interessi, se pure è una questione da non sottovalutare per chiunque abbia la speranza, non dico la pretesa, di essere letto.

Sarà perché la questione della verità mi interessa molto. La verità in un testo, scrivi un racconto sincero, ti ricordi? è una cosa che ha a che fare con i significati più profondi che si possono esprimere, un racconto sincero può essere totalmente inventato, eppure vero, mentre la cronaca di un fatto vero può essere falsa e ipocrita come una moneta da tre e cinquanta pure se racconta le cose che sono successe, le cose che hanno visto tutti eppure non è andata così.

Non voglio fare paradossi, lo sai bene cosa intendo. È un po' come quando incontri un amico che era da tanto che non vedevi, magari vi siete dati un appuntamento nel solito baretto, che però purtroppo è cambiato un po', hanno tolto il separé col vetro satinato a losanghe, i tavolini sono più vicini perché laggiù hanno messo le macchinette mangiasoldi e sono pure quasi tutti occupati, hanno aumentato anche i decibel mentre prima era un angolino tranquillo ma non è questo che volevo dire. Basta un niente per capire che il sorriso del tuo amico, e anche il tuo, vuole davvero dire che è contento di vederti, e vai a sapere come facciamo noi umani a stabilire quali dei trentasei muscoli facciali muovere e in che sequenza per dimostrare che siamo davvero contenti di vedere una persona, che la troviamo bella come sempre e più di prima e contemporaneamente che non siamo tanto contenti di trovare il baretto così imbruttito, sciatto, con la cinesina alla cassa.
Come per la crittografia di Turing (quello di Imitation game, per capirci) siamo spesso dotati anche delle chiavi per interpretare quella sequenza muscolare e la verità arriva fino al bersaglio, quale che siano le frattaglie che simbolicamente siamo abituati a immaginare come sede deputata a ricevere questo genere di messaggi. Dico spesso perché non è sempre così, ci sono persone che si mettono dietro una specie di firewall per paura delle fregature e, poveri loro, si perdono il meglio.

Ma non è questo quello che volevo dire.
Hai presente quella volta che tua mamma ti ha spiegato i misteri della vita, e come fa il semino a entrare nell'ovetto? Tu hai otto anni, state rifacendo il lettone, tirate bene il lenzuolo di sotto in modo che non restino grinze, una da una parte e una dall'altra del materasso grande. Siete sole in casa, forse è una domenica mattina di primavera e il sole entra generoso dalle finestre aperte per dare aria alla stanza, cosa che non sarà comunque in grado di eliminare l'odore tipico che si sente solo qui e in nessun altro luogo, non solo della casa: del mondo. Chi lo sa come è andata che siete entrate in argomento? Forse hai fatto la domanda che aspettava da tempo, forse è stata lei che ha cominciato, pensando che fosse arrivato il momento, dopotutto sai attraversare la strada da sola. Certamente l'intimità che si è creata in questo attimo cruciale aiuta lo sgorgare della verità. Una verità che peraltro è solo una conferma di qualcosa che hai sempre saputo, corroborata dalla barzelletta di Garibaldi in mezzo a Roma che ti ha raccontato la tua compagna di banco. La ripeti a tua mamma, facendo anche il gesto esplicito con le le dita, un cerchietto tra il pollice e l'indice della sinistra trafitto dal medio della destra.
Sì, è proprio così, conferma lei, senza ridere.
E allora tu, incoraggiata da questo momento magico in cui ti sembra che tutto sia possibile, vedi la tua vita adulta srotolarsi davanti a te come un'autostrada priva di macchine, con la riga tratteggiata in mezzo e laggiù in fondo l'umidore della pozza d'acqua che si vede d'estate ma non si può prendere perché si sposta man mano che avanzi, tu che hai già capito che è ora o mai più, le poni la tua domanda di verità, quella che ti sta a cuore: Mamma, ma Gesù bambino siete voi genitori?

La verità non viene turbata dalla leggenda di Gesù bambino che porta i regali, o Santa Lucia, o Babbo Natale (ai miei bambini per esempio era il ciccione vestito di rosso e tutti siamo stati sempre contenti così) La  verità esiste comunque a un livello più profondo. Vorrei raccontare qui la storia di quel bambino al quale i genitori avevano detto fin dall'inizio che erano loro a mettere i regali sotto l'albero, così lui pensava che tutti i bambini avessero i regali portati da Babbo Natale tranne lui, che aveva quelli dei genitori, ma non lo farò, è una storia lunga come la ricerca della verità, che si può trovare in molti posti, a sapere dove guardare.

Ti racconterò invece una storia riportata di terza mano, che il mio amico ha raccontato a me e Luigi Meneghello aveva raccontato a lui, era la breve storia del caffè del canton, un vecchio locale all'angolo tra due vie nel paese di Malo dove era nato e abitava lo scrittore, che nel tempo aveva subito varie trasformazioni e cambi di insegna, diventando a un certo punto Corner Pub per finire come Bar Canton, la città di origine dei nuovi proprietari.

Dunque, buon anno della scimmia

(Poi mia mamma ha ammesso, sì, Gesù Bambino siamo noi, ma non dirlo ai tuoi fratelli.)


 
 
 

Scrivere per qualcuno o per tutti

Quando stai dei mesi senza scrivere nel blog perché magari sei arrivato a un punto cruciale, un numero straordinario che vuoi sottolineare con il giusto risalto o forse una tappa esistenziale, la fine di un'epoca, un capitolo della vita di questo luogo, un cambio di interfaccia, di piattaforma, di template o sistema operativo.
Quando ti viene la tentazione di chiudere il blog, per esempio, un'ipotesi che si presenta come ovvia delle volte e come impraticabile quasi sempre e per questo resisti, ma senza spinta, come l'onda stanca del mare vecchio che non si infrange, si appoggia eppure arriva in fondo.
Quando si avvicinano i dieci anni di esercizio e sembra che il mezzo sia diventato obsoleto, forse solo per te e tutto quello che è diventata la tua vita reale. Per non parlare delle autosuggestioni indotte dal fatto che se non c'è niente di nuovo non passa nessuno, o almeno ti sembra che anche gli amici più stretti ti abbiano abbandonato. Perfino il feed non ti vuole più bene e ci mette tre giorni a riportare l'ultimo post.
Quando stai per lasciar perdere, voglio dire, lasciare che sia la ruggine  a ricoprire i cancelli, le foglie secche e le erbacce a invadere il giardino, chiedo scura per la metafora frusta, meglio che sia la polvere a ricoprire i colori. Lasciar perdere annunci perentori intendo, e addii strazianti, bilanci, spiegazioni non dovute.
Quando la natura delle cose prende il sopravvento, qualche volte succede - questa volta è successo, che si verifichi una circostanza che solo nel blog può trovare la sua giusta espressione. Allora ti rendi conto che scrivere non è un'abitudine. Scrivere si deve quando è necessario e il blog è ancora il posto giusto per le scritture da blog, mavà'?
Si può scrivere per qualcuno o per tutti, scrivere per se stessi è una bugia.
Scrivere per lavoro ti fa le dita più agili, ti tiene le parole a portata di mano, si fa più in fretta e bene. Scrivere per dire quello che ti preme è ancora un piacere che vale la pena di perseguire.
Ciao lettore, non ti libererai di me tanto presto.

 

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