Creato da lilith_0404 il 20/02/2005

A Room of One's Own

This is my letter to the world, That never wrote to me, The simple news that Nature told, With tender majesty. Her message is committed To hands I cannot see; For love of her, sweet countrymen, Judge tenderly of me!

 

Messaggi di Giugno 2007

Tanto rumore per (quasi) nulla

Post n°218 pubblicato il 30 Giugno 2007 da lilith_0404

Il primo atto dell’operazione Tfr è arrivata a termine: non so quali saranno le percentuali definitive a livello nazionale, ma dal mio punto di osservazione non esiterei a definirla un fiasco. 

Ore e ore perse a spiegare i motivi,  le finalità, i vantaggi e i rischi dell'operazione. Ogni volta, immancabile, arrivava la domanda: “Lei cosa consiglia?” . E ogni volta a spiegare che non sono un consulente finanziario, che ciascuno deve fare le proprie valutazioni, perché non ci sono garanzie e certezze su quali saranno i rendimenti dei fondi, e la scelta deve essere ben ponderata perché sarà vincolante per tutto il resto della vita lavorativa.

Alla fine, per quanto riguarda i dipendenti gestiti dallo studio in cui lavoro io,  il risultato è stato un misero 2% di adesioni ai fondi .

Nonostante il battage pubblicitario sulla stampa e in televisione.

Nonostante lo spauracchio della miseria incombente al momento di andare in pensione.

Sabato scorso l’Ordine dei Consulenti del lavoro ha perfino cooptato gli iscritti per una giornata di informazione nelle piazze delle città. Era una bella giornata, e ne ho approfittato per fare anche io due passi  sul Corso, dove sapevo che avrei trovato i consulenti  che si erano offerti volontari per questa operazione di propaganda organizzata dal ministero. Volevo porre qualche domanda, chiarirmi qualche dubbio.  

Ma a mezzogiorno la postazione era già stata smantellata: la foto commemorativa ormai era stata fatta, non aveva più senso restare a perdere tempo.

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Cineforum

Post n°217 pubblicato il 27 Giugno 2007 da lilith_0404

Calde notti l'estate con sè
ci ha portato già
rossi fuochi hanno acceso
su ogni campo per ballare...
Della raccolta è il dolce tempo
da domani il grano cadrà
e curiosa anche tu
ti chiedi chi ti coglierà...

La sala cinematografica era in parte all’Oratorio, dietro la chiesa, a ridosso della canonica. Appoggiato al muro dell’oratorio, il cartellone con la locandina dei film che si sarebbero proiettati: la guardavo, passando per andare a fare la spesa, perché era prorio a fianco della porta del fruttivendolo, e mi fermavo, a guardare le figure, a figurarmi il film dalle immagini sul manifesto.

Il cinema era il passatempo della domenica pomeriggio: prima catechismo, dalle suore, poi il cinema. Non ricordo molto dei film di quel periodo. Ricordo invece molto bene la prima volta che andai a vedere un film di sera.

 Non so quanti anni avrò avuto, ma certo non molti. Fu mia cugina a coinvolgermi, era un cineforum, ci sarebbero stati film di qualità, non i soliti della domenica pomeriggio. Così mi convinse, e fu per ‘Giulietta e Romeo’ di Zeffirelli.

Incantata, è la parola giusta per dire l’effetto che mi fece: per la recitazione, per i costumi, per la storia, per tutto:  credo che lo guardai trattenendo il fiato, e l’emozione non si esaurì con il riaccendersi delle luci: tornata a casa, nel letto, ripensavo alla storia, ripensavo alle scene d’amore che avevo visto, e provavo a darmi dei baci sul braccio, per immaginare come potesse essere.

E mi addormentai chiedendomi come sarebbe stato, quando fosse arrivato anche per me, il momento di innamorarmi.

Son tornati sui campi
in lunghe file per ballare
fino all'alba hai spiato
i loro fuochi da lontano...
Della raccolta è il dolce tempo
la calda estate finita è già...
e curiosa anche tu
aspetti chi ti coglierà...

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...ma non li dimostra

Post n°216 pubblicato il 21 Giugno 2007 da lilith_0404

"Ma cosa ci fa una signora come lei in mezzo a noi poveri disgraziati?"

Le parole sono gentili, a pronunciarle nel corridoio dell'università mentre il docente sta cominciando l'appello prima di un esame, é un ragazzino biondo, i capelli lisci a caschetto a incorniciare un viso imberbe e dalla pelle chiara, il sorriso aperto e simpatico, il tipo di ragazzino che qualunque quindicenne si sarebbe mangiato con gli occhi.

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Peccato che io  la boa dei quindici anni la stessi doppiando ormai  per la terza volta, e che di fronte a quella domanda mi sia resa conto improvvisamente, per la prima volta, di quanto fossi ‘fuori target’, per usare la simpatica espressione di Quotidiana_mente.

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Si perché l’università, che si voglia o no, è frequentata da ragazzi mediamente giovani, e  una come me rientrava tranquillamente nella categoria  che Jo March nel suo post n.54 definisce ‘’ studentessa fuoricorso ultraquarantenne”,  tanto che se mi sedevo in un’aula ad aspettare che si facesse l’appello prima di un esame, regolarmente qualche studente si avvicinava  sottoponendomi quesiti vari, scambiandomi per una docente.

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Giuro però che non ho mai avuto nei confronti delle docenti più giovani di me, quell’atteggiamento indisponente che descrive Jo March nel suo post.  Mi è capitato al contrario più volte di leggere negli occhi  delle docenti meno ageè, il disagio e l’imbarazzo nel rapportarsi con me, quasi una specie di compassione  che maldestramente cercassero di dissimulare, e che un po’ mi divertiva.   Con le docenti un po’ meno giovani, invece,  forse perché alla prima occhiata ci si riconosceva come simili, nonostante i ruoli momentaneamente interpretati, si creava  immediatamente una specie di complicità che le portava a solidarizzare con me.

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Devo dire che  mi è capitato in passato di essere considerata più vecchia di quel che fossi,  fin da quando poco più che ventenne andavo in vacanza con la mia ultima sorella e mi chiamavano signora, scambiandola per mia figlia, e la cosa non mi ha mai dato alcun fastidio. 

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Ma dopo quel ragazzino biondo di cui parlavo all’inizio, la prospettiva si è invertita, ed è cominciata l’era in cui al contrario, sono stata considerata più giovane di quel che fossi, e la cosa devo ammettere che per un attimo mi ha disturbato, perché come dice Odio_via_col_vento nei commenti al post 361 di Quotidiana_mente, sentirsi dire che si è ‘giovanili’ significa in definitiva che giovani non si è più .

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La verità, vi prego, sull'amore.

Post n°215 pubblicato il 14 Giugno 2007 da lilith_0404

O Tell Me the Truth About Love
Some say that love's a little boy,
And some say it's a bird,
Some say it makes the world go round,
And some say that's absurd,
And when I asked the man next-door,
Who looked as if he knew,
His wife got very cross indeed,
And said it wouldn't do.

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Nei blog si é parlato molto della ‘manifestazione’ indetta da siti pro-pedofilia, per sostenere le cosidette ‘ragioni’ dei pedofili e il loro diritto di esistere. 

Altri hanno scritto con molta passione e intelligenza sull’argomento, e invito chi ancora non l’avesse fatto a leggere i post (compresi i commenti) di elioliquido e di SandaliAlSole, che trovo molto interessanti.

MARIONeDAMIEL nei commenti al post di elioliquido esprime il timore che anche il parlarne troppo, rendendoci assuefatti all’idea che questa realtà esiste, porti acqua al mulino dei pedofili. Forse ha ragione, ma al tempo stesso non è ignorando il problema che sarà possibile non dico risolverlo, ma almeno tenerlo sotto controllo.

Il fenomeno è antico, come dimostrano i post di Odio_via_col_vento, e Regina Crimilde, ma é evidente che internet, con le sue potenzialità di mezzo di comunicazione globale  rende particolarmente facile la divulgazione di materiali per produrre i quali vengono usati i bambini, diffondendo subdolamente anche l’idea che manifestare per ottenere la liceità di certi comportamenti sia una battaglia di libertà.

E’ chiaro, secondo il mio punto di vista,  che MacRaiser ha ragione quando afferma nei commenti al post di SandaliAlSole citato che il reato di opinione non é ipotizzabile: nessuno può essere incriminato per un pensiero o una mera ‘intenzione’, se poi a tale pensiero e a tale mera intenzione non seguono comportamenti concludenti, anche solo tentati. Le chiacchiere non cuociono il riso, dice un proverbio , e finché le parole restano tali lasciano il tempo che trovano.

Il pericolo tutt'altro che remoto é piuttosto che  dalle parole si passi ai fatti,  lasciandosi magari suggestionare da discorsi pseudo libertari.  Per questo credo che a maggior ragione sia necessario prendere coscienza del problema e inquadrare correttamente la questione da un punto di vista razionale, al di là delle facili reazioni emotive, soprattutto per ribattere  alle argomentazione di quanti vorrebbero  dare alla pedofilia una patente di legittimità equivocando sul significato delle parole: nel Boy-love-day, il ‘Love’,  l’amore, ci sta come i cavoli a merenda.

Come bene ha sottolineato elioliquido nel suo post, nel rapporto pedofilo – vittima, l’amore non ha niente a che fare, c’è solo la sopraffazione di un adulto, capace di scegliere e di decidere delle proprie azioni nei confronti di un bambino che questa libertà non ce l’ha.

Il fatto poi che fin dall’antichità la pedofilia sia esistita e abbia avuto, in epoca antica, qualche parvenza di liceità, non mi sembra un grande argomento per dimostrarne la legittimità: anche la pratica di sopprimere i bambini che nascevano con malformazioni fisiche gettandoli dalla rupe Tarpea é esistita nell’antichità , ma appunto  il fatto di aver preso le distanze da queste pratiche è stato  un progresso di civiltà, non il contrario.

 
 
 

Maestre

Post n°214 pubblicato il 11 Giugno 2007 da lilith_0404

Si é parlato molto di maestre ultimamente, qui nei blog, e non sempre  in modo lusinghiero. Sarà per questo che tutto sommato mi ha fatto piacere trovare il post di Unlumedaunnume , che mi ha fatto ripensare a tanti anni fa, alle maestre che ho avuto... 

Le mie maestre avevano dei nomi particolari, speciali, che sono stati solo loro perché  nessun’altra delle persone che conoscevo si chiamava allo stesso modo.

Quella che ho avuto in prima e seconda elementare si chiamava Enedina.  La maestra Enedina credo che fosse giovane, anche se non ho di lei una immagine precisa, solo il nome è rimasto indelebile, e il fatto che portasse un cappottino come usavano negli anni ’60, a sette ottavi, e un cappellino che fissava ai capelli con un grosso spillone.

Nel triennio invece la maestra si chiamava Ivonne. Non era una maestra qualsiasi: era ‘la maestra’, per antonomasia,  e le mamme facevano carte false perché i loro bambini fossero assegnati alla sua classe. Era di famiglia benestante, sposata con un avvocato, e già questo sarebbe bastato a darle autorevolezza. Inoltre non aveva figli e aveva fatto dell’insegnamento la sua ragione di vita.

Abitava in una  delle case più vecchie del paese, e ricordo che un giorno, probabilmente dopo aver fatto ordine in qualche vecchio armadio, mise tutta una serie di oggetti di cui voleva disfarsi sulla cattedra, e ciascuno di noi bambini poteva scegliere, a turno e fino ad esaurimento,  quello che gli piacesse da portarsi a casa. La mia prima scelta ricordo che fu un libro, ma quando mi avvicinai alla cattedra per prenderlo, un altro oggetto attirò la mia attenzione: una gondola di cartone, tutta rivestita di conchiglie, souvenir sicuramente di qualche gita a Venezia.

Mi sembrò una cosa bellissima, e rimasi col fiato sospeso, pregando che nessun altro bambino la prendesse prima che tornasse il mio turno di scegliere. Ricordo l’esultanza quando finalmente potei ritornare alla cattedra e prendere il mio tesoro.

Qualche giorno fa mi è capitato di incontrarla,  la mia vecchia maestra, dopo alcuni anni che non la vedevo.
“ Ho saputo che ti sei laureata”, mi ha detto “brava, mi fa tanto piacere. Ricordo la discussione che ebbi con la tua mamma, quando ti tolse dalla scuola. Io ero contraria,  non avrebbe dovuto farlo!” .
Sorrido ascoltando quelle parole che già ho sentito ogni volta che in questi anni mi è capitato di incrociarla..
Penso che hanno la stessa età, lei e mia mamma, e alle spalle una vita che più diversa non si potrebbe.

Le ho promesso che le porterò una copia della tesi. E’ un po’ anche grazie a lei se l’ho potuta ottenere.

 
 
 

La dote

Post n°213 pubblicato il 07 Giugno 2007 da lilith_0404

Leggo il post  di Ossimora, in cui racconta del suo lavoro nelle piantagioni di tabacco per poter avere la disponibilità di un po’ di soldi tutti suoi,  e per associazione di idee mi tornano alla memoria i racconti di mia mamma, di quando andò a lavorare in risaia per guadagnare i soldi per farsi la dote e sposarsi.

La dote, nel linguaggio giuridico e nella concezione delle classi sociali benestanti è il patrimonio, grande o piccolo, che la moglie portava al marito in occasione del matrimonio, e che doveva contribuire al sostentamento proprio e della famiglia.

Nel lessico delle classi sociali più modeste, invece, la dote rappresentava semplicemente il corredo della sposa, ed  é in questa accezione che io ne ho sentito sempre parlare  da mia mamma.

Avendo quattro figlie femmine, fin da quando eravamo piccole ha acquistato, pagandoli a rate, pacchi di biancheria per la nostra ‘dote’:  lenzuola, tovaglie, asciugamani che si sono accumulati negli armadi in attesa di un matrimonio che nella sua immaginazione prima o poi sarebbe certamente avvenuto.  Credeva così di risparmiarci quello che era toccato a lei, che per farsi  il corredo aveva dovuto andare a lavorare nelle risaie del Piemonte.

Ce ne parla, a volte, con un misto di rimpianto per la ragazza che allora era, e di incredulità, per la vita che aveva potuto sopportare: in mezzo al fango, con l’acqua che arrivava a mezza gamba, curva sotto il sole a piantare riso.

Ogni volta che lo ricorda, ci racconta del postino che alla fine della stagione volle vedere in faccia quella ragazza che per tutto il periodo della monda aveva ricevuto regolarmente, ogni giorno, una lettera dal fidanzato. E ogni volta mentre l'ascolto penso che per me la cosa più incredibile é prorprio  che quell’innamorato così assiduo fosse la persona che ho conosciuto come mio padre.

 
 
 

Combray e le raganelle

Post n°212 pubblicato il 02 Giugno 2007 da lilith_0404

Quando il narratore della Recherche racconta delle passeggiate che faceva con i genitori nei dintorni di Combray, dice che c’erano due percorsi predefniti: dalla parte di Méséglise e dalla parte di Guermantes.

Questa distinzione mi viene sempre in mente quando, la domenica pomeriggio, esco a passeggio con Alita. Lei sa che quando sono a casa la porterò fuori,  e staziona pazientemente davanti alla porta di casa, aspettando che arrivi il momento in cui uscirò con il guinzaglio per la nostra passeggiata.

Se l’ora in cui uscire posso sceglierla io, nel primo pomeriggio d’inverno, quando le giornate son corte; verso sera d’estate, per evitare il caldo eccessivo del sole a picco, il tragitto della passeggiata però lo sceglie lei.

Possiamo prendere a destra, verso il santuario, o a sinistra, verso il castello.

Dalla parte del castello le case sorgono a ridosso l’una dell’altra, con gli usci che si aprono direttamente sui vicoli, e le finestre del pianterreno protette da grate di ferro. Il tragitto prosegue passando dietro il campanile,  e poi prende per una strada che si inoltra spoglia e assolata in mezzo ai campi, fino al fiume.

Quando prendiamo invece dalla parte del santuario, di solito percorriamo prima il viale alberato che conduce verso il cimitero, svoltiamo verso il quartiere che è sorto negli ultimi anni all’estremità del paese, con le strade ampie e costeggiate da giardini pubblici, attraversiamo il ponticello che scavalca il canale in cui confluisce anche l’acqua delle fontanine, e arriviamo alla chiesetta consacrata alla Madonna poco fuori dall'abitato.

È stato lì, appena scese dal ponticello, mentre Alita si dissetava all’acqua di una sorgiva, che domenica scorsa le ho sentite.

Dapprima non le ho riconosciute, il loro verso come un’eco in sottofondo, si confondeva, nell’aria ferma e calda del pomeriggio già estivo, col petulante cinguettio degli uccelli, e con il rumore delle poche macchine che passavano. Ma poi Alita, anziché risalire come al solito, dopo aver bevuto, si é portata verso il lato opposto del piccolo specchio d’acqua, la coda tesa e ferma, il muso col naso fremente, proteso ad annusare l’aria.

Ed allora le ho sentite: erano le rane, ad aver attirato la sua attenzione, il loro gracidare monotono e regolare che ritmava il silenzio. Mi sono ricordata della meraviglia di Liberante, nel post n 347 , all’udirle gracidare nel suo canale. E mi son ricordata il verso di quella poesia:

…e qualcuno s'oblia
ad ascoltare quel che voi dite
alle piccole stelle, 
o raganelle
malate di malinconia.

 
 
 

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