Astral Night Reverie

Te Quiero

Te Quiero.

mi dicesti, con gli occhi neri e grandi che già avevano visto troppe cose per i tuoi vent'anni. Con quei due pezzi neri di carbone riuscivi a dire cose che le tue labbra neanche immaginavano. Loro erano vivi, perennemente sgranati sul mondo, che ti scivolava davanti come un rivolo d'olio. Proprio come te, che succhiavi il sabato dalle dita senza preoccuparti del lunedì.

Te quiero mi dicesti, e i lunghi capelli neri e mossi si elettrizzavano nell'aria frizzante di quella domenica di inizio autunno, quando le foglie cadono ma i baci rimangono sempre lì. 
Labbra su labbra.

Avevi vent'anni ed io qualcuno in più. Ma a te non interessava, perchè il tuo sorriso correva veloce, più veloce del tempo che schizza via e del vento gelido della Patagonia, che brucia gli occhi con la sua polvere secca. Mi prendesti la mano intrecciando le dita, come insetto di dieci zampe che massaggia il petto e lo stomaco, dicendomi te quiero, non ti lascerò mai. Io ti baciai la fronte, perché a vent'anni volevi essere protetta, e ti dissi, sorridendo, Mai è troppo, tesoro mio. Allora, il tuo viso di bimbetta che voleva essere già grande si fece imbronciato, cupo come il cielo grigio che promette tempesta. Io non sono una di quelle dicesti risentita e, battendoti il petto fiera, aggiungesti tu sei qui dentro.

Forse non sapevi ancora cosa fosse l'amore. Ma sapevi amare.

La notte si dilatava lentamente, trascinandoci giù nei vortici di lenzuola sfatte, tra vestiti che cadevano, labbra che si mordevano e respiri che correvano. Facemmo l'amore, anche se sapevo che Rio De La Plata ti avrebbe attirato a sè come una molla che si contrae al suo vincolo. Da lì eri venuta e lì saresti tornata.

La mattina dopo le tue lettere rotonde su un pezzo di carta ingiallita erano lame di forbice. 

Tengo que irme. Te quiero mi amor.

Scivolasti via veloce e silenziosa come un triste tango. Il lago d'argento che avevo tra le mani scivolò via e l'inverno mi venne incontro strisciando tra fiori coperti di disincanto.

Così, oggi, nel buio ti scrivo una lettera che non sarà mai spedita, perchè ormai sono passati cinque anni da quella notte, quando mi nascosi nelle piccole crepe del tuo nome. Ora sarei curioso di rivedere il tuo visino da bimbetta e capire se il tempo è stato gentiluomo. Sarei curioso di sapere se i tuoi occhi grandi hanno fatto naufragare un altro cuore debole; se le tue labbra hanno disegnato mille curve sulla pelle del tuo nuovo amante; se i tuoi passi hanno fatto voltare branchi di uomini.

Sai, amore mio, non tutto si cancella con un dopo, non tutto annega nell'acquario di questo spazio e questo tempo che privilegiano la sensazione della pagina bianca. Non tutto si sgretola come la sabbia del tempo e viene portato via dal vento gelido del nord. Qualcosa rimane, proprio qui dentro. 

E, così, con la testa imbottita di vertigini oggi ti scrivo, supplicando i tuoi occhi affinché, ovunque essi siano, seguano la mia mano. Perché resta solo la mia voce in questa lettera, quella voce che non può raggiungerti e dorme per sempre tra i rami delle tue braccia. Come quella notte

Ti scrivo solo per ricordarti una cosa, Marcela.

Te quiero.