Istruzioni per l’uso del lupo

Istruzioni per l'uso del lupo - Trevi Emanuele - Elliot - Libro Librerie Università Cattolica del Sacro Cuore

Istruzioni per l’uso del lupo è un libro dalle dimensioni ridotte che non fa nulla per farsi notare. Ma contiene l’essenza di Emanuele Trevi. Imperdibile per chi trova infiniti rimandi di sé tra le righe di uno scrittore che, come pochi altri, è in grado di riconciliarti con la persona “disturbata” che sei.

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Alla fine del 1993, quando ho deciso di scrivere questo libretto e i miei amici (Alberto Castelvecchi, Alessandra Gambetti, Marco Lodoli) mi hanno aiutato (molto attivamente) a portarlo a termine, cercavamo ancora tutti di scrollarci di dosso la polvere degli anni Ottanta. Anagraficamente, i migliori anni della nostra vita, è innegabile. Ma nello stesso tempo, anni d’inverno, anni profondamente depressi. Lo ha spiegato molto bene Franco Berardi Bifo all’inizio del suo libro su Félix Guattari: gli anni d’inverno sono quelli in cui «si dissolve la condivisione». L’energia del desiderio si ritira dal corpo sociale. La fragile architettura del caos rappresentata dalla comunità desiderante si infrange contro un sentimento del “reale” aspro e insostenibile. «I luoghi di attraversamento esistenziale si fanno più poveri, più rarefatti, più artificiosi, perché i concetti perdono la loro presa. O forse i concetti perdono la loro presa perché i luoghi dell’esistenza sono divenuti più rarefatti e più poveri, artificiosi e avari»

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Per molti versi, crescere nell’inverno può rappresentare un’occasione preziosa. Si impara ad attribuire il giusto valore a ogni minima cosa capace di perforare la superficie compatta del gelo. Si impara a stare da soli, o in quelle piccole compagnie erotico-nevrotico-carbonare che sono il naturale prolungamento della solitudine. Io e i miei amici per anni abbiamo progettato una rivista di cui è rimasto solo il titolo: «Aurelia». Un po’ un omaggio alla via Aurelia, che portava al mare di Fregene, un po’ un tributo a Nerval, che ci piaceva molto, un po’ un tentativo di fare amicizia con una che si chiamava Aurelia, e ci piaceva anche più di Nerval, ma non ci filava per niente. Non a caso, avevamo studiato la polisemia. Ci facevamo moltissime canne, ci scambiavamo poesie. Ma nessuno di noi pose il problema dell’esistenza materiale della rivista, dopo anni di riunioni: decidere i testi da pubblicare, trovare un tipografo.

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Poi, un giorno, me ne sono andato definitivamente. Tra le tante maniere fondamentalmente positive di perdere tempo, l’ostinarsi a tenere i piedi in due staffe è invece una fatica inutile e insostenibile. Già scrivevo saggi, già ero stato assoldato negli infimi ranghi accademici. Facevo degli esami, un pomeriggio di giugno. C’erano degli studenti che (lo giuro) non sapevano rispondere nemmeno quando gli dicevi dimmi un argomento a piacere. In un certo senso, era la domanda più cattiva. Ti guardavano, e dicevano non so, non saprei. Io cercavo di mettere trenta a tutti, e trenta e lode ai pochissimi che sapevano qualcosa. Non volevo offendere nessuno. Ero al centro di una macchina che girava a vuoto. Era una situazione senza nessun colpevole. Guardavo le tette delle ragazze sedute difronte a me, il cielo fuori dalla finestra, la punta delle mie scarpe. Dicevo a tutti dammi del tu. Andavo alla macchinetta del caffè. Sembravo un disgraziato. A un certo punto, finito un gruppo di dieci o venti esaminandi, mi sono alzato, ho chiamato un amico che andava fuori Roma e sono partito con lui, senza avvertire nessuno. Non mi sono più fatto vedere. Volevo mettermi a cercare le parole giuste per dire la cosa. «Fallire, fallire meglio»: da quel momento queste parole di Beckett sono state la mia grande consolazione, il mio metodo, il mio programma.

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A chi si rivolge, Artaud? E a nome di chi parla, pronunciando quel noi? Ecco un bel compito scritto per un bell’esame di scienza lupologica. Lo si passa moltiplicando le risposte fino al punto in cui diventa chiaro che non c’è più nessuna risposta che tenga veramente. Questa Istruzioni sono dedicate a tutte le persone abbastanza disturbate da proseguire il gioco per conto loro: spiando l’ombra dei lupi, delle vecchie orse, di tutte le altre bestie dalle unghie infuocate talmente rapide, talmente invisibili che se dovessimo descriverle a parole potremmo solo dire che assomigliano alla felicità e alla paura di essere vivi.

Emanuele Trevi, Istruzioni per l’uso del lupo

Emanuele Trevi: “Certi libri meritano vita più lunga, non mi piace il culto  per le novità” - La Stampa

“Perché un essere umano è la somma della sua paura e del suo lupo. Quello che fa veramente, il suo lavoro, è capire come ci si comporta con il lupo. Se nel lupo ci siano solo fame e denti, oppure se nel fatto di essere sbranati ci sia pure, dietro a tutto, il tesoro di una saggezza e di una redenzione”.

Istruzioni per l’uso del lupoultima modifica: 2024-02-02T13:33:21+01:00da hyponoia

Un pensiero riguardo “Istruzioni per l’uso del lupo”

  1. basta entrare nella dimensione tra cane e lupo entre chien et loup tra lusco e brusco per “comprendere” …eppure questa dimensione animale e animistica è maschile. Per certo diverse femminilità come ninfe mitologiche sarebbero pronte a mostrare un bel riscatto del loro carattere inconscio.

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