Creato da lilith_0404 il 20/02/2005

A Room of One's Own

This is my letter to the world, That never wrote to me, The simple news that Nature told, With tender majesty. Her message is committed To hands I cannot see; For love of her, sweet countrymen, Judge tenderly of me!

 

Messaggi del 16/03/2007

Un rito d'altri tempi (2)

Post n°192 pubblicato il 16 Marzo 2007 da lilith_0404
 

immagineEntrando, una zaffata di tutti gli odori che si mescolavano all’interno, di carne cruda, sangue, vino, spezie, mi investiva e dovevo farmi forza per reprimere la nausea e oltrepassare la soglia.

Sui tavoli i mucchi di carne macinata venivano opportunamente salati e aromatizzati con diverse spezie, e mescolati con le giuste parti di grasso o di cotenna da braccia maschili  che lavoravano alacremente, le maniche della camicia rimboccate fin sopra il gomito, seguendo ricette e dosi codificate in un disciplinare non scritto ma consolidato da generazioni da cui si sarebbero ottenuti, a seconda dei casi,  salami, cotechini o salsicce da mangiare fresche.

Se lavorare la carne era compito degli uomini, le donne erano tuttavia indispensabili per cucire con ago e filo i budelli che mano a mano venivano riempiti con l’impasto preparato,   e i bambini aiutavano a legare  i salami, ormai imbragati nella rete di spago che li doveva tenere in forma,  alle lunghe pertiche a cui sarebbero rimati appesi fino a  che fossero abbastanza asciugati per essere consumati.

Non tutta la carne veniva macinata:alcuni tagli venivano usati interi, per farne coppe e pancette. La lonza anche veniva tenuta da parte,  e  insieme al fegato veniva spartita tra le diverse  famiglie che avevano fornito il proprio aiuto.

Dall’alba  al tramonto, il rito veniva officiato compiendo in successione tutti i gesti stabiliti dalla consuetudine,  anche se alcune operazioni si protraevano poi anche nei giorni successivi: il sangue che era stato possibile raccogliere veniva cotto a formare ‘la torta di sangue’ di cui parlavo nel post di Tanksgodisfriday;  il grasso che non veniva usato per i salami nei giorni seguenti sarebbe stato sciolto a fuoco lento per farne strutto e ciccioli; le ossa  pur essendo state scarnite venivano fatte bollire per non sprecare la carne che il coltello del macellaio non era riuscito a togliere. Quello che non si fosse riusciti a consumare in famiglia, veniva suddiviso tra i vicini, soprattutto quelli che il maiale non potevano permettersi di ammazzarlo.

Un po’ alla volta però le abitudini alimentari sono cambiate, il salame ora si prende già affettato in vaschette di plastica al supermercato, e anche la famiglia non è più quella che era. 

Ci pensavo domenica, quando mia sorella ha portato a mia mamma un cotechino, che un amico contadino le aveva regalato.  Mamma l’ha rifiutato: saremmo state solo io e lei a mangiarlo, e ci sarebbe toccato mangiare cotechino per tutta settimana per consumarlo. Ormai, del maiale non sapremmo più che farcene.

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Un rito d'altri tempi (1)

Post n°191 pubblicato il 16 Marzo 2007 da lilith_0404
 

immagineDel maiale non si butta niente: questo modo di dire mi è tornato in mente mentre scrivevo il commento al post n.403 di Tanksgodisfriday, ricordando un rito che al tempo in cui io ero bambina veniva ancora officiato con la partecipazione corale non solo della famiglia, ma di tutto il vicinato che condivideva l’abbondanza che regnava per quel giorno nella casa.

Il maiale inizialmente  veniva allevato in proprio, in un recinto posto in fondo al cortile, vicino alle gabbie dei conigli e al serraglio delle galline. Ma in seguito si preferì acquistarlo già grosso, e allora di buon mattino, nel giorno stabilito, mio padre andava  a prenderlo dal contadino che lo aveva venduto.

Non ho mai assistito alla sua uccisione, perché era una operazione a cui presiedevano solo i maschi di casa, sotto la guida del ‘masadur ’, il macellaio che dopo aver sezionato la bestia avrebbe anche diretto le operazioni di lavorazione della carne e di confezionamento dei salami.

 Io capivo che era il giorno in cui si sarebbe ucciso il maiale perché al mio risveglio bambino la casa era pervasa da un acre odore di aceto bollito, che mi toglieva il fiato, e che serviva per pulire li budelli nei quali la carne macinata e speziata sarebbe stata insaccata per diventare salame.

Da dentro casa sentivo prima i versi disperati dell’animale che cercava invano di sfuggire alla sorte che lo aspettava, poi le strida cessavano, e nel silenzio che seguiva dalla finestra lo vedevo appeso a testa in giù tra i due pilastri del portico della casa di mia nonna.

Io ero sempre contenta di avere con la scuola un ottimo pretesto per defilarmi velocemente, e quando tornavo da scuola solo se mi chiamavano mi lasciavo persuadere a mescolarmi alla  vociante confusione della  grande cucina della casa di mia nonna in cui, in un ’allegro bailamme  ognuno collaborava secondo le proprie capacità al risultato finale.

(...continua)

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