Creato da atapo il 15/09/2007
Once I was a teacher
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MAHATMA GANDHI
"Vorrei che tutte le culture del mondo
potessero circolare liberamente intorno alla mia casa.
"Ma rifiuto che una sola di queste possa travolgere la mia esistenza."
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IL FRUSCIO DEL NATALE
A Bologna c'è ancora la grande fiera di Santa Lucia sotto il portico dei Servi, dove i Bolognesi da più di due secoli vanno a comperare tutto ciò che serve per il presepe, l'albero e gli addobbi.
Fu al mio primo Natale che i miei genitori comprarono le prime tre figurine per il presepio di famiglia, quelle essenziali: la Natività. Allora erano fatte di cartapesta, negli anni successivi ad ogni dicembre compravamo qualche statuina nuova.
Io aspettavo con gioia le passeggiate alla fiera di Santa Lucia, ci guadagnavo sempre un croccante o un bastoncino di zucchero colorato e crescendo cominciavo ad avere voce in capitolo anche nella scelta delle statuine.
Commentavo con papà, che era più appassionato della mamma in queste cose, i colori, le espressioni, anche i prezzi visto che col passare degli anni alla cartapesta si andava sostituendo la plastica, ma noi volevamo mantenere la caratteristica del nostro presepio e le statuine che ci sarebbero piaciute, quelle di cartapesta, arrivavano a costare molto per le nostre tasche.
Ogni personaggio aveva il suo nome: il Pastore, il Dormiglione, la Lavandaia, la Patoèa (così chiamavo da piccina una delle prime statuine che avevo scelto, una donna con un agnellino in braccio). Nel nostro presepio non ci furono mai Re Magi, troppo costosi, ma uno strano personaggio in abbigliamento più orientale degli altri io lo consideravo un re magio, lo collocavo lontano dalla grotta e lo avvicinavo pian piano fino al giorno dell'Epifania.
Una vera opera d'arte era ogni anno in casa nostra la costruzione del presepio, quasi sempre la vigilia di Natale e verso sera, perché papà aveva un negozio e chiudeva tardi, non c'era a quel tempo l'orario ridotto della vigilia.
Per i miei genitori diventava un progetto architettonico, prendevano molto sul serio questo lavoro e vi si dedicavano con impegno.
Cercavano in casa una base adatta, la volevano grande e quasi sempre la scelta cadeva sul ripiano del cassettone che si trovava nella stanza in cui dormivo io.
Non era quella veramente la mia camera, noi abitavamo una casa molto piccola, il locale in questione in realtà serviva da ingresso e per mezzo di una tenda era stato separato un angolo in cui stavano il mio letto e un comodino. Il cassettone si trovava nella parte ingresso, quindi un presepio costruito lì sopra, soprattutto se monumentale, sarebbe stato ben visibile e avrebbe attirato le meraviglie e i complimenti di tutti gli ospiti che passavano da casa nostra durante le festività. E di questo l'artista, cioè papà, ne sarebbe andato molto fiero.
Dunque papà cominciava, con la mamma come aiutante ed io quasi solo spettatrice, perché tutto ciò che occorreva era o troppo fragile o troppo pericoloso per una bambina piccola.
Con la carta-roccia innalzava una vera e propria struttura di paesaggio, grotte, montagne, pilastri che sorreggevano una volta rocciosa. Sullo specchio del cassettone come sfondo erano attaccati con mille precauzioni il cielo e un fondale di paesaggio desertico. Con altrettante precauzioni erano seminascoste in punti strategici le lucine che si potevano accendere ad intermittenza.
Ogni anno il presepio veniva fuori diverso, secondo l'estro di papà, le rotture della carta-roccia e il quantitativo di muschio che eravamo riusciti a raccogliere nei prati e nei boschi ancora vicini al nostro quartiere di periferia.
Per questa impresa occorrevano alcune ore e presto veniva il momento in cui io dovevo coricarmi nel lettino dietro la tenda.
Avrei dovuto dormire, ma come era possibile se lì accanto, oltre la tenda, i miei genitori stavano lavorando al presepio?
La lampada principale della stanza era spenta, restavano accese solo le lucine da sistemare, al massimo una abat-jour. Io con gli occhi sbarrati seguivo sul sipario della tenda e sul soffitto le loro ombre in movimento, intravedevo la struttura del presepio che si faceva sempre più alta, più complessa, più scura nella penombra. Con la fantasia immaginavo le loro azioni: “fanno la capanna… mettono il pastore… la lavandaia… metteranno l'agnellino accanto a Gesù?”
Loro sussurravano per non disturbarmi, talvolta distinguevo qualche parola:
- Ancora un po' di muschio… ecco, va bene così… un chiodino qui… fai piano che la bimba dorme…-
E quasi di continuo mi arrivava il fruscio della carta-roccia appallottolata, poi sagomata, della paglia sistemata, delle statuine tolte con delicatezza dalla carta di giornale in cui erano avvolte.
Tutti questi rumori leggeri mi elettrizzavano, mi applicavo a riconoscerli uno per uno e ad accompagnarli alle ombre in movimento come se unissi un sonoro alle immagini di un film. Mi ostinavo a restare sveglia, volevo partecipare con la fantasia alla costruzione del capolavoro.
Quegli stessi lievi rumori però mi cullavano e pian piano mi facevano addormentare prima della conclusione dello spettacolo.
La mattina del 25 dicembre la mamma veniva a svegliarmi, apriva la tenda, mi prendeva in braccio e finalmente potevo ammirare in tutta la sua bellezza il capolavoro di quel Natale: era sempre una sorpresa, ogni anno diverso e sempre differente da ciò che io mi ero immaginata la sera precedente, prima di addormentarmi dietro la tenda.
Questo raccontino l'ho preparato per il corso di scrittura creativa autobiografica, che sto frequentando. Qualcosa c'era già stato qui, tanto tempo fa, ho ripreso e sistemato...
Lo dedico a chi passa di qua a leggere, insieme ai più affettuosi auguri di
BUON NATALE !
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