Puvis, il simbolista che amò una piccola acrobata e la rese immortale

Destinato a diventare un ingegnere minerario come il padre, Pierre Puvis de Chervannes interruppe gli studi per una grave malattia, e dopo un viaggio in Italia capì che era nato per dipingere. Allievo di Couture e Delacroix, si guadagnò l’ammirazione di Van Gogh, Matisse e Cézanne ma il successo era di là da venire: al Salon di Parigi i suoi lavori saranno rifiutati otto volte.

Il suo stile che si connotava per sottrazioni, allegorie e colori sbiancati, a sottolineare temi sociali, suscitò polemiche ma fu anche di ispirazione per tutti i simbolisti europei.

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Pierre Puvis de Chervannes, Girls at Seaside

Curiosità di ordine sentimentale

Nel 1885 Puvis  incontra la sua musa, Marie Clementine Valadon, una ragazzina che fa l’acrobata; dapprima modella e poi amante del pittore, Marie Clementine finisce col diventare essa stessa pittrice. Sarà  Toulouse-Lautrec a sceglierle come nome d’arte Suzanne, e in qualità di Suzanne Valdon entrerà di diritto nella storia dell’arte.

Kindness

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Quando avevo cinque anni, una domenica nel nostro quartiere arrivò un venditore ambulante con una cesta di bambù piena di pulcini. Io seguivo mio padre, stavamo andando a fare la spesa settimanale dei generi alimentari razionati, e quando il venditore ambulante mi mise nel palmo della mano un pulcino, il cui piccolo corpo soffice e caldo tremava incessantemente, piansi prima di riuscire a chiedere a mio padre di comprarmelo. Non eravamo una famiglia ricca: mio padre lavorava come custode, e mia madre, malata da che avevo memoria, non lavorava, così avevo imparato presto a contare bene, con mio padre, le monete e le banconote di piccolo taglio prima di andare a fare la spesa. Deve essere stata una cosa dolorosa per quelli che conoscevano la nostra storia vedere l’angoscia di mio padre, infatti due donne si offrirono di comprarmi ognuna un pulcino.

Mio padre, mentre tornavamo a casa, mi avvisò con dolcezza che i pulcini erano troppo piccoli per sopravvivere più di un giorno o due. Con una scatola da scarpe e dei giornali strappati costruii una casetta per i pulcini, a cui diedi da mangiare chicchi di miglio ammollati nell’acqua; poi, il giorno dopo, siccome avevano l’aria di stare male, somministrai loro dell’aspirina sciolta nell’acqua. Morirono due giorni dopo; quello che avevo chiamato Punto, e marchiato con dell’inchiostro sulla fronte, se ne andò per primo, seguito da Fungo.

Rubai due uova in cucina mentre mio padre era da un vicino per aiutarlo con un lavandino che perdeva – mia madre in quel periodo non si vedeva spesso in giro – e le ruppi cautamente eliminando tuorlo e albume; ma nonostante tutti  i miei tentativi non ci fu verso di rimettere i pulcini nei gusci, e ancora oggi ho davanti agli occhi il mezzo guscio sulla testa di Punto, che come un buffo cappellino gli copriva la macchia d’inchiostro.

Da allora ho imparato che la vita è così, ogni giorno finisce come un pulcino che non si lascia rinfilare nell’uovo“.

Yiyun Li, Kindness

Patire un dolore nell’età dell’innocenza, ovvero in quella fase della vita in cui la mente è impossibilitata a comprendere il perché di uno strazio, è funzionale a sottrarci alla stupefazione dei futuri dolori. Al momento opportuno, grazie al riemergere del già stato, si imparerà che l’allora è ora, e la narrazione del quotidiano sarà un déjà vu.

Come Eva da una costola di Adamo

Certe volte, come Eva da una costola d’Adamo, una donna nasceva nel mio sonno da una falsa positura della mia coscia. Formata dal piacere che ero sul punto di gustare, m’immaginavo che fosse lei ad offrirmelo. Il mio corpo, sentendo nel suo il mio proprio calore, voleva ricongiungersi ad esso; mi svegliavo. Gli altri esseri umani mi apparivano molto lontani se li confrontavo con questa donna lasciata da pochi attimi appena; la mia guancia era ancora calda del suo bacio, il mio corpo indolenzito dal peso del suo corpo. Se, come a volte succedeva, il suo volto era quello di una donna che avevo conosciuta nella vita, ero certo che mi sarei consacrato a un unico scopo: ritrovarla, come chi intraprende un viaggio per vedere con i suoi occhi una città di cui ha desiderio, e s’immagina di poter godere in una cosa reale il fascino di una cosa sognata. A poco a poco il suo ricordo svaniva, avevo dimenticato la fanciulla del mio sogno“.

Marcel Proust, Dalla parte di Swann

Il tempo, così come lo concepiamo nello stato di veglia, si dilata nel sogno, dove non sono possibili correzioni o aggiunte. Se sia preferibile lo stato di coscienza a quello del sogno è difficile a dirsi; di certo c’è che le trame dei sogni che si moltiplicano all’infinito sono un dono del cielo. Un’ombra più profonda che non deve spaventare.

P.S. Nemo, questo post è solo per te.

The artist is (not) present

L’ultima performance di Marina Abramovic a Londra non ha convinto la critica; il Guardian l’ha definita “una perversione insensata che ferisce gli occhi”. Sarà stata un’esagerazione giornalistica, tuttavia The Life lascia perplessi: il fine è quello di aprire un varco alla “mixed reality”, ovvero alla sovrapposizione tra reale e virtuale, ma gli esiti non sono all’altezza delle aspettative.

Alla presentazione i giornalisti sono stati fatti accomodare in una sala bianca e spoglia e hanno avuto un numero; mentre attendevano che l’Abramovic si palesasse hanno goduto di una sfilata di assistenti in camice bianco che rimandavano a un contesto ospedaliero o da penitenziario.

A un certo punto, dopo aver consegnato gli effetti personali,  sono stati invitati a indossare degli occhialoni e un assistente sussurrava loro delle istruzioni. Infine, ammessi in un’ultima sala, hanno guardato un ologramma dell’artista che vagava in abito rosso, per scomparire di tanto in tanto in una fosforescenza blu.

Forse non era poi così ironico il cartello che all’ingresso della Serpentine Gallery, volendo richiamare una precedente performance della Abramovic, recitava: “The artist is not present”.

Fra tutti i modi di produzione dell’amore…

“Fra tutti i modi di produzione dell’amore, fra tutti gli agenti disseminatori del male sacro, certamente uno dei più efficaci è questo gran soffio di agitazione che a volte passa su di noi. Allora l’essere col quale in quel momento ci piace stare, il dado è tratto, sarà lui che ameremo. Non c’è neanche bisogno che finora ci sia piaciuto più di altri, e neppure altrettanto; bisogna solo che il nostro gusto per lui sia diventato esclusivo. E la condizione si è verificata quando — nel momento in cui è mancato — alla ricerca dei piaceri che ci dava il suo fascino si è sostituito improvvisamente in noi un bisogno ansioso, che ha per oggetto quel medesimo essere, un bisogno assurdo, che le le leggi di questo mondo rendono impossibile da soddisfare e difficile da guarire, il bisogno insensato e doloroso di possederlo”.

Marcel Proust, Dalla parte di Swann

L’amore di Swann per Odette anticipa di fatto quello di Marcel per Albertine; il lettore potrebbe stupirsi della pochezza morale di Odette, ma è lo stesso narratore a metterlo in guardia:

 «La saggezza della gente non innamorata a cui pare che un uomo di spirito dovrebbe essere infelice solo per una persona che lo meriti; pressappoco è come stupirsi che uno si degni di ammalarsi di colera a causa di un essere così piccolo come il bacillo virgola».