Strade sempre più insicure, soprattutto per i pedoni

Ave Socii

Da tempo immemore, purtroppo, la cronaca mostra che, sulle nostre strade, c’è chi si mette al volante ubriaco o drogato. E c’è ancora chi, tra le forze politiche, è addirittura favorevole ad aumentare il numero di sostanze legalizzate. Come se non bastasse l’alcol, vogliono aggiungere la cannabis e magari pure qualcos’altro. E poi si arrabbiano, quando qualcuno si fa vedere un tantino più “proibizionista”… Allora perché non fermiamo anche la vendita di alcolici? Questo si domandano, dandoci degli ipocriti. Sanno benissimo, furbetti, che la vendita di alcolici non si può limitare facilmente. E pensano bene di proteggersi dietro a questo scudo. Ci si sballa con l’alcol, tanto vale sballarsi pure con altro. Perché l’alcol sì e la cannabis no?

Questo giochino del “mettere sotto scacco i proibizionisti”, tuttavia, dà per scontata una cosa che in realtà scontata non è affatto. Ossia, che alcol e droghe abbiano la stessa natura e servano, fondamentalmente, per sballarsi. Questa pericolosa identità è oggi sponsorizzata in primo luogo dai trapper e dai loro testi musicali, tanto amati da giovani e giovanissimi. E’ un’identità pericolosa e fuorviante. Bere alcol non significa necessariamente sballarsi; farsi una canna, invece, conduce sempre ad un’esperienza di sballo. Perché gli alcolici sono degli alimenti, i cannabinoidi dei medicinali. Chi pensasse di trattare l’alcol come una droga tout court, in pratica, giungerebbe a considerare “spacciatori” perfino quei viticoltori che mantengono alto il nome del “Made in Italy” nel mondo. D’altro canto, la cannabis è una sostanza psicotropa che ha certamente effetti benefici su determinate patologie. E, in quanto tale, dovrebbe essere trattata come un farmaco, non come un passatempo ricreativo.

Ritornando a chi viaggia sulle nostre strade, potremmo chiederci perché certa gente si mette a guidare in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti. Probabilmente è gente che soffre, gente depressa che ha bisogno di sballarsi. Gente totalmente incentrata sui propri problemi, perciò incurante di tutto il resto. Una sostanza non provoca sballo finché non è legata ad una particolare esperienza. Bere tre dita di vino a pranzo, accompagnando i pasti, è forse un’esperienza di sballo? Persino la somministrazione controllata di cannabinoidi in ambito sanitario, per curare il morbo di Parkinson ad esempio, non porta ad uno sballo propriamente detto. D’altro canto, chi prima si fa una canna oppure svariati bicchieri di alcolici e poi scorrazza per le strade… Beh, forse ha bisogno di curarsi.

Chi ha avuto particolari esperienze di vita, soprattutto all’interno di famiglie problematiche, tende a cercare al di fuori del nido familiare la propria ragion d’essere. E spesso la trova nel divertimento estremo, nello sballo appunto. Mettere a rischio la vita altrui è forse una componente essenziale di quest’esperienza. Come dire: io ho sofferto tanto e ce l’ho con la società, perciò la società deve capire cosa vuol dire soffrire. A volte il fatto stesso di aver sofferto giustifica, agli occhi di costoro, la sofferenza che può capitare ad altri membri della società. L’invidia nei confronti del mondo li rende pericolosi: si lamentano che la loro vita è un inferno, quando certe volte sono loro stessi a rendere infernale la vita degli altri. E’ forse “libertà di divertirsi” questa? Nessuno può permettersi di affermare la propria libertà, arrivando a negare la libertà altrui.

Mettendosi nei panni di queste persone, si finisce senza dubbio per giustificarle. Le loro “vite difficili” coinvolgono e commuovono. Se sbagliano non importa, l’importante è che prima o poi si redimano… Perché la redenzione è possibile per tutti… Si tratta di un pensiero (purtroppo) assai diffuso oggi, dove sembra che ai criminali sia concesso tutto e che delle vittime tutti si dimentichino. Perché è così che dovrebbe essere considerato uno che scorrazza per le strade in preda allo sballo: un criminale. Il fatto che dei pedoni abbiano attraversato col rosso non giustifica un conducente in stato di ebbrezza che li travolge. Non vogliamo fare la solita predica sul divertimento sano e senza eccessi. Se volete bere, bevete. Se volete drogarvi, drogatevi. Ma per tornare a casa, fatevi almeno accompagnare da chi sta meglio di voi. Ne va non tanto della vostra vita ma della vita altrui, dei pedoni soprattutto.

Purtroppo il clima di buonismo negli ultimi tempi imperante ha varcato pure i confini del diritto. Dinanzi a un sistema che concede attenuanti a persone che “hanno sofferto”, noi rispondiamo con un progetto ri-educativo serio di reintegrazione e reinserimento nella società. Un progetto basato sulla rielaborazione del senso della vita, sull’abbattimento del vittimismo e sulla responsabilizzazione. Crediamo che ai soggetti devianti debbano essere concesse possibilità che magari non hanno mai avuto. Ma non all’infinito. Qualora tale progetto fallisca, infatti, non rimane che trattare queste persone come in effetti vogliono essere trattate: da criminali. E, nel caso risultino nuovamente coinvolte in reati provocati da situazioni di sballo, provvedere alla loro neutralizzazione.

L’applicazione della pena di morte, in realtà, non dovrebbe valere solo per chi viaggia per le strade in preda a droghe o alcol. Dovrebbe valere per tutti coloro i quali mettono a rischio la vita altrui, fra i quali anche spacciatori e assassini. Perché la vita è un diritto sacro e, in quanto tale, nessuno dovrebbe permettersi di insidiarlo. Qualora questo accada, potrebbero aprirsi degli spiragli per un intervento dello Stato nel caso il reo sprechi le possibilità di reinserimento nella società. Speriamo, ovviamente, che interventi tanto drastici non trovino mai applicazione pratica. Tuttavia crediamo che ognuno di noi avrebbe un motivo in più per responsabilizzarsi, se sapesse di rischiare grosso. E’ così strano sentir parlare di morte per i colpevoli, in uno Stato in cui si parla spesso di morte per gli innocenti?

Vostro affezionatissimo PennaNera

Venti di guerra ad inizio anni Venti

Ave Socii

Il decennio appena iniziato si è aperto sotto i peggiori auspici. Il Medio Oriente è in subbuglio, il mondo islamico in fermento, l’Occidente in confusione. L’ultima azione militare di Trump ha letteralmente spaccato l’opinione pubblica. Perfino negli Stati Uniti qualcuno è convinto che si sia gettata una dinamite in una polveriera. Soffiano venti di guerra minacciosi. Guerra in ambito non solo militare, ma anche economico. E’ incominciata la corsa ai beni rifugio e il petrolio ricomincia a salire velocemente di prezzo. I segnali di insicurezza sono più che evidenti.

In tutto questo, Italia ed Europa sono costrette a tentennare. A barcamenarsi da una parte e dall’altra. A dire che l’unico modo per risolvere le questioni è la diplomazia. A non assumere una posizione chiara e definita. Forse non per colpa loro. Questioni tanto delicate non si possono liquidare con semplici atteggiamenti di assenso o dissenso. La politica estera è complessa, costruita su molteplici rapporti di interdipendenza. Italia ed Europa non possono assumere posizioni nette, perché dipendono da altri Paesi. Nel settore energetico, ad esempio. Gli Stati Uniti possono permettersi di assumere le posizioni che vogliono: tanto dispongono a sufficienza di qualsiasi tipo di risorsa di cui necessitano. Noi no. Siamo certamente contenti che Trump abbia eliminato dei pericolosi terroristi islamici. Ben vengano ulteriori misure di questo genere. Ora però domandiamoci: quanto sarà feroce la vendetta islamica verso l’Occidente?

Esistono dei periodi storici in cui conviene essere aperti al resto del mondo. Esistono altri periodi storici in cui conviene, invece, difendere la propria sovranità. Crediamo che ora il sovranismo sia preferibile all’apertura incondizionata e all’abbattimento dei muri. Il modello di società aperta, nonostante qualche momento di tensione, ha funzionato piuttosto bene finora. Ma da un po’ di tempo a questa parte hanno iniziato a soffiare venti impetuosi, dinanzi ai quali non eravamo preparati. Due fra tutti: l’immigrazione di massa e il terrorismo islamico. Una volta per tutte, è necessario ribadire con forza che l’apertura non è sempre il bene assoluto e la chiusura non è sempre il male assoluto. Se l’identità nazionale è minacciata, è opportuno trovare soluzioni che la preservino dagli attacchi provenienti da certe culture aggressive.

Il mondo non può esistere senza le identità nazionali. Non può esistere un’unica “identità nazionale umana”. La cultura non è solo ciò che accomuna gli uomini, ma pure ciò che li differenzia. Per natura gli uomini aiutano i loro amici, ma combattono i loro nemici. Negare che esistano culture fra loro nemiche vuol dire fare il gioco delle culture più aggressive. E costringere le altre a soccombere. Noi non ci stiamo. Noi crediamo che una qualsiasi cultura abbia il sacrosanto diritto di difendersi, ogniqualvolta contro di essa spirino venti impetuosi in grado di minacciarne l’esistenza.

Ma difendersi non vuol dire solo annientare i nemici più pericolosi o chiudere i porti agli immigrati irregolari. Esiste un ambito che talvolta passa sotto traccia, ma che spesso sta alla base di molte condotte umane: quello economico. Il comportamento economico si fonda, in soldoni, sui bisogni degli uomini. Se gli uomini non avessero bisogni, non esisterebbero comportamenti economici. Più soggetti bisognosi generano rapporti economici, che nel lungo termine divengono vere e proprie interdipendenze. Ma l’interdipendenza dovrebbe fondarsi su un sostanziale equilibrio fra i bisogni dei soggetti. Al sopraggiungere di determinate circostanze, può subentrare uno sbilanciamento che inevitabilmente favorisce un soggetto a scapito dell’altro.

Come dicevamo, a livello energetico noi dipendiamo in larga misura da diversi Paesi. Alcuni di questi sono proprio in territorio islamico. Se la vendetta di questi Paesi dovesse colpire l’Europa e l’Italia, probabilmente il settore energetico ne sarebbe pesantemente influenzato. Forse è soprattutto per questo che non possiamo assumere una posizione chiara: per non rischiare di rimanere “a secco”. Ai petrolieri fa comodo così. Perché, tuttavia, dobbiamo essere condannati a dipendere da Paesi tanto instabili? Non sarebbe meglio promuovere una sorta di autarchia energetica, magari impiegando termovalorizzatori ed energia nucleare? Il messaggio sta lentamente incominciando a passare, per esempio attraverso l’economia circolare. Purtroppo ancora attendiamo che si realizzi in concreto.

Forse promuovere la sovranità e l’autarchia è solo uno slogan vuoto. Forse sono davvero troppi gli interessi che si andrebbero a smuovere e colpire. Forse nessuno vuole rinunciare a questi interessi. Forse dobbiamo subire passivamente i venti scatenati da altri, per timore di affrontarli. Noi vogliamo credere che non sia così. E vogliamo credere che un giorno l’Italia sarà in grado di risollevare la testa e competere orgogliosamente per la vetta del mondo.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Rinvio, il minimo comune denominatore di tutti i governi

Ave Socii

I governi che abbiamo avuto, soprattutto negli ultimi tempi, paiono tutti fondati sul rinvio. Ogni volta che gli azionisti di maggioranza litigano, per tirare a campare si tende a rinviare i provvedimenti. Oppure li si approvano “salvo intese”, magari per trascorrere serenamente le festività. Il rinvio non è certo esclusiva peculiarità del governo attuale: anche il precedente governo lo ha adottato varie volte, in tema di Tav ad esempio. Tuttavia sembra che quello attuale lo stia adoperando in maniera reiterata e esagerata. Un sistema elettorale che promuovesse la governabilità, invece che le coalizioni tra forze politiche spesso in contrasto, renderebbe molto più marginale in ricorso al rinvio. Questo è il nostro modesto parere.

I molteplici rinvii operati dal governo attuale sono sotto gli occhi di tutti. Fra i più noti, il rinvio di quelle stesse tasse proposte e inserite dalle forze di maggioranza. Ci hanno detto che questo governo (sulla carta) è nato per evitare l’aumento dell’Iva. Ci hanno detto che le famose clausole di salvaguardia da 23 miliardi sono state disinnescate. Poi, però, ci hanno detto che nei prossimi anni dovremo sterilizzare clausole complessive pari… a 47 miliardi! Vabbè che l’Europa vuole certezze… Vabbè che questo governo è amico dell’Europa… Però 47 miliardi sono un po’ parecchi, no? E meno male, dicono, che il nostro debito è sostenibile! Forse l’Europa non si fida così tanto di noi, anche con un governo suddito. L’impressione è che, invece di sterilizzare, si sia nuovamente provveduto… a rinviare. Sì, un rinvio anche stavolta. Chissà, magari per “fare un favore” al prossimo governo (magari di centrodestra)…

Ma la pratica del rinvio riguarda anche discussioni su molti altri temi spinosi. Francamente, sembra che l’attuale governo sia costituito da separati in casa. Il governo precedente, perlomeno, attraverso la formula del “contratto” era riuscito a sopravvivere per molti mesi. E, per buona parte del primo anno, i suoi membri andavano d’accordo pressoché su tutto. Questo governo, invece, già dalla sua nascita ha iniziato a mostrare fibrillazioni interne. Forse avevamo ragione noi, quando l’estate scorsa sostenemmo che la “crisi a ridosso di ferragosto” avrebbe portato all’esplosione delle forze espressione dell’attuale maggioranza. Pur di posticipare la crisi, che inevitabilmente condurrebbe al trionfo del centrodestra (che l’Europa di certo non vuole), questo governo si affida al perpetuo rinvio. Ma rinviare continuamente ha un effetto stressante sulle forze di maggioranza, provate da continui tentativi (alcuni già riusciti, altri chissà) di scissioni interne.

Ancora. Sono usciti gli ultimi dati sull’immigrazione: quest’anno, sbarchi dimezzati rispetto all’anno precedente e oltre la metà degli arrivi concentrata negli ultimi quattro mesi. Da sottolineare che la fetta maggiore degli immigrati è occupata da tunisini, che non scappano da alcuna guerra. La tendenza è chiara, gli italiani sapranno giudicare da soli chi ha fatto bene e chi ha fatto male (o non ha fatto proprio). Anche qui, si tratta di rinviare o meno i problemi. Il governo precedente, infatti, ha tentato di risalire alla radice della questione, tentando di disincentivare le partenze dei migranti e l’arricchimento degli scafisti. L’attuale governo, invece, ha spostato il problema sulla redistribuzione “rinviando” (appunto) la patata bollente alla buona volontà dei Paesi europei. Magari per strappare un minimo di flessibilità in più sul debito. Gli italiani giudicheranno quale delle due politiche sia più sensata.

Staremo a vedere cosa ci portera di buono il nuovo anno. Per intanto, ci auguriamo almeno che non sia l’ennesimo anno di rinvii. Perché il Paese ha bisogno di risposte “adesso”.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Populismo di sinistra in salsa di sardine

Ave Socii

La cura del linguaggio in politica, l’utilizzo o meno dei social network da parte dei Ministri… Con tutto il rispetto, forse non sono i problemi principali con cui la maggioranza degli italiani si sveglia la mattina. Forse chi non vive nei quartieri alti non può capire la profondità del “politicamente corretto” e di tematiche affini. A rinvigorire l’attenzione per queste tematiche di vitale importanza è ora il “movimento delle sardine”, movimento (ormai abbiamo imparato a conoscerlo) apertamente schierato a sinistra e a cui molti partiti (quelli attualmente più in difficoltà, diciamocela tutta) strizzano l’occhio. L’obiettivo ultimo è quello di combattere contro il populismo (di destra, aggiungiamo noi).

Eppure anche le sardine, a modo loro, sono espressione di un certo populismo. Ebbene sì, quasi nessuno osa dirlo ma anche a sinistra è in voga una certa specie di populismo. Un populismo per i benestanti, per i salottieri, per chi può trascorrere il proprio tempo ad interrogarsi sul sesso degli angeli. Un populismo dei “vaghi principi”, talvolta considerati superiori perfino alla legge. Contrarietà al razzismo, accoglienza, umanità, integrazione, diritti civili… Certamente chi ha la pancia piena ha maggiori possibilità di badare a questi principi. Principi sostanzialmente vuoti, che ognuno di noi in realtà può riempire a piacimento.

Perché esiste la legge? Proprio perché il popolo disponga di un riferimento comune e il più possibile insindacabile a cui appellarsi, al riparo dalle opinioni di certa retorica. Qual è, d’altro canto, l’intento di certa retorica? Porsi al di sopra della legge, cavalcando battaglie su principi tutta apparenza e niente sostanza, principi formalmente di buon senso ma praticamente irrealizzabili. Come si può pretendere che i popoli abbattano tutte le barriere, quando le barriere e le diversità sono esse stesse condizioni essenziali per l’esistenza e l’identità di un popolo? Eppure l’accoglienza è un principio “bello”, lo dice pure il Vangelo… Far leva sulla religione è un altro modo per dar forza a questi vaghi principi e, se necessario, metterli in contrasto con la legge.

Istaurare la dittatura dell’opinione, a dispetto della legge vigente. Ecco l’obiettivo ultimo delle sardine. Ed ecco probabilmente l’obiettivo ultimo della sinistra tutta, che indistintamente ha applaudito e plaude a questo e ad altri “movimenti spontanei”. Perché le sardine si riuniscono in un edificio occupato abusivamente? Dicono per una questione di soldi (per inciso, se l’edificio è occupato abusivamente siamo tutti noi a pagare per le loro riunioni abusive), ma sicuramente anche per una questione politica. L’obiettivo è sfidare la legge. Sfidare l’ordine pubblico. Sfidare lo Stato. Sfidare tutti noi per spodestare i principi fondativi della Nazione ed incoronare i “loro” diritti. Diritti che spesso e volentieri non debbono valere “per tutti”, ma solo “per gli amici”. Perché la libertà di espressione vale per loro e i loro amici, mentre gli avversari debbono essere censurati?

Come se non bastasse, abbiamo conosciuto pure le sardine nere e le sardine islamiche. Di questi tempi va di moda parlare di integrazione. Ben venga l’integrazione, ma che sia fatta nel rispetto della legge. Ecco, a questi “movimenti spontanei” l’espressione “nel rispetto della legge” va proprio di traverso. Se c’è qualcuno che ha la pelle nera, magari pure immigrato irregolare, sono proprio questi movimenti a strumentalizzarlo e a riconoscerlo come “diverso”: questo non è forse populismo? Se c’è qualcuno di un’altra religione, magari pure legata ad ambienti vicini al terrorismo, deve per forza mostrarsi da un palco e farsi riconoscere per la religione che professa: questo non è forse populismo? Invece no, gli unici populisti sono i “sovranisti”. Di destra, per di più.

Ma c’è una differenza fondamentale, fra populismo di destra e populismo di sinistra. Il primo vuole istaurare il primato della legge e della certezza del diritto, il secondo il primato dei “vaghi principi” e dell’opinione. Per fortuna agli italiani è ancora concesso di scegliere. Se il populismo ha davvero qualche significato, sarà il popolo stesso a decidere quale.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Ideali scomodi. Il coraggio dell’impopolarità

Ave Socii

Lo strumento della politica dovrebbe servire per portare avanti degli ideali e trasformarli in realtà. E’ questo il bello della politica: combattere per degli ideali in cui si crede. Continuare a combattere per essi, anche se sono ideali passati ormai di moda. Oppure ideali che cozzano contro posizioni attualmente di moda. Battersi per degli ideali, in democrazia, espone al rischio di trovarsi contro le mode del tempo, contro le tendenze, contro il popolo. E purtroppo è proprio questo che, molto spesso, impedisce ai politici di lottare liberamente per gli ideali in cui credono davvero.

In realtà, un po’ tutte le forze politiche tendono a comportarsi come il popolo vorrebbe si comportassero. Il populismo, checché se ne dica, alberga a sinistra così come a destra. Mettere nuove tasse è certamente impopolare, specie in uno Stato dove la pressione fiscale è già alta. Se tuttavia una forza politica ha il coraggio di proporre simili misure, dovrebbe poi avere anche il coraggio di sostenerle fino in fondo. Ciò che in sostanza questo governo negli ultimi giorni non ha fatto, rinviando tasse proposte e avallate proprio da alcune forze di maggioranza. Pur di mostrarsi compatto e “favorevole al popolo” ha deciso di non decidere, spacciando questa “non decisione” per un “miracolo”. Pensando magari che gli italiani avrebbero ringraziato elettoralmente, quasi avessero l’anello al naso. Dalle tasse rinviate alle sardine, se le stanno inventando tutte pur di riacquistare consensi. Se alle prossime elezioni regionali non dovessero farcela neanche così…

L’essere popolari, come detto, è un vincolo che caratterizza e influenza tutti i partiti, soprattutto i più grandi. Accanto ad argomenti popolari, invece, ogni partito dovrebbe pure sostenere posizioni e ideali che vadano al di là del proprio tornaconto elettorale. C’è chi propone lo ius culturae per i minorenni nati in Italia da persone immigrate, benissimo… C’è chi propone di superare il concetto di “modica quantità” e trattare con durezza ogni tipo di detenzione di stupefacente, benissimo… Si abbia, però, anche il coraggio di portare avanti queste battaglie. Con serietà, determinazione e coerenza. Perché la coerenza paga. E se non paga adesso, perché momentaneamente vanno di moda altri ideali, magari pagherà in un futuro neanche troppo lontano. Perché le bandiere che il popolo segue possono cambiare. La sfida è farsi trovare pronti. E farcisi trovare, per quanto possibile, da una posizione che nel tempo si è mantenuta coerente.

Secondo noi, esistono molte battaglie politiche per cui varrebbe la pena combattere, in questo preciso momento storico. Andare in mezzo ai giovani e spiegare che la cannabis fa male. Legalizzare la prostituzione, invece che le droghe. Colpire i consumatori, oltre che i trafficanti di stupefacenti. Almeno discutere di pena di morte per i criminali, così come si discute di aborto e eutanasia per gli innocenti. Consentire l’organizzazione di ronde per sopperire alla carenza di pubbliche forze dell’ordine, oltre che regolamentare la legittima difesa nella proprietà. In casi eccezionali, per salvaguardare la sicurezza pubblica, provvedere a limitare alcuni diritti.  Affermare che l’integrazione è sì buona e bella, ma impraticabile perché ogni immigrato ha i suoi valori, spesso incompatibili con quelli del Paese che lo ospita. Sostenere che alcune famiglie, nell’accudimento dei figli, sono più adatte di altre. Schierarsi contro la deriva ambientalista, sostenendo che avvantaggia i petrolieri piuttosto che l’ambiente…

Quante battaglie si potrebbero sostenere, se non si badasse esclusivamente al consenso del popolo! Ma schierarsi apertamente contro certi ideali significherebbe, per alcuni partiti, crollo sicuro nei sondaggi. Visto che ultimamente si tengono elezioni a distanza molto ravvicinata, certe battaglie non vengono intraprese. Ce li vedete, voi, i politici ad andare in mezzo ai giovani, spiegando loro che la cannabis fa male? Gli riderebbero addosso, in fondo “è solo una cannetta, tutta roba naturale”… O a dire che, a determinate condizioni, certi diritti vanno limitati? Darebbero loro dei “barbari”… O a sostenere che certi nuclei familiari, pur legittimati da un Parlamento, sono una spanna al di sotto della “famiglia tradizionale” nella cura dei figli? Politici del genere sarebbero etichettati come “retrogradi e sfigati”… O a mettersi contro l'”onda verde”, contro chi riempie le piazze manifestando a favore dell’ambiente? Tali politici verrebbero messi al rogo, pure a costo di inquinare l’atmosfera…

Ci auguriamo che alcuni abbiano il coraggio di assumere queste (ed altre) posizioni scomode. E di assumerle in maniera continuativa, senza timore per una situazione di impopolarità temporanea o prolungata nel tempo. E di continuare a navigare nella stessa direzione, pure quando il popolo volta le spalle e il vento cambia. Perché un giorno il vento tornerà a soffiare in questa direzione. Perché un giorno il popolo volgerà di nuovo lo sguardo verso questa parte. Perché quel giorno chi è rimasto coerente raccoglierà i frutti della propria coerenza.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Centrodestra unito. Destinazione governo

Ave Socii

Finalmente l’intesa sulla manovra economica è stata trovata. Le tasse su plastica e zucchero saranno rinviate… di qualche mese! E’ evidente, tutte le forze politiche sono in campagna elettorale. E specialmente le forze, al momento in evidente difficoltà, che sostengono l’attuale governo. L’unico modo che hanno per riacquisire qualche consenso è rimediare agli errori detti e fatti. E far passare questi rimedi per grandi risultati. Così, non è tanto un errore aver ideato nuove tasse, piuttosto è un gran risultato averle evitate o rinviate. Se dunque la sinistra confermerà alcune Regioni alle prossime elezioni, sapremo forse intuirne il perché. Chissà, potrebbe anche darsi che gli italiani si accontentino dell’uovo oggi… In ogni caso, sanno cosa li aspetterà domani…

Ora la manovra economica è attesa al vaglio delle Camere. Visti i tempi stretti, si prevede (come di consueto) il ricorso al voto di fiducia. E dire che quest’anno, a sentire i membri dell’attuale maggioranza, avrebbe dovuto essere l’anno della discussione e della centralità del Parlamento… In occasione della precedente manovra, il Pd minacciò addirittura di ricorrere alla Consulta per affermare la centralità del Parlamento. Un anno dopo finalmente capiamo, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che quello altro non era che l’ennesimo sgarbo nei confronti della Lega.

Se le cose non cambieranno presto, purtroppo sperimenteremo a breve gli effetti di un governo di sadici filo-europeisti e filo-cinesi. Un governo che, per strappare un briciolo in più di flessibilità sul debito, non esiterà a trasformarci nuovamente nel campo profughi d’Europa. Un governo che, per racimolare qualche soldo in più, non esiterà a svendere le nostre eccellenze a Paesi come la Cina. “Abbiamo firmato accordi commerciali con la Cina, la nuova via della seta”… “Abbiamo ottenuto un rinvio sul Mes”…  Anche qui ce li hanno presentati come “grandi risultati”, i Cinque Stelle prima e il Pd poi… Non vorremmo fossero invece segnali di umiliazione e prostrazione nei confronti di Europa e Cina. Le ingerenze verso l’Italia, da parte di entrambi, sono spesso tutt’altro che amichevoli. Lo abbiamo visto anche recentemente… E l’atteggiamento del nostro attuale governo si è spesso rivelato tutt’altro che inamovibile…

Noi, semplicemente, vogliamo un governo diverso. Un governo meno moralista e più legato alla realtà. Un governo che, per evasori e categorie simili, preveda anche misure diverse dal carcere, visto che se le carceri sono sovraffollate è difficile trovarvi posto per tutti i colpevoli. Un governo che eviti di mettere nuove tasse, quando la pressione fiscale è già abbastanza elevata. Un governo che non faccia il finto salutista, ossessionando la filiera delle bevande zuccherate ma al contempo strizzando l’occhio ai sostenitori della legalizzazione delle droghe. Un governo che, anzi, dica chiaramente che la droga fa male in ogni forma e agisca di conseguenza. Un governo che parli seriamente di ambiente, senza creare allarmismi, promuovendo l’economia circolare e non penalizzando l’economia esistente. Un governo che faccia costruire termovalorizzatori, invece di costringerci ad esportare i nostri rifiuti e a comprare energia dagli altri Paesi. Un governo che metta finalmente mano alle infrastrutture…

Allo stato attuale delle cose, un governo così può esser guidato solo e soltanto da una coalizione di centrodestra. Il centrodestra unito è attualmente l’unico vero argine al giogo delle potenze straniere, come l’Europa e la Cina. Un centrodestra che è e deve rimanere plurale, dotato di un’anima liberale e un’anima sovranista, in grado di rispondere di volta in volta alle esigenze contingenti. Perché il sovranismo non è sbagliato a priori, così come il liberalismo. Ciascuno di essi contiene in sé delle risposte che possono rivelarsi giuste in alcuni momenti, meno adatte in altri. Un centrodestra che sappia arginare la deriva ambientalista che ora imperversa in Italia e nel mondo, coniugando l’attenzione per l’ambiente alla tutela dell’occupazione. Un centrodestra che combatta l’immigrazione incontrollata e chi vi lucra sopra. Un centrodestra che sappia tutelare le nostre tradizioni, la nostra patria, la nostra identità.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Lavoro flessibile. Il contrasto di interessi applicato al problema dell’occupazione

Ave Socii

La globalizzazione, lo sviluppo tecnologico, le crisi della domanda di beni e servizi… Molteplici sono i fattori in grado di modificare il significato del lavoro. Rispetto a qualche anno fa, quando il posto fisso non era ancora un miraggio, c’è stato un vero e proprio cambio di paradigma: dalla stabilità alla flessibilità. E ciò, apparentemente, sembra aver favorito solo le imprese a tutto discapito dei lavoratori. Un giorno, forse neanche troppo lontano, molti lavori nasceranno e molti altri scompariranno. Dopotutto, l’importante è adattarsi alle contingenze. I nostalgici del posto fisso dovranno farsene una ragione… Ora c’è la globalizzazione, la lotta al massimo ribasso, la riduzione dei costi (spesso proprio del lavoro)… Quando si tornerà a prediligere l’economia locale, probabilmente anche il lavoro stabile verrà rivalutato.

Dovranno davvero rassegnarsi, i lavoratori, finché il modello globalizzato non sarà entrato in crisi? Davvero la flessibilità avvantaggia solo le imprese? A nostro parere, un’oculata regolamentazione del mercato del lavoro può dare opportunità insperate persino ai lavoratori. Coniugando, ad esempio, flessibilità e diversificazione. Non solo, cioè, dare la possibilità alle imprese di assumere a tempo o a progetto, ma anche permettere ai lavoratori di svolgere più lavori contemporaneamente presso differenti aziende. Una sorta di “portafoglio di lavori”, da poter riempire fino al raggiungimento del tempo pieno (supponiamo 40 ore settimanali). Non ci pare una stranezza: così come all’investitore è concesso un portafoglio diversificato di attività in cui investire, perché ad un lavoratore non dovrebbe essere concesso un portafoglio diversificato di lavori?

Il motivo della diversificazione è chiaro: garantire una maggior sicurezza. Se un’attività del portafoglio va male, magari ci sono altre attività che vanno meglio e su cui l’investitore può contare. Così per un lavoratore: se un lavoro va male, magari ci sono altri lavori che possono andare meglio. Nel complesso, una maggiore diversificazione è associata a maggiori probabilità di successo. Ciascuna impresa potrebbe assumere un lavoratore a tempo parziale, ma al contempo consentirgli di conoscere altre imprese (magari dello stesso luogo) interessate al suo profilo lavorativo. Se poi l’Italia avesse anche una rete infrastrutturale decente e un trasporto pubblico funzionante, i lavoratori potrebbero permettersi pure di spostarsi degnamente e lavorare in posti differenti… Ma questo è un discorso a parte.

Dal lato della domanda, il binomio flessibilità-diversificazione genererebbe molti vantaggi. Possibilità di maggiore collaborazione e coopetizione fra le imprese. Possibilità di riduzione dei costi del personale. Possibilità di fronteggiare le diminuzioni di domanda senza la preoccupazione di ridurre sul lastrico intere famiglie. Dal lato dell’offerta, i vantaggi sarebbero ancor più interessanti. Possibilità di rendersi maggiormente indipendenti dall’andamento di una singola azienda. E, soprattutto, possibilità di diversificazione e allargamento delle proprie competenze. Certo, diversificare il lavoro potrebbe richiedere ai lavoratori di assumere competenze trasversali: mantenendo più lavori ma tutti nello stesso settore, i lavoratori potrebbero ravvisare un peggioramento generale delle proprie condizioni qualora quel settore andasse male. Avere più competenze non contrasta con la divisione e la specializzazione del lavoro. Al contrario, le molteplici combinazioni di più competenze consentono a più lavoratori di specializzarsi in maniera differente gli uni dagli altri, variegando l’offerta di lavoro.

Quella del portafoglio di impieghi è una facoltà che il mondo delle imprese dovrebbe offrire ai lavoratori, accanto al più classico lavoro all’interno di una singola azienda. Il portafoglio di lavori consentirebbe di liberare risorse per l’innovazione o, perché no, per assumere nuovo personale e ridurre così il tasso di disoccupazione. La nostra è una semplice proposta. Magari sarà irrealizzabile, nel contesto italiano o più in generale, però crediamo che le motivazioni da noi addotte siano sensate. Ad alcuni questo “spezzatino di lavoro” potrebbe apparire inutile o addirittura controproducente. Eppure, al momento, questa ci pare la soluzione migliore in grado di venire incontro a tutte le parti in causa. Conservare la mentalità del “posto unico e fisso” significherebbe, secondo noi, ignorare le attuali condizioni del mercato del lavoro. Un mercato globalizzato, che si rinnova, che entra in crisi e che spesso non fa sconti a nessuno.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Sardine in piazza… Ma gli italiani abboccheranno?

Ave Socii

Vedere gente che riempie una piazza e manifesta pacificamente è la miglior cosa che possa accadere in democrazia. Purtroppo le frange violente esistono dappertutto e vanno ovviamente condannate. D’altro canto, i movimenti propositivi vanno elogiati e incoraggiati nelle loro battaglie. Negli ultimi giorni sta prendendo piede il fenomeno delle “sardine”, gente comune che organizza manifestazioni, nelle principali piazze italiane, per protestare contro il populismo di una certa politica. Due cose in particolare ci stupiscono di questo movimento: la tempistica e l’obiettivo. Non è un caso, secondo noi, che le sardine nascano e spopolino proprio a ridosso di importanti elezioni regionali. Così come non ci sembra un caso che le sardine abbiano come (unico) obiettivo dichiarato quello di scagliarsi contro una ben precisa parte politica.

Essendo nato da pochi giorni, il movimento delle sardine deve ancora comprendere e far comprendere le sue reali intenzioni. Per ora però una cosa è certa: si sta dimostrando un movimento totalmente “contro”. E “contro” obiettivi specifici: un partito, la Lega, e un avversario, Salvini. Segno evidente che Salvini è ormai talmente forte da riuscire a compattare non solo i salviniani, ma pure gli anti-salviniani. E la paura che presto possa prendere in mano le redini dell’Italia cresce di giorno in giorno. Fossero davvero un movimento contro il populismo, le sardine potrebbero trovare slogan populisti persino a sinistra. I soldi vanno presi dove ci sono… Togliere ai ricchi per dare ai poveri… Pagare tutti per pagare meno… Non è forse ciò che il popolo si aspetta di sentir dire dalla politica? Perché allora, quando si parla di populismo, si è abituati a guardare solo a destra?

Si pensa che dietro il movimento delle sardine si celi la regia di qualche politico di sinistra. Nulla di cui stupirsi, se così fosse: non è la prima volta che a sinistra nascono movimenti alternativi, per giunta più “contro” che “pro”. Se invece si trattasse di un movimento totalmente spontaneo, una cosa sarebbe certa: l’attuale sinistra, in politica, si sta dimostrando assolutamente incapace di rappresentare le istanze che dice di voler rappresentare. Tant’è che queste istanze hanno bisogno di far sentire la propria voce in altro modo. Fossimo nei panni degli attuali esponenti politici di sinistra, non ne andremmo così fieri. Per dirla tutta, in realtà, non è che le sardine rappresentino istanze poi tanto diverse dal passato. Pretendono di costituire il rinnovamento e cantano “bella ciao”… Un buon inizio, non c’è che dire!

A nostro parere, le sardine nascono come risposta a una sinistra inerme di fronte all’avversario politico. Come ultima spiaggia per tentare di salvare il salvabile. Come estremo tentativo di riunire delle pecore rimaste senza pastore, pur consapevoli che il lupo è sempre in agguato. Il Pd plaude per non piangere. Qualcuno forse maledice il giorno in cui ha accettato di dar vita a questo sgorbio di governo. Un governo che macina figuracce su figuracce, commette errori su errori… Ed è ad appena due mesi di vita. A questo punto, sarebbe meglio consegnare l’Italia al centrodestra. E lasciare che anche il centrodestra, a lungo andare, commetta degli errori. Perché è inevitabile che governare produca anche esiti negativi. Solo così la sinistra potrà sperare di ritornare competitiva nella politica italiana.

Sardine o no, allo stato attuale la maggioranza del Paese attribuisce tutto il negativo all’attuale governo e ogni possibile soluzione positiva è riposta nel centrodestra a trazione Lega. Nessuno li ha obbligati a formare questo governo, eppure hanno voluto provarci lo stesso. Per “salvare l’Italia”… Per “mettere Salvini e la Lega all’angolo”… E questi sono i risultati. Hanno voluto la bicicletta? Continuino a pedalare! Oppure accostino e scendano!

Vostro affezionatissimo PennaNera

Crescita economica. Perché alcuni vogliono bloccare l’Italia?

Ave Socii

Da tempo gli argomenti principali del dibattito politico in Italia sono l’immigrazione, il razzismo, il fascismo, l’ambiente, le tasse etiche… Nessuno intende più parlare seriamente di crescita, di sviluppo, di piani industriali, di lavoro, di autosufficienza energetica… Perché di certi argomenti si sente parlare poco o niente? Perché li si tira fuori solo verso fine anno, quando c’è da approvare il Def? O quando c’è da imbastire una campagna elettorale? O, peggio, quando una multinazionale rischia di abbandonare l’Italia e lasciare a casa migliaia di lavoratori? Eppure si tratta di tematiche evidentemente importanti. Magari più importanti di molte altre… Il Parlamento si preoccupa di istituire Commissioni sul razzismo… Ben vengano, ma allora perché non istituire pure Commissioni sulla tutela dei settori strategici dell’economia italiana? Qualcuno ha forse interesse a che di certe cose non si parli?

Ogni tanto alcuni si svegliano e iniziano a parlare di economia circolare, in effetti comincia a diventare una moda… Poi però ci si accorge che, all’atto pratico, siccome il “retto pensiero” impone di schierarsi contro i termovalorizzatori perché “inquinano”, i rifiuti debbono essere portati in altri Paesi. Qui vengono trattati e trasformati in energia, che ovviamente noi siamo costretti a comprare perché non autosufficienti. Tutto questo costa. Ma noi, pur di rimanere fedeli ai principi imposti da ambientalisti e teorici della decrescita, preferiamo pagare. Pagare sia per trasferire i rifiuti all’estero, sia per riprenderceli sotto forma di energia. Invece di sfruttare al meglio queste risorse a casa nostra. Con quale credibilità, allora, possiamo continuare a parlare di economia circolare?

Nel dubbio, meglio parlare d’altro. Di immigrati, ad esempio. Su questo tema in Europa fanno finta di nulla, forse proprio perché gli italiani concentrino ancor più la loro attenzione sull’immigrazione. Forse in Europa non vogliono che l’Italia si interroghi anche su argomenti come la crescita economica. Forse in Europa sperano proprio questo: che in Italia ci si arrovelli su ogni questione purché non sia quella della crescita. Forse è interesse dell’Europa mantenere l’Italia in una posizione subalterna rispetto agli altri Stati. Un’economia che arranca è costretta a chiedere aiuto agli altri. E questo agli altri conviene, poiché il nostro potere contrattuale ne esce fortemente ridimensionato. E lo è ancor più se la politica nazionale, invece di promuovere la crescita, promuove una condizione di mera stabilità o addirittura la decrescita. Intanto Paesi come la Cina stanno crescendo con rapidità impressionante. Inquinano come pochi, però gli ambientalisti continuano a prendersela con l’Occidente…

Eppure esistono misure che favorirebbero la crescita persino qui in Italia. Persino all’interno della gabbia dei Trattati europei. Persino nel rispetto dell’ambiente. Pensiamo alla riduzione delle tasse, sulle imprese soprattutto, per far ripartire il lavoro. Pensiamo alla liberalizzazione della giustizia civile, affinché almeno i processi per sbrigliare i contenziosi tra privati vengano accelerati. Pensiamo alla liberalizzazione dei sindacati, perché possano adattarsi più velocemente ai mutamenti del mercato del lavoro… Perché se ne continua a parlare poco o niente? Forse c’è davvero un interesse a che l’Italia resti al palo, contrattualmente debole, facilmente svendibile… Finché il governo sarà guidato da un’ideologia buonista, antimeritocratica, giustizialista, filocinese, contraria alla crescita, gli interessi dell’Italia saranno sempre posposti agli interessi di qualcun altro. Se non ci destiamo subito da questo torpore, presto vedremo il nostro tricolore lasciar posto a una bandiera rossa a cinque stelle.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Razzismo, stereotipi e Commissioni per valutare i pregiudizi

Ave Socii

Chiunque dovrebbe essere contrario al razzismo e alla discriminazione razziale. Nessuno oserebbe dire il contrario. Ma l’istituzione di una Commissione parlamentare apposita, chiamata a pronunciarsi anche su altri “argomenti affini”, rischia di condurre a giudizi ambigui e di parte. E dal condannare l’odio, l’antisemitismo e il razzismo, spesso si finisce per condannare pure il patriottismo e il nazionalismo. E si finisce per identificare i nazionalisti con i razzisti… Forzatura non da poco, che inevitabilmente influenza qualunque giudizio supposto “imparziale”. E intacca la serietà di qualunque Commissione che abbia la pretesa di dirsi “al di sopra delle parti”.

Va notato che, nella pronuncia dei giudizi, si fa spesso distinzione tra “fascisti cattivi” e “compagni che sbagliano”. E non solo in politica. C’è chi elogia chi sta dalla parte dei “diritti dei gay”, poi alla prima occasione utile dà a qualcun altro del “frocio” per i più disparati motivi. C’è chi dice di vedere nelle diversità una ricchezza, ma nel privato non perde occasione per emarginare l’altro percepito come “diverso”. I giudizi dipendono sempre da chi hai di fronte: se è un amico, si interpretano; se è un nemico, si applicano fino all’ultimo. I giudizi, specie se pronunciati verso un “nemico”, sono poi fortemente influenzati da stereotipi e pregiudizi. Pure se chi li pronuncia dice di essere apparentemente “libero da qualsiasi pregiudizio”. E’ bene guardarsi da chi si proclama “libero da pregiudizi”: spesso è il miglior modo per dire che solo i suoi pregiudizi sono quelli giusti.

Una Commissione davvero giusta non dovrebbe rispecchiare le forze parlamentari in proporzione alla composizione delle Aule. Dovrebbe, invece, garantire che ogni istanza, ogni partito, ogni parte della società apporti il medesimo numero di commissari. Solo così, secondo noi, si potrà dar luogo ad un organo intrinsecamente giusto ed equilibrato. Poi c’è l’influenza del contesto nel quale siamo immersi, ma si tratta di una questione a sé… Il problema fondamentale è capire cosa andare a giudicare. E chi lo debba giudicare. Se il “cosa” è variegato e ambiguo e il “chi” è mutevole e parziale, qualsiasi Commissione è ingiusta. Perciò che i partiti di centrodestra abbiano votato contro l’istituzione di questa Commissione è, a nostro avviso, un ottimo segnale. A differenza di quanto sostenuto dal vasto coro dei fascio-buonisti, tanto bravi ad accusare gli altri di populismo ma altrettanto bravi a servirsene quando opportuno.

Oggi viviamo in un contesto in cui la razza è vista come qualità negativa e il razzismo come atteggiamento biasimevole. Non è sempre stato così in passato, lo sappiamo. Ed è meritevole che ognuno di noi si batta perché simili atteggiamenti negativi siano evitati (o almeno limitati) per consentire un dibattito sereno fra le parti. Ma di qui a considerare alcune parti come “negative”, perché espressive di idee giudicate aprioristicamente immeritevoli e biasimevoli, va contro il principio della libertà di espressione. E pregiudica ogni sereno dibattito, perché elimina dalla dialettica attori certamente importanti e che poco o nulla hanno a che vedere col razzismo. Dirsi “sovranisti” potrebbe essere un problema, se una Commissione può censurare chiunque si proclami “difensore della patria”. Per assurdo, una simile Commissione dovrebbe censurare pure il governo… Tutti i suoi membri, infatti, giurano fedeltà alla Repubblica. E pure gli stessi parlamentari, in quanto rappresentanti della Nazione.

Siamo franchi! L’istituzione di questa Commissione sembra, in realtà, l’ennesimo tentativo per tentare di mettere all’angolo certe forze politiche. Quelle forze politiche, guarda caso, che ora godono del maggior consenso nel Paese. Strumentalizzare tematiche importanti e sentite quali l’antisemitismo e il razzismo, magari con lo scopo ultimo di screditare l’avversario politico, è la peggiore e più ipocrita delle strategie. L’ennesimo tentativo di affrontare l’avversario non con argomenti politici, ma attraverso battaglie intrise di moralismo e giustizialismo. Ci auguriamo, pertanto, che questa Commissione giudichi nella maniera più imparziale possibile. E che i suoi giudizi si trasformino il meno possibile in attacchi politici.

Vostro affezionatissimo PennaNera