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L'occhio del coniglio 28. Felice corrugò le sopracciglia

Post n°732 pubblicato il 14 Aprile 2013 da LaDonnaCamel
 
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Felice corrugò le sopracciglia fino a formare una riga continua e nera. Guardava le carte e poi il lampadario che pendeva sopra il tavolo, una mezza palla di stoffa bianca a pallini verdi.
La finestra sul balconcino era aperta e faceva corrente con il salotto ma al tavolo arrivava solo qualche refolo ogni tanto, faceva caldo. Elisabetta aveva dato le carte e ora guardava Felice, aspettava che giocasse. Anita riordinava le sue e Carlo cominciava a spazientirsi, faceva il verso di uno che russa, con gli occhi chiusi e la testa piegata da un lato.
Felice aveva raccontato poco prima della riunione con il consiglio di fabbrica della sua azienda. Non riusciva a farsi prendere sul serio, era un brutto momento e quelli non gli davano retta. Suo padre aveva avuto un infarto e lui non era pronto a sostenere tutto quanto, avevano ragione loro a considerarlo ancora un ragazzo, era proprio così che si sentiva. Carlo aveva cercato di dargli qualche consiglio, gli aveva detto cosa avrebbe fatto lui al suo posto, in un certo senso lo capiva.
“Felix, se vuoi ci vengo io a parlare con il consiglio di fabbrica, posso fare la parte del consulente stronzo, che mi frega? Lo faccio già tutti i giorni per conto mio.” Mentre parlava spianava la tovaglia con la mano, pensava che quello dello stronzo era il ruolo che gli riusciva meglio, era proprio quello che volevano da lui.
“Se non fai qualcosa qui va tutto all'aria, non ce la fai mica a reggere. Ci vanno di mezzo tutti.”
Elisabetta mise sul tavolo una cocacola e una bottiglia di rum e riprese in mano le carte. Aveva un vestitino a quadretti bianchi e neri che ricordava Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany. Comunque non le assomigliava davvero, lei era bionda.
Felice sembrava imbambolato, alzò lo sguardo verso Carlo e scrollò la testa.
”Come cazzo faccio Carlo. Quelli sono lì da trentanni, io non ero ancora nato e tu andavi all'asilo. Non sanno fare niente, solo schiacciare quei due maledetti bottoni rossi. Hanno fatto sempre quello per tutta la vita. Hanno i figli, le mogli a casa o a fare i mestieri per fuori. Guarda Pollicino, tu la sai la storia, come cazzo faccio, Carlo”. Felice era un uomo alto e muscoloso e il suo solito modo di fare imponente contrastava con quel tono di voce infantile.
Anita aveva riempito i bicchieri, un po’ di coca e un po’ di rum,
“Pollicino? Chi è Pollicino?” chiese, “Oh, Felice, se non hai più voglia smettiamo eh. Sempre quando vinciamo noi, di la verità che lo fai apposta.”
“Chi ti ha detto di mettermi il rum?” disse Carlo guardando il suo bicchiere, “Lo sai che quando fa caldo non mi va.”
“Veramente l’altra sera…” rispose lei in un soffio sbattendo gli occhi, “scusami, lo bevo io”.
Elisabetta gli mise davanti un bicchiere pulito senza dire niente. Lui la guardò, poi guardò Anita e si versò la Cocacola.
Felice sorrise con gli occhi a fessura e mise un due nero in mezzo al tavolo, girò la faccia verso Anita e come se non ci avesse badato riprese:
”Fattela raccontare da Carlo la storia. Lui lo sa, l'ha anche visto. E' un soprannome che gli abbiamo dato ma se ti sente si offende.”
Lei guardò le carte che teneva in mano a ventaglio e tirò fuori un due, “grazie,” disse mettendosi la presa davanti. Carlo, con la faccia scura, giocò il due bello e Elisabetta ridacchiò prima di abbassare il quarto due e conquistare la seconda scopa.
Carlo spalancò gli occhi, “Ma cazzo Felice, ma sei scemo o cosa?” gridò buttandosi indietro sulla sedia, “ma come si fa a ballare un due secco in prima mano? Ma dai! Sono mesi che giochiamo quasi tutte le sere, possibile che devi fare ancora queste cazzate?” Aveva messo le mani aperte sul tavolo e spingeva verso il basso, si vedevano i muscoli delle braccia gonfiarsi, tendere le maniche corte della polo, “ma perché l'hai fatto, perché? Lo sai che non si deve mai, mai, per nessun motivo ballare una carta secca. Piuttosto giri un asso, è una questione di matematica. Lo sai adesso cosa succede? Che ci fanno un culo quadro, ecco cosa succede.” Prese un grande sorso dal suo bicchiere e lo sbattè sul tavolo facendo schizzare qualche goccia sulla tovaglia bianca stampata a funghetti verdi.
“E’ che... Avevo un'idea,” mormorò Felice guardando le sue carte, “lo so, lo sanno tutti che bisogna giocare una carta doppia. E' per questo che non l'ho fatto. Perché lei si aspettava che lo facessi,” indicò Anita col mento e continuò, alzando un po’ la voce, “era una trappola. Ho pensato che se io giocavo quel due lei poi credeva che avevo anche il due bello e lo lasciava passare per farselo poi, mi segui? e invece io non ce l'avevo e lei era fregata. Ma l’ha preso.”
Le ragazze lo guardarono ridendo.
“Hai fatto bene Felix, ti ringrazio del pensiero”, disse Anita accarezzandogli il braccio. Invece Carlo non rideva per niente, si passò una mano sulla faccia e scrollò la testa, “Felice, questo gioco si chiama scopa, lo sai perché?” disse guardandolo negli occhi, “ma cosa te lo dico a fare, lasciamo perdere.” Prese in mano le sue carte, le guardò come se non le vedesse e le richiuse a mazzetto con un colpo secco.
Toccava di nuovo a Felice ma aveva appoggiato le carte sul tavolo, si era acceso una sigaretta e la guardava, seguiva con gli occhi il fumo che andava su dritto.
“Va bene ingegnere, ho capito, è la matematica. Sono sempre stato una chiavica in matematica.” Abbassò la voce a un mormorio appena percettibile. “Sono una chiavica qualsiasi cosa faccio.”
Fece un tiro e si voltò verso sua moglie: “Eli, domani sera non torno a cena, vado dall'avvocato e poi lo devo portare fuori, farò tardi.” Lei non alzò gli occhi dal tavolo, non rispose. Raschiava con l'unghia laccata di rosso vivo una briciola appiccicata alla tovaglia.
Carlo si agitò sulla sedia come se fosse scomodo. Poi si fermò, si allungò verso Anita e le toccò il braccio,“ah, a proposito,” disse, “mi ero dimenticato che anch'io domani sono fuori, devo andare a Lodi per una cena con l’equipaggio della regata.” Anche Anita guardava giù, stringeva il bicchiere con tutte e due le mani, contemplava le bollicine della coca che venivano a galla e scoppiavano piano.
“Come mai così all'ultimo momento?” disse dopo un po’ voltandosi verso di lui. Lui chinò la testa, si toccò il petto, “scusa, mi ero dimenticato. Te l’ho detto, me l'ha fatto venire in mente adesso.”
Lei alzò i sopraccigli ma lui stava già guardando Felice, “allora vecchio, giochiamo o la piantiamo qui? Se non hai voglia mandiamo a monte” e poi, ammorbidendo la voce, “scusa per prima. Ma anche tu, però...”
Anita pensò che Elisabetta le sembrava una mummia, manco respirava. Un po' era fatta così, lo sapeva, parlava poco e tendeva a defilarsi. Ma certe volte esagerava, sembrava in imbarazzo, ma perché? Magari era lei a equivocare, a ingigantire sensazioni tutte sue, chi lo sa. Si sentiva distante, come se fosse altrove, come se loro parlassero una lingua sconosciuta. Mai come Felice, quello stava sulla luna.
Lui spense la sigaretta e si alzò. “Vado a pisciare e poi continuiamo. Scusate, poi mi passa”. Si alzò anche Anita, “Qui si crepa di caldo” disse a voce un po’ troppo alta.
Non era sudata ma le scottava la faccia e fuori c'era un po' d'aria, si respirava. Le foglie della pianta in cortile si muovevano, facevano dei disegni con la luce dei lampioncini sopra gli ingressi delle scale, macchie animate. Le stelle no, non si vedevano, lì era quasi impossibile. Era stato un caso se la porta finestra era messa in modo da riflettere la stanza nel momento in cui si era girata per rientrare.
Si era fermata ma poi aveva distolto lo sguardo. Non sapeva nemmeno lei cosa aveva visto o non visto. Non voleva saperlo, forse. Mentre ci pensava fece un passo verso casa e tutto era normale, ciascuno seduto al suo posto. Felice stava tornando dal bagno.
Ripresero le carte, toccava ancora a Felice che stavolta aveva girato un asso. Carlo non disse niente ma aveva una faccia. Anita ballò una donna, Carlo non ce l'aveva e il gioco continuò in silenzio, botta e risposta.
“E insomma, com'è la storia di Pollicino?” chiese Anita a nessuno in particolare. Elisabetta aveva ridacchiato.
“Ah, la sai pure tu?” continuò, “La sapete tutti e perché non me la dite?”
Carlo si schiarì la voce: “Lo sai come funzionano le presse nella fabbrica di Felix? Ci sono due bottoni distanti tra loro, è per la sicurezza, perché l'operaio deve mettere le mani sotto la macchina. Deve prendere un dischetto di metallo e lo deve inserire in una forma. Bisogna fare in modo che le tolga prima che venga giù la pressa, che sono ennemila chili. Immaginati cosa succede se ce le lasci sotto. Pollicino, che non so nemmeno come si chiamava prima, cioè come si chiama, è riuscito in qualche modo a schiacciare i bottoni coi gomiti e ci ha rimesso tutti e due i pollici” e mimava il gesto.
Anita guardò Felice, ”ma perché l'ha fatto?”
“Per fare più in fretta,” disse lui giocando una carta, “fanno le gare a chi fa più pezzi.”
“Ma li paghi a cottimo? Un tanto a pezzo?”
“Ma no. Gliel’avevano anche vietato di fare le gare, mio padre d’accordo con il consiglio di fabbrica. Te l'immagini il casino dopo un incidente come quello? Gli ispettori dell'Inail, la linea di produzione ferma per giorni? Avevano imposto un massimale di pezzi. Ma le fanno lo stesso. Finiscono il massimale prima del tempo, si fermano e non fanno niente fino alla fine del turno.”
“Ma allora perché?” insisteva lei.
Nessuno rispose. Elisabetta versò ancora la cocacola a tutti, Anita ne bevve un po’ e posando il bicchiere fece una smorfia.
“Sei rimasta male?” le chiese mettendole davanti la bottiglia del rum.
“Eh, un po’. Sì. E’ una cosa brutta.” Appoggiò il mento alla mano col il gomito sul tavolo e guardava fuori, verso il balcone.
Elisabetta le sorrise.
“Bah.” Disse rimettendosi dritta, “e ora Pollicino che fa? Lavora ancora alla pressa? Ma quanto tempo… quando è successo l’incidente?”
Carlo si era scostato dal tavolo, appoggiato allo schienale faceva dondolare indietro la sedia.
“No”, disse, “anche se riesce a fare tutto pure senza i pollici. L'hanno messo a fare le pulizie, piccole commissioni, lavori da fattorino. E’ successo parecchi anni fa, cinque, dieci, non so di preciso. Ma tra poco va in pensione, vero Felix? E' un bravuomo, ma sempre una testa matta.”
Felice mise sul tavolo la sua ultima carta, Anita la prese - c'era giù una donna dispari e non poteva fare scopa, Carlo buttò la sua e Elisabetta raccolse tutto.
Carlo contava i punti.
“Non abbiamo fatto neanche un oro,” disse alzando la testa.
Elisabetta sorrise.
“Ehi socia, abbiamo fatto napoleone e adesso questi due asini si metteranno le carte sotto il braccio e andranno a studiare come si fa a giocare a scopa,” disse Anita.
Carlo ridacchiava: “E' Felix che deve andare a scuola, è lui che ha fatto la cazzata madornale.”
Pure Anita rideva, “tutti e due! Tutti e due! Siete soci e dovete spartire le vincite e le perdite!”
Fu in quel momento che Felice scoppiò a piangere. Non come uno che si commuove e gli scende una lacrima di soppiatto, no, lui singhiozzava e urlava e il moccio gli colava dal naso sui baffi e strizzava gli occhi e teneva i pugni chiusi come un neonato. Rimasero tutti impietriti. Elisabetta gli si sedette vicino, gli mise un braccio intorno alle spalle e gli diceva piano “dai, dai, dai”
“Tu non capisci un cazzo.” Aveva una voce acuta che non era la sua.
“Tutti voi non capite un cazzo. Un cazzo, non capite un cazzo, un cazzo, un cazzo.” Non osavano interromperlo e lui parlava tra le lacrime, tirava fuori una pena infinita, ripeteva “un cazzo” sempre più piano.
Appoggiò la testa sul tavolo, nascosta tra le braccia.
Anita guardò Elisabetta, poi Carlo. Si appoggiò allo schienale della sedia, si mise il pollice in bocca e volse lo sguardo alla finestra, rosicchiandosi una pellicina.
(Continua)

carte

Questo è L'occhio del coniglio, un romanzetto che ho scritto io e che mi piace offrire ai miei blogamici e agli sfaccendati che passano di qui.

Già che faccio l'editore di me stessa, ho prodotto anche una versione digitale, mobi, epub e pdf. Se ti stanchi di leggere a schermo e la vuoi mettere nel tuo lettore eBook oppure se hai occasione di stampare a ufo e vuoi il pdf, scrivi a ladonnacamel@gmail.com e te la mando. Gratis e senza DRM!
(Però poi non venire qui a spoilerare il finale eh, t'ammazzo! Che, se non si era capito, le puntate qui continuerò a metterle, al ritmo di due a settimana, più o meno.)

 

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