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THE SOUND OF SILENCE

Post n°5 pubblicato il 14 Gennaio 2009 da esperiMente

(quella volta che Pablo pensò bene di andarsene in vacanza con l’Erminia)

“Cazzo, è proprio così!”

Con questa frase era iniziata la sua giornata, a conclusione di un pensiero che le frullava in testa da quando le righe di luce avevano iniziato a colorare le finestre.

Gradatamente, un pezzettino alla volta, il pensiero era sgusciato fuori da un piccolo foro praticato nel suo cervello durante la notte; un filo d’aria leggerissimo, che al mattino formava una bolla ondeggiante davanti al suo viso.

Dentro c’era scritto “per essere felice non devo più avere bisogno degli altri”.

Era nata con questa condanna: dover sempre parlare, ascoltare, vedere, sentire, telefonare, messaggiare, fare una qualsiasi di queste cose che la portasse a contatto con almeno un altro essere umano, oppure anche solo sapere che c’era qualcuno che stava pensando a lei, sentirsi utile, amata, apprezzata, importante.

Una vera e propria malattia, insomma, che potremmo chiamare “dipendenza da relazione”, e che l’aveva portata a sposarsi ed avere dei figli, per non essere mai sola, per non sentire il suono terribile del silenzio. Oddio, non era certo il motivo principale, ma a pensarci bene teneva il suo spazio.

Ah, in compagnia ci stava benissimo, sempre allegra, spiritosa, brillante; l’ultima ad andare via, un vero spasso, il problema è che stava bene solo in mezzo alla gente e dopo mezza giornata nella  casa vuota cominciava ad attaccarsi al telefono.

Da sola non riusciva neppure a mangiare, quando capitava apriva il frigorifero e ingurgitava qualcosa di freddo dal sapor di segatura, a forza, guardando la tv, per non accorgersi che stava mangiando.

La sua felicità dipendeva esclusivamente dagli altri; se si sentiva utile era felice, se bambini e marito erano contenti lo era anche lei, se gli amici rispondevano ai messaggi le si apriva il cuore, ma, intanto,  osservava con orrore sua madre sorridere della nonna che, rimasta vedova da qualche anno,  elemosinava continuamente l’attenzione dei figli.

Fino a quel momento, però, non lo aveva mai veramente realizzato, sentiva il vago bisogno di cambiare qualcosa, ma non capiva che cosa; la sua incompletezza rimaneva a margine dei pensieri, come la stella cadente che non riesci a vedere ma lo sai che è passata.

Quel giorno iniziò la sua sfida: diventare affettivamente indipendente, bastare a se stessa per poter vivere più serenamente in mezzo agli altri, come essere allo stesso livello, non più perennemente bisognosa  di compagnia e attenzione, e, di conseguenza, inferiore.

Fu facile scegliere il punto di partenza per il suo allenamento; l’ufficio, affollato di gente ipocrita, invidiosa e inconsistente, era l’ambiente ideale per mettere alla prova il suo potenziale di autosufficienza. Per non dare nell’occhio ridusse giorno dopo giorno i tempi di intrattenimento davanti alla macchinetta del caffè e per distrarsi ogni tanto dal lavoro, navigava su internet o si fermava a pensare, guardando nel vuoto, osservando con soddisfazione quanto fosse stato semplice sparare lo start della sua nuova vita. Il passaggio successivo fu automatico, con la scusa del mal di stomaco non prese più neanche il caffè, così da limitare i colloqui con i colleghi alle strette necessità lavorative.

Poi fu la volta delle amiche; anch’esse prese nella rete della vita frenetica, dopo i primi sospetti e alcune insistenze, poche a dire il vero, come aveva rilevato con un pizzico di delusione, anche loro si fecero da parte, aprendo la strada trionfale verso la libertà.

Più complicato fu decidere di non sentire più come necessarie le attenzioni di quella specie di amante che aveva da un po’, ma anche qui la prova venne agevolata dalla controparte, che sembrava metterci tutta la sua buona volontà a scomparire per lunghi periodi, non rispondere agli sms,  non preoccuparsi minimamente del fatto che lei fosse ancora viva o sepolta sotto una valanga a Courmayeur.

E infine venne la volta della famiglia; per il marito lei era trasparente da un pezzo e i marmocchi, ormai cresciuti, si avviavano più o meno serenamente all’adolescenza e al totale “scollamento” dalle sue gonne, nonché disinteresse nei suoi confronti.

In realtà fu tutto molto più rapido del previsto. Nessun intoppo, meglio che smettere di fumare, impresa nella quale si era cimentata più volte senza successo. Raggiunse senza grosse difficoltà lo stato di grazia che le permetteva di essere completamente indipendente, di non aver bisogno degli altri. Ormai poteva smettere di invidiare quelli che vanno a vivere da soli senza spararsi un colpo dopo una settimana.

Passava lunghe ore davanti alla tv, leggeva molto. Dimenticava il telefono in giro, accorgendosene parecchio tempo dopo, in ufficio non le parlava più nessuno, e il bello era che non le dispiaceva affatto. Per la prima volta nella sua vita provava grande soddisfazione nello starsene in compagnia di se stessa, aveva persino imparato a fare i sudoku…ma non era felice. Sentiva che le mancava ancora qualcosa, e in uno di quegli eterni momenti di preziosa solitudine, decise che il massimo sarebbe stato se anche gli altri non avessero più avuto bisogno di lei.

Fu l’inizio di una nuova, entusiasmante avventura. Sul lavoro ce la mise tutta a fare il meno possibile, e a farlo male, in modo da non essere più necessaria, da diventare una di quelle impiegate-fantasma che non servono a niente.

Con le amiche e l’ormai ex-amante, il gioco era già fatto, restavano sua madre, che non poteva fare a meno di chiamarla tutti i giorni per dirle sempre le stesse cose, e la famiglia.

Prese a diventare indisponente con mammina, non si preoccupò più della sua salute e ancor meno di quella dei gatti, e l’altra si offese così tanto da non cercarla più, ma il vero colpo di genio lo ebbe con i parenti più vicini, in senso fisico, cioè quelli con i quali divideva l’appartamento. Dopo averli allenati ad essere indipendenti (ci volle un po’ di tempo, soprattutto col marito) e approfittando delle ferie sfalsate, spedì i suoi cari in vacanza da soli per ben DUE settimane. Lei ormai a casa in solitudine stava da dio e loro si sarebbero abituati a non chiedere continuamente dove stavano i calzini e cosa c’era per cena.

E così fu; al ritorno i tre erano autonomi ed affiatatissimi e lei aveva raggiunto il suo scopo.

Sì trasferì in un mini appartamento, SOLA, sola, sola più che mai, totalmente libera e distaccata dall’asfissiante mondo degli affetti umani. Non accendeva neanche più la radio in macchina e la televisione era come un vetro per lei, che l’attraversava con lo sguardo, totalmente persa e intenta a gustare la soddisfazione di non essere più schiava dei legami.

Bastava finalmente a se stessa e nessuno sentiva la sua mancanza.

Il suono del silenzio era l’armoniosa colonna sonora dei suoi giorni.

La sua vita era ormai una torta perfettamente rotonda, ricoperta di panna montata, sulla quale mancava soltanto la ciliegina; così, mentre andava al lavoro in una magnifica mattina di sole, infilò ai centotrenta il guard-rail del ponte che traversava ogni giorno da vent’anni, e l'utilitaria blu fece uno splendido, interminabile volo, fino ad esplodere in mille frammenti di luce sulle rocce là in fondo.

 
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ucciso il 5 settembre 2010


Uccidendo Vassallo, la mafia non ha voluto solo difendere le attività legate al narcotraffico e all'edilizia. Ha ucciso un profeta. Un eletto dal popolo che affrontava con intensità e coraggio le disfunzioni più evidenti ella società contemporanea.

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