Siamo soli

Dicono che sia il male del ventesimo secolo (e anche del ventunesimo direi). Ma cos’è la solitudine? Se fosse solo uno stato fisico darebbe una parziale spiegazione al perché molti passino direttamente dalla famiglia con mamma e papà al matrimonio. Ma è un illusione.

Il film di Aldo Giovanni e Giacomo “Ti presento Claudia” ne dava perfettamente l’idea. Marito e moglie che non hanno più niente da dirsi. Incomprensioni, dormire necessariamente con una persona che non vorresti fosse in quel momento lì, essere costretti a condividere i pasti, la gestione della casa, sentirsi prigionieri senza avere il coraggio di prendere una decisione per uscirne. Ci si può sentire molto più soli in quel momento, di tante solitudini effettive.

Io la solitudine “vera” l’ho provata molti anni fa quando reduce dall’ennesima storia finita, avevo scelto finalmente di andare a vivere da solo e di tagliare i ponti anche con gli amici che avevo in quanto comuni alla mia ex.
Fu durissima, non lo nascondo. Ma è come quando per combattere un virus si da un vaccino che altro non è che una piccola quantità di virus. Non c’è niente di meglio per esorcizzare una paura di provarla…un po’ come entrare nell’acqua gelata a poco a poco.
E in quel frangente ho capito che neanche quella era la vera solitudine. Perché si è soli nel momento in cui non si è nei pensieri di nessuno.

Penso a mio padre che ha l’alzeimer e vive momenti di vera solitudine. Momenti in cui non riconosce le persone intorno a sé e quelle che ricorda sono inesorabilmente scomparse in quanto il suo ricordo si è fermato come in una fotografia a persone dalla faccia ancora giovane.
Penso ad anziani abbandonati negli ospizi perché non hanno neanche un caro rimasto in vita e i loro rapporti sono legati ai sorrisi delle infermiere.
Penso ai carcerati che rinchiusi in venti metri quadri di gabbia hanno perso la speranza nel proprio futuro.
Penso ad innamorati disperati che pensano che la loro vita non abbia senso senza l’oggetto del proprio amore.

L’altro giorno sul giornale mi ha colpito la notizia di quel giovane che si suicidato a pochi metri dall’abitazione della sua ex fidanzata che aveva visto in discoteca in compagnia di un altro. Sono cose inconcepibili che uno possa legare la propria felicità e la propria possibilità di vita ad un altro, ma allo stesso tempo gli abissi del sentirsi “solo” sono insondabili.
In realtà bisognerebbe imparare a stare da soli. A non legare la sensazione della solitudine al fatto di essere più o meno in compagnia.

Oggi sono “solo” ma so per certo che almeno tre persone mi stanno pensando…e probabilmente mi sbaglio per difetto. E aldilà di questo mi sto godendo mio papà che mi guarda rapito (chissà cosa penserà) mentre batto alla tastiera e probabilmente dopo porterò i miei genitori a fare una passeggiata sulla mia macchina sportiva (prima era peggio, perché avevo una cabrio ed era buffissimo far mettere la bandana a mia mamma).
Sicuramente avrei potuto scegliere di stare in compagnia ma passare il tempo tanto per stare in compagnia senza avere degli scambi interiori ormai non mi da più niente. Uscire con dei conoscenti a prendere una birra parlando di problemi di lavoro, piuttosto che di Fiorentina non mi avrebbe fatto sentire meglio di come sto adesso.

La solitudine è una brutta bestia che ti prende allo stomaco quando meno te lo aspetti. Ma ormai so che non è così brutta come può sembrare e che non baratterò uno stato dell’anima con uno stato fisico.
Per cui auguro a tutte le persone che in questo giorno di festa si sentono soli di trovare pace, che utilizzino questo giorno per guardare in loro stessi e rendersi conto che sono così ricchi e così belli da poter dare ancora tanto agli altri…e che se non si chiuderanno dentro la loro tristezza si renderanno conto che è solo uno stato passeggero e che in questo momento sono meno sole di quel che pensano…perché avranno almeno una persona che sta pensando a loro.