Creato da ladestracalolzio il 16/08/2008

LA DESTRA CALOLZIO

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La stella di Briatore...parte 2a.

«La Formula Uno non è uno sport. È soltanto un business» ripete uno che se ne intende (allora perché Piquet jr. ha affermato, come ho sentito in un servizio televisivo, che non capisce nulla di macchine e motori ma, detto con un eufemismo, è solo un intrallazzone,). Ha vinto due campionati del mondo di Formula 1. Flavio Briatore, uomo dalla vita spericolata, oggi vive tra i neopaparazzi che lo ritraggono con la moglie, o per lo scandalo dell'anno della Formula 1, tra i cronisti-invitati che raccontano le notti al Billionaire, tra i nuovi nani e ballerine di regime che ne condividono le gesta. Ma per arrivare alla Costa Smeralda, allo yacht con i quadri d’autore, a Naomi e alle altre, ce n’è voluta di fatica. Una vita intensa, da Formula Uno. Difficile da raccontare.
   Sono due le storie di Flavio Briatore. Una è la favola di un giovane brillante e ambizioso che compie un salto dal bollito misto, alla nouvelle cousine; che parte dalla campagna piemontese, dalla Provincia Granda, fa mille mestieri, dall’assicuratore al maestro di sci, fino ad approdare al successo, ai trofei di Formula 1 e, ancor più in alto, alle copertine patinate al fianco di Naomi Campbell e di quelle che l'hanno seguita (e questo sarebbe il più in alto? A parte che qualcuno non esclude intento promozionale dei personaggi in questo modo, come in effetti è stato, visto che la massa ha conosciuto il nostro Briatore come colui che si trombava la irraggiungibile Naomi. Poi s’è capito che probabilmente se la trombavano un po’ tutti. Forse, in ultimo, ma non per ultimo, anche Chavez, il presidente del Venezuela. Chissà! Solo questione di prezzo, non necessariamente in denaro).

L’altra è la storia di affari non sempre limpidi, bische clandestine; polli da spennare al poker o allo chemin-de-fe;, una latitanza in isole esotiche; bombe e autobombe; cattive compagnie, trafficanti d’armi e boss mafiosi.
  
Le due storie hanno in comune il punto di partenza: Verzuolo, vicino a Saluzzo, Cuneo, dove il 12 aprile 1950, nasce Briatore, messo al mondo da due insegnanti elementari che sognano il figlio avvocato. Invece a Flavio basta e avanza il diploma di geometra, ottenuto («con il minimo dei voti», dice di sé) all’istituto Fassino di Busca, con tesina dal titolo «Progetto di costruzione di una stalla».

A Cuneo lo ricordano giovanotto, già smanioso di fare strada. Frequenta il Country club, allora luogo d’incontro della Cuneo bene. È un po’ playboy, un po’ gigolò. Ma il nomignolo che gli sibilano alle spalle, quando passa sotto i portici di corso Nizza, è «Tribüla»: si dice di uno che fa fatica, che si arrabatta. Ma il «Tribüla» ha fretta di arrivare. Diventa così l’assistente, il factotum, il faccendiere di un finanziere locale, Attilio Dutto, che tempo prima aveva rilevato la Paramatti vernici (ex azienda di Michele Sindona, sì proprio quel Sindona…che è un tutto dire. E qui invito caldamente il lettore ad informarsi dettagliatamente su questo personaggio, così forse capirà alcuni fatti e misteri dell’Italia del dopoguerra).

Ma alle 8 di un mattino fine anni Settanta, Dutto salta in aria insieme alla sua auto: gran finale libanese per un piccolo uomo d’affari cuneese. La verità su quel botto del 1979 non si è mai saputa; in compenso sono fiorite leggende di provincia, secondo cui a far saltare in aria il finanziere era stato il clan dei Marsigliesi (fatto passare per un’attentato delle BR)... Di certo c’è che il «Tribüla», dopo quel botto, sparisce da Cuneo, per ricomparire a Milano. Casa in piazza Tricolore (che non si trova proprio in un quartiere popolare…), molta ricchezza esibita, cattivo gusto profuso a piene mani. Occupazione incerta (ma come? È uno che lascia le sue attività in quel di Cuneo al tracollo, pieno di debit e, ormai trentenne, senza arte né parte, arriva a Milano a sperperare soldi …ma chi glieli da? Da dove arrivano?Mah!!! Io arrivai a Milano verso la metà anni ’80, venticinquenne, con una borsa dei parà contenente pochi effetti personali, pochissimi soldi, con una occupazione incerta, cercando di sbarcare il lunario, dormivo sulle panchine per riposarmi e, nella migliore delle ipotesi, mi ospitava qualche collega, conosciuto in città, tanto per la notte se non potevo tornarmene al paesello. Tutta gente onesta. Brava gente davvero, che capivano il disagio. E’chiaro che qualche filibustiere l’ho poi conosciuto anch’io, ma… sempre alla larga! Non nego: comunque rimangono i migliori anni della mia vita).

Briatore frequenta agenti di cambio e remisiers, bazzica la Borsa, si dà arie da finanziere (probabilmente grazie a queste conoscenze riesce ad introdursi alla Borsa, quando ancora il mercato era “alle grida”, perché oggi non avrebbe più senso col mercato “telematico”. Molti anni dopo cercherò di fare la stessa cosa ma non andrà così. Forse a lui, Briatore, interessava adescare gente facoltosa da introdurre nelle bische. Una cosa del tipo “dal gioco di Borsa a quello d’azzardo”. Deve aver pensato che chi amava l’uno dovesse amare anche l’altro. In definitiva sempre azzardo è). Riesce a convincere il conte Achille Caproni (erede della famiglia che aveva fondato la Caproni Aeroplani) a rilevare la Paramatti. Diventa consulente della Cgi, Compagnia generale industriale, la holding dei conti Caproni. Risultati disastrosi: la Paramatti naufraga nel crac; la Cgi viene spolpata, il pacchetto azionario venduto all’Efim (cioè allo Stato), le società del grupposubiscono fallimenti a catena, gli operai sono messi in cassa integrazione, banche e creditori sono lasciati con un buco di 14 miliardi.
   Per un certo periodo, però, Briatore si presenta in pubblico come discografico, gira per feste e salotti con Iva Zanicchi al seguito (è l’unica della sua scuderia che si ricorda. In una delle ultime interviste che ho visto non si ricordava, o quasi, di essere stato un discografico, che forse fa pensare ad una probabile copertura che lo riguarda e alle situazioni contingenti riguardo alla nostra Iva nazionale, che arriverà a ricoprire la carica di europarlamentare, naturalmente non  eletto, ma designato come sostituto, poi in pianta stabile).

Il «Tribüla» continua faticosamente a inseguire il grande colpo, a sognare il grande affare. Intanto però trova una compagnia da Amici miei con cui tira scherzi birboni ai polli di turno. C’è un finto marchese, Cesare Azzaro, che si ritiene il miglior giocatore di carte del mondo. C’è un conte vero, Achille Caproni di Taliedo, rampollo della famiglia che ha fatto volare gli aerei italiani ( ma lui un po’ fessacchiotto, che s’è fatto impegolare nel buco da 14 miliardi di cui sopra, da un parvenu di Saluzzo). C’è un avvocato dal nome altisonante. Adelio Ponce de Leon. e uomini dello spettacolo e della tv: Pupo (al secolo Enzo Ghinazzi), Loredana Berté, Emilio Fede, al tempo - erano i primi anni Ottanta - al vertice della sua carriera in Rai, vicedirettore del Tg1 e conduttore del programma Test. L’ambiente è una sorta di laboratorio dell’«edonismo reaganiano»: soldi, affari, gioco, belle donne. Luoghi d’incontro, case e bische clandestine a Milano e Bergamo, le ville del conte Caproni a Vizzola Ticino e a Venegono, hotel e casinò in Jugoslavia e in Kenya. Come si dice "Dalle stalle alla stella".

Le feste del contino Attilio, spalleggiato dal brillante Briatore, fanno rivivere alla villa di Vizzolo i fasti degli anni Trenta, quando sulle rive del Ticino arrivava il Duce per pranzare con l’amico Giovanni, l’inventore della Aeroplani Caproni. Nella versione anni Ottanta, invece, le feste, le battute di caccia, i safari in Africa sono occasioni per proporre affari, business che restano però sempre progetti: di concreto c’è sempre e solo un mazzo di carte che spunta all’improvviso su un tavolo verde.
  Cadono nella rete l’imprenditore Teofilo Sanson, quello dei gelati (su quel tappeto verde lascia 20 milioni), il cantante Pupo (60 milioni), l’armatore Sergio Leone (158 milioni in due serate all’Hotel Intercontinental di Zagabria), l’ex vicepresidente della Confindustria Renato Buoncristiani (495 milioni), l’ex presidente della Confagricoltura Giandomenico Serra (1 miliardo tondo tondo, in buona parte in assegni intestati a Emilio Fede). E tanti, tanti altri... A posteriori, il «Tribüla» la racconta così: «Mi piacevano scala quaranta, scopa, poker, chemin... No, il black jack non l’ho mai capito, la roulette non mi ha mai preso. Tra noi c’erano anche bari, io non c’entravo nulla, però, e lo ha scritto anche Emilio Fede nel suo libro. Dall’83 non gioco più, qualche colpo a ramino, stop». (Parecchi anni fa ho avuto modo di sentire casualmente, ero “imbucato” ad una cena, uno di questi probabili bari, forse un pochino avvinazzato ma, a giudicare dall’aspetto, di sicuro più sprovveduto del “nostro”, in un ristorante della Brianza o nel milanese, non ricordo più, che menava vanto del suo passato  da baro professionista, nel corso del quale aveva anche rischiato la pelle per aver fatto fesso, ovviamente senza saperlo, il boss che, gestiva tutto il giro, un tale che doveva appartenere al clan di Joe Adonis, ormai defunto. Probabilmente erano tutte fandonie, ma invito ancora il lettore a ricercare informazioni su questo Adonis, espulso dagli USA e stanziatosi qui a Milano verso la fine degli anni ’50, evidentemente con uno scopo ben preciso. Nulla di chiaro, ma di sicuro, roba grossa. Infatti…).

In verità la storia era più complessa: un gruppo di malavitosi di rango, eredi del boss “faccia d’angelo” Turatello, dedito al traffico di droga e al riciclaggio, aveva pianificato (e realizzato per anni) una truffa alla grande, con carte truccate e tutti gli optional del caso; e i polli da spennare, chiamati gentilmente «clienti», erano individuati con un’azione scientifica di studio e di ricerca, dopo aver «comprato» informazioni da impiegati compiacenti dentro le banche e dopo aver compilato accurate schede informative (complete di disponibilità finanziarie, interessi, relazioni, gusti: meglio agganciarli proponendo una battuta di caccia o portando un paio di ragazze molto disponibili? Destò scalpore il caso di una di queste probabili adescatrici, giocatrici, beccata in un'altra retata, non si è mai capito bene con che ruolo, nota alla fine degli anni ’70 come cantante, soubrette della televisione, ma soprattutto per essere stata per un certo periodo la donna di Gianni Rivera il grande calciatore del Milan).

Briatore, a capo di quello che i giudici chiamano «il gruppo di Milano», nel business aveva il delicato compito di «agganciare» i «clienti» di fascia alta, ingolosirli con qualche buon affare, farli sentire a loro agio con una adeguata vita notturna, peer poi spennarli. Il gioco s’interrompe con una retata, una serie d’arresti, un’inchiesta giudiziaria e un paio di processi. Fede è assolto per insufficienza di prove, Briatore è condannato in primo grado a 1 anno e 6 mesi a Bergamo, a 3 anni a Milano. Ma non si fa un solo giorno di carcere, perché scappa per tempo a Saint Thomas, nelle isole Vergini, e poi una bella amnistia cancella ogni peccato. Cancella anche dalla memoria un numero di telefono di New York (212-833337) segnato nell’agenda di Briatore accanto al nome «Genovese» e riportato negli atti giudiziari del processo alle bische: «È un numero intestato alla ditta G&G Concrete Corporation di John Gambino, con sede in 920, 72 Street, Brooklyn, New York. Tanto il Gambino quanto il Genovese (Joe Adonis apparteneva a questa famiglia) sono schedati dagli uffici di polizia americana quali esponenti di rilievo nell’organizzazione mafiosa Cosa Nostra» (e quelli il numero di telefono non lo lasciano all’ultimo arrivato o al “soldato” di turno. Significa un contatto diretto con gente di rango, se non proprio con il boss). continua...con l'ultima parte.

 Commenti dell'autore, per l'art. si ringrazia societacivile.it

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Un politico pensa alle prossime elezioni; un uomo di Stato alle prossime generazioni.
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Che grande uomo politico sarebbe stato Giuda!
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La politica è una faccenda troppo seria per essere lasciata ai politici.
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Desidero condividere con te una geniale intuizione che ho avuto, durante la mia missione qui. Mi è capitato mentre cercavo di classificare la vostra specie. Improvvisamente ho capito che voi non siete dei veri mammiferi: tutti i mammiferi di questo pianeta d'istinto sviluppano un naturale equilibrio con l'ambiente circostante, cosa che voi umani non fate. Vi insediate in una zona e vi moltiplicate, vi moltiplicate finché ogni risorsa naturale non si esaurisce. E l'unico modo in cui sapete sopravvivere è quello di spostarvi in un'altra zona ricca. C'è un altro organismo su questo pianeta che adotta lo stesso comportamento, e sai qual è? Il virus. Gli esseri umani sono un'infezione estesa, un cancro per questo pianeta: siete una piaga. E noi siamo la cura (dal film MATRIX).

E' tempo di sapere quale futuro vogliamo per il nostro pianeta, per noi, stessi e per le generazioni che ci seguiranno.

E' giunto il tempo per i cittadini di smettere di fidarsi ciecamente al modo con cui i politici gestiscono il mondo, servendo esclusivamente interessi personali.

Per ridare un senso alla democrazia, i cittadini devono smettere di essere passivi e spettatori, come il docile gregge che si vorrebbe che siano. Devono riflettere a ciò che vogliono veramente ed assumere in modo coerente il ruolo di stipendiato, consumatore, contribuente, elettore, dimostrando di non essere più pecora delle pecore.

Le direzioni prese dall'economia, la società, la tecnologia e l'ambiente non sono inevitabili

 
 
 

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