Creato da LaDonnaCamel il 16/09/2006
Il diario intimo della Donna Camèl con l'accento sulla èl
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"Mille e ancora mille."
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Non avevo mai sentito nominare la nutria fino a marzo 2008, circa ma non tanto, posso dirlo perché ho un archivio efficiente. E insomma, in quelle giornate lontane, sul blog di un amico di blog comparve un racconto strano, che devo dire mi turbò abbastanza, facendomi pensare alla nutria come a un animale leggendario e, supponevo, estinto o in via di estinzione, come a un grifone, un protocinghiale, un qualche predatore preistorico crudele, pericoloso e per di più antropofago. La foto a corredo confermò l'inquietudine verso la bestia orrenda.
Confesso che tutto il mio interesse è rimasto latente negli anni ed è stato risvegliato da quell'incontro casuale sulla martesana che ha rinvigorito il ricordo, eccitato la curiosità e solleticato il desiderio di smentire quella vecchia inquietudine, in fondo per quanto mi racconti cinica sono sempre un po' buonista e non volevo credere che fosse proprio così cattiva, dal vivo ha un musetto così carino...
Nonostante il tempo passato - e nutria a parte - quel racconto mi mette ancora i brividi. Eccolo qui senza il permesso dell'Autore, speriamo che non mi faccia causa :D
Nutria
Per ripararsi dalle correnti dell'arte contemporanea e più in generale dalla noia, duns s'era ritirato nella campagna dietro Urgnano.
S'infrattava tra i campi coltivati a colza e le distese d'erba gatta, nascosto in una nicchia ricavata sotto una passerella in ferro, ai margini d'un canale irriguo. Si nutriva di radici e passava il tempo cercando d'addomesticare una nutria messa alla catena. Quando la nutria dormiva, duns la tastava sul collo. Al tatto, il pelo scuro gli ricordava il pube di sua moglie, una brava donna di provincia che amava la tv di prima serata e le lasagne domenicali.
Ogni tanto duns usciva dal rifugio, nelle giornate in cui il sole si velava e gli alberi prendevano l'aria di spettri. Guardava verso la civiltà, senza rimpiangerla. Ricordava gli edifici dietro casa, la lunga fila di scatole in cui la gente viveva, i garage come loculi addossati gli uni agli altri.
Nei giorni di festa s'incamminava verso la zona industriale, godendo del vago aspetto cimiteriale che assumevano i capannoni abbandonati dagli uomini. Seduto al marciapiede osservava le case lontane e immaginava la gente stesa sui divani. Alcuni, duns lo sapeva, si spingevano per le strade sino all'oratorio. Consultava la bussola, mezza plastica d'uovo kinder e un sughero a cui aveva attaccato un ago ormai smagnetizzato; si diceva, Avanti Simba, e tornava al rifugio. La nutria lo aspettava con occhi d'odio.
In un pomeriggio di febbraio di luce incerta duns incontrò alela. Sedeva al muretto che cintava il capannone d'un elettrauto e suonava alla chitarra una vecchia canzone di Dylan. Cantava la morte. Nessuna discussione, la morte non è la fine. La luce le picchiava sul viso riflettendo un pallore di cadavere. Duns si avvicinò e restò a ascoltarla sino alla fine. La donna aveva i capelli sporchi, era magra quasi sino alla consunzione. Non ci fu bisogno di parole. Duns si incamminò verso il rifugio e alela lo seguì.
Una volta lì, duns guardò il cielo e disse è quasi ora di sedersi a tavola. Tolse dalla nicchia una vecchia cassetta in legno e la accomodò tra loro. Mangiarono radici e erba gatta, bevvero l'acqua del canale. Restarono a lungo a guardarsi senza dire parole. Alela suonò un altro po' la chitarra.
Passarono giorni. Camminavano tra i campi tenendosi per mano. Duns non parlava ma provava pienezza di spirito.
Una sera alela gli strinse la mano e gli chiese, che musica ti piace? Duns credette d'aver sentito male. Le disse, prego? Lei ripetè la domanda. Non rispose. Alela allora recitò per intero una poesia. Duns fece una smorfia. Alela disse, stare con te mi dà una gioia intensa. Duns si fermò. Come ho potuto sbagliare così, pensò.
La notte, mentre alela dormiva e sulla statale passavano enormi autoarticolati, duns si alzò. Prese la nutria alla catena e la avvicinò al volto della donna. La nutria fece un buon lavoro.
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