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Messaggi di Febbraio 2019

SEMPRE DI CORSA

Post n°1593 pubblicato il 28 Febbraio 2019 da atapo
 

L' ULTIMO  GIORNO

Abel Grimmer, Il mese di febbraio

 

Ci siamo da capo. Troppi giorni sono passati dal mio ultimo scritto. Per carità, non è una tragedia, non vengo né pagata né punita, se scrivo o non scrivo qui.
E' però una specie di autovalutazione personale: se non scrivo, significa o che è successo qualcosa di MOLTO grave (non è questo il caso, per fortuna), oppure che non trovo il tempo perché sono troppo impegnata.
Finito il dentista, ora si intensificano gli incontri per il teatro. Allo spettacolo IMPORTANTE manca ancora più di un mese, ma si è aggiunto qualcosa d'altro. Stiamo diventando conosciuti, il Comune ci ha inserito nelle manifestazioni per l'8 marzo, che in realtà a Firenze è tutto il mese di marzo dedicato non solo alle donne, ma al rispetto per tutti.
Sarà solo una serie di letture, facili in teoria, ma con qualche canzone in tema e qui viene la complicazione di preparare il coro e, innanzitutto, di trovare altri momenti, oltre agli incontri di prassi, in cui tutti siamo disponibili e liberi da impegni di lavoro e di famiglia, compresi gli attacchi dell'influenza che spesso in questo periodo mette KO qualcuno degli attori.
Gli stonati, come me, che speravano di essere esonerati dalle canzoni, invece nel coro pare si mimetizzino abbastanza, quindi tutti dobbiamo darci da fare.

In casa ci sto pochissimo e, udite udite, per i pasti preparati in fretta sto facendo fuori tutti gli avanzi che avevo congelato in tempi più rilassati e questo in realtà non è un male!
La scrittura creativa autobiografica inoltre mi prende moltissimo: scrivo, ma poi rileggo, aggiusto, sistemo, accorcio… e non sono mai del tutto soddisfatta. Ci sono diverse osservazioni della profe che mi pungolano a lavorare sui miei testi, anche se non sono sempre d'accordo su ciò che mi fa notare, questo non toglie che continui a rifletterci sopra e, spesso, a sentirmi indecisa e poco sicura. Ma tanto, non sarò mai un nobel della letteratura…

Ieri, coi componenti di questo corso, siamo stati tutti insieme a pranzo a casa di una di noi. Ognuno portava qualcosa, la padrona di casa ci ha messo, oltre ad un'ottima minestra di ceci, un'apparecchiatura di lusso, perché, ha detto, voleva finalmente usare tutti i servizi più belli che aveva in casa e che non usava mai.
Da tantissimo tempo non partecipavo a riunioni di questo tipo e  mi sono accorta che la mia timidezza mi era molto ingombrante, come sempre nella mia vita: non sono a mio agio nei gruppi numerosi che conosco superficialmente, parlo poco nelle conversazioni generali, ho sempre l'idea che ciò che dico in realtà non interessi a nessuno, parlo coi vicini a due o a tre, ma di più riesco a stento. Ricordavo che di base sono sempre stata così, avevo un po' superato nell'ambito del lavoro, soprattutto dopo aver avuto incarichi di responsabilità, ma ora mi pare di essere regredita. Certo la scarsa vita sociale che faccio adesso in famiglia col marito orso e sempre pronto a criticare e a criticarmi non mi aiuta a sentirmi spigliata e a “lanciarmi”. Coi colleghi del teatro va un po' meglio, perché ormai la maggior parte di loro li conosco da anni.
Ieri mi sono resa conto di tutto questo e mi è venuta una grande rabbia, mi ha un po' guastato l'incontro che, per altri versi, era proprio piacevole.
Così finisco febbraio, un po' meditativa e un po' a ricordare anche momenti belli che ci sono comunque stati e che magari fisserò qui appena avrò più tempo; spero, come sempre, che il prossimo mese sia migliore...

 
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IL REGALO

Post n°1592 pubblicato il 19 Febbraio 2019 da atapo
 
Tag: cronaca

QUASI  UN  GIOIELLO

 

Boldini

Oltre che partecipare ai mercatini dell'usato e svuotacantine, a me piace anche visitarli, curiosare qua e là alla scoperta di cose particolari, originali, che fanno intuire e fantasticare storie lontane nel tempo.
Alcune settimane fa in uno di questi mercatini ho trovato una vera chicca: un piccolo carnet da ballo, sapete, uno di quei libretti che un tempo durante i balli importanti le dame tenevano per segnarvi sopra i nomi dei cavalieri che si prenotavano un ballo dopo l'altro. E' scritto in francese, datato 11 febbraio 1922, serviva per un “gran ballo” a Parigi, nei saloni del Palais d'Orsay, organizzato dall'orfanotrofio degli impiegati della Banca e della Borsa.
Dunque un ballo di beneficenza… un ballo di lusso, di nobiltà...
Sulla copertina c'è una piccola foto di una donna ben vestita che abbraccia una bambina, sul retro un grazioso disegno di una coppia di ballerini. E' citato il direttore d'orchestra, un certo M. Deliance, specificando che viene dai balli della presidenza.
Poi l'elenco di tutte le danze previste (es: polka, fox-trot, valzer, mazurka…) col titolo del rispettivo brano musicale e accanto lo spazio in cui segnare il nome del cavaliere che si sarebbe prenotato per quel ballo.
Tutto ancora perfetto, solo leggermente ingiallito dal tempo, addirittura c'è una sottile matita legata alle pagine da un cordoncino rosato.
Un oggettino delizioso! MI ha fatto subito pensare alla Belle Epoque, alle donne di Boldini, volendo ancora più indietro nel tempo, al ballo del Gattopardo… Un mondo evocato da quelle poche pagine, tante vite, tante storie!
Mi piaceva, mi piaceva, un vero colpo di fulmine! Ho chiesto il prezzo: non eccessivo.
L'ho fatto vedere a mio marito, che è rimasto più o meno indifferente. Non suscitava in lui nessun pensiero romantico, diceva: -Ma che te ne fai?-
Nulla, non è un oggetto utile ora, è solo un oggetto … da contemplare, da far sognare...chissà chi era la proprietaria, chissà se tra i balli e i cavalieri è stata felice, se ha trovato l'amore...
L'amore! Dopo poco sarebbe stato San Valentino… mio marito ci tiene a questa festa…
Gli ho suggerito: - Se vuoi farmi un bel regalo per San Valentino, considera questo un regalo bellissimo per me…-
Ho toccato il tasto giusto, l'ha comperato.
E ora ce l'ho qui con me, lo sfoglio volentieri ogni tanto, quando ho voglia di sognare un poco, è come un gioiello...

 
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AVVISAGLIE

Post n°1591 pubblicato il 13 Febbraio 2019 da atapo
 
Tag: cronaca

CAMBIO DI STAGIONE

 


 

La merla degli ultimi tre giorni di gennaio ora non ha più freddo, ha cominciato timidamente a cantare e con lei i suoi parenti e compari amici uccelli.
Da qualche giorno il tempo è bello, il sole è brillante anche se abbastanza fresco, qualcosa si muove anche dentro l'anima…
Sul mio leccio dal fogliame fitto pigolano, gorgheggiano, fischiano, fanno versi di tutti i generi e modulazioni… Chi?
Non si vede nulla, solo fremiti tra le foglie, un po' più forti di quando il vento le accarezza. Poi, all'improvviso, tutto un frullo e ne partono due, tre, tanti, tutti insieme e così veloci che non riesco a distinguere di che razza sono: fine del concerto, che mi lascia una sensazione di benessere e un'attesa di primavera.
Fiori ancora non se ne vedono nel giardino, nemmeno le violette che in passato a quest'epoca già c'erano. Però le gemme del pero sono ingrossate…
E a terra girella, con fare indifferente, la coppia di grossi colombi che negli anni scorsi ci onorarono del loro soggiorno: che faranno quest'anno?
Vorrei che questo bel tempo durasse almeno una decina di giorni: il sole mi fa stare meglio, che il benessere si consolidi almeno un poco!

Poi, un po' di pioggia la posso anche concedere, siamo ancora nella “falsa primavera” e vorrei trovare un posto in cui essere felice...

 
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RACCONTO GOLOSO

Post n°1590 pubblicato il 09 Febbraio 2019 da atapo
 
Tag: memoria

E' il momento di un altro raccontino uscito dal corso di "scrittura creativa autobiografica", poichè a Carnevale si mangiano dolci fritti, ecco a voi...


FRITTO MISTO

 


sfrappole bolognesi

- E questa te la ricordi? Cosa ne facciamo?- chiese mio fratello.

Eravamo insieme nell'appartamento in cui aveva abitato nostra madre, in quei giorni difficili dopo la morte di una persona cara, quando devi svuotarne la casa. Aprire cassetti e armadi è come violare un'intimità che non ti appartiene, ma risveglia il passato fino ai ricordi più lontani, sepolti nella mente e mai avresti immaginato che potessero riaffiorare in modo così dolce e straziante nello stesso tempo.

Stavamo nella cucina, tra pentolame ammaccato di alluminio e vecchi servizi di piatti sbrecciati.

Mio fratello teneva in mano un sacco di carta spessa e marrone, quelli usati per il pane: non c'era pane dentro, ma un oggetto piatto e rotondo, dal sacco spuntava un manico sottile, di ferro nero e legno scuro…

La vecchia padella di ferro! Mentre la toglievamo dal suo involucro, non avrei saputo dire se quel lievissimo sentore di fritto esalasse effettivamente dall'oggetto, oppure provenisse dalla mia memoria e dai miei ricordi.

Quando ero piccola, in casa mia si friggeva spesso. Io ero una bambina malaticcia, le tonsille e le adenoidi mi tormentavano e mi facevano ammalare facilmente, tra i febbroni da cavallo e le convalescenze passavo lunghi periodi di inappetenza, ma anche quando stavo bene avevo gusti alimentari difficili.

I miei genitori erano di condizioni economiche umili, la mamma doveva gestire con molta oculatezza il denaro per gli acquisti e il fritto, se fatto bene, può valorizzare e rendere gustose anche le pietanze più misere: su questo aspetto della faccenda la mamma contava molto. E a me, come a tutti i bambini, il fritto piaceva, così risolveva il problema della mia inappetenza.

Friggeva di tutto: polpette, patate a pezzi, zucchine a bastoncino, carciofi, melanzane, cotolette di maiale o di pollo, manciate di pesciolini minuscoli che allora costavano una sciocchezza, io li chiamavo i “pesciolini birichini”. Solo per me, e non molto spesso perché non erano a buon mercato, erano riservate le sogliole fritte: quando mi arrivavano nel piatto era grande festa!

Lo strumento di questo rito della frittura era una padella di ferro non tanto grande, nerissima fin dai miei più lontani ricordi, per cui immagino avesse già una veneranda età al momento della mia nascita… Potrebbe essere stata addirittura un regalo di nozze per i miei genitori, quando si sposarono nel 1941.

Dentro la padella stava lo strutto rappreso: ad ogni frittura veniva sciolto, poi era fatta un'aggiunta di strutto nuovo per compensare quello evaporato e… via! Dopo la frittura si toglievano gli avanzi bruciacchiati, si lasciava raffreddare e solidificare dentro la padella, che veniva riposta in un sacco di carta da pane fino all'uso successivo.

A Bologna si friggeva nello strutto, il blocco biancastro e unto si scioglieva rapidamente nella padella sul fuoco, diventava un liquido trasparente, quando una minuscola goccia d'acqua gettata in esso sfrigolava scoppiettando era il momento di immergere i pezzi da cuocere, poi da controllare, rigirare, infine estrarre al momento giusto e mettere ad asciugare sulla carta assorbente. La mamma era abilissima, nulla si bruciava o si cuoceva troppo.

Per questo non era mai sgradevole l'odore dello strutto mentre fondeva, anzi era anticipatorio delle bontà che avremmo gustato di lì a poco. Quasi un profumo, si mescolava durante la cottura all'odore particolare di ogni alimento, creando fragranze originali e tipiche, e appena entrati in casa, talvolta anche dall'esterno, preannunciavano ciò che ci aspettava nel piatto.

E al momento di mangiare i sapori dei cibi li sentivo come esaltati e un po' trasformati da quello più stuzzicante della pastella o dell'impanatura fritte.

Per me il massimo della gioia e della golosità era quando la mamma preparava certe merende o certi dolci: le crescentine salate dal gusto soffice e morbido, o la crescenta tonda grande come tutta la padella, tipica di Bologna dove si dice alla luna piena una filastrocca in dialetto: “Guerda la louna cum l'è bèla. L'am pèr una carsanta...(Guarda la luna com'è bella, mi pare una crescenta).

Quando aspettavo il mio primo figlio avevo un'unica “voglia”: le crescentine fritte, ma quelle della mia mamma. Allora se passavo da lei ne impastava rapidissimamente, le friggeva, io me ne rimpinzavo all'istante e ne riportavo anche a casa mia. Non era certo un cibo dietetico per una gestante, ma le digerivo benissimo, né le analisi periodiche hanno mai svelato al mio ginecologo questo grave peccato di gola.

La crema fritta invece era riservata ad occasioni particolari, come la Pasqua, un compleanno, la festa religiosa degli Addobbi. Mai una volta i cubetti di crema le si sono sciolti o deformati senza dignità nel liquido bollente, come invece è capitato spesso a me quando da adulta ho provato a farli!

Nei dolciumi fritti lo zucchero a velo, sparso sopra dopo che l'unto in eccesso si è trasferito sulla carta assorbente, diffonde un aroma caratteristico dovuto allo zucchero stesso sciolto al tepore della pasta e questa fragranza ti spinge ad allungare la mano per assaggiare un pezzo ancor prima che sia completamente raffreddato.

Ma il capolavoro del connubio “mamma e padella del fritto” erano le sfrappole (o cenci, o qualsiasi nome abbiano in giro per l'Italia i nastri di pasta fritta e inzuccherata tipici del Carnevale): restavano friabili seppure morbide, chiarissime e delicatissime, non parevano nemmeno cotte e invece lo erano alla perfezione. La mamma intrecciava i nastri di pasta prima di buttarli nello strutto bollente dove si gonfiavano all'istante, l'intreccio diventava quasi un merletto e raramente si rompevano. Poi, messe in bocca, la pasta sottile, ma non troppo croccante, si scioglieva lasciando una dolcezza delicata che suggeriva di prenderne subito un'altra per avere la conferma che non si trattava di un sogno.

Una volta, avrò avuto otto o nove anni, nel mese di gennaio fui invitata insieme ad altri bambini al compleanno di un'amica, di famiglia benestante. Ognuno le avrebbe portato un regalo, ma alla mia mamma non andava di spendere soldi in quel modo, a causa delle nostre ristrettezze economiche. Allora decise di preparare un grande vassoio di sfrappole (era già periodo di Carnevale), cavandosela con un po' di farina, zucchero e due uova: il mio regalo sarebbe stato questo.

- Ma che razza di regalo è? Un regalo è un giocattolo o un libro, mica delle sfrappole!- obiettai io disgustata.

- Vedrai!- chiuse il discorso la mamma, tanto a quell'epoca i bambini non avevano il diritto di discutere né tanto meno di opporsi.

In pochi minuti il regalo era pronto.

Mi ricordo ancora l'enorme vassoio di sfrappole leggerissime e perfette: sembravano tante farfalle dorate e imbiancate dallo zucchero a velo e meravigliosamente profumate.

Fu avvolto con ogni cura nella carta più leggera che si trovò in casa e mi rivedo per strada verso la casa dell'amica tenendo quel pacco enorme fra le braccia come una reliquia preziosa. Mi lasciavo dietro una scia profumatissima e dolce, ma dentro di me ero molto arrabbiata: - Che figura farò con questa roba, non è nemmeno un regalo, mi prenderanno tutti in giro!-

Certo, feci una figura, ma non come pensavo: le sfrappole furono apprezzatissime da tutti, sparirono in un batter d'occhio, ormai mi portavano in trionfo. E la mamma dell'amica chiese alla mia la ricetta.

Forse era proprio lo strutto tanto… vissuto a dare quel sapore così ricco e straordinario ai fritti di casa mia? Nessuno a quel tempo si poneva problemi di colesterolo, gastriti, o tumori.

Quando mio marito, ancora fidanzato, venne a pranzo da me e vide quella padella inorridì e decretò:

- A casa nostra sarà tutto più sano, niente strutto, solo olio e del migliore!-

Ma i fritti della suocera li ha sempre apprezzati ugualmente!

Ora in casa nostra c'è la padella per friggere, in acciaio inox e lavabile in lavastoviglie. E olio al posto dello strutto, da buttare ogni volta. Però io ogni tanto, lo confesso, aggiungo nell'olio qualche cucchiaiata di strutto: è un piccolo rito legato al passato, la ricerca inconscia di un sapore antico d'infanzia.


Mio fratello mi porgeva la vecchia padella nera, stando ben attento a non ungersi con quell'avanzo di strutto rappreso.

- Allora che ne facciamo? La vuoi forse tenere per ricordo?- chiedeva ridacchiando.

I ricordi correvano, saltellavano dentro quell'oggetto come se stessero friggendo ancora… ma non avrei più potuto assaporarli nella realtà.

Quel giorno la padella finì in un sacco nero di rifiuti, insieme al battipanni, ma questa è un'altra storia di un'infanzia antica più di mezzo secolo.

 
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MEMORIA STORICA

Post n°1589 pubblicato il 03 Febbraio 2019 da atapo
 
Tag: memoria

 

COSA CANTAVAMO

 



La Biblioteca Nazionale di Firenze, dove, insieme a quella di Roma, viene conservata una copia di ogni testo scritto e stampato in Italia, ha allestito una interessante mostra sul '68 a Firenze e in Italia tutta, esponendo documenti dai suoi archivi e avuti in prestito da altri. Non solo il '68 politico e delle contestazioni, ma c'è una panoramica completa di quell'anno, dalla moda ai fatti di cronaca, agli oggetti, alle pubblicazioni serie e divulgative. Aggirarsi per quelle sale e soffermarmi davanti a quelle teche e a quegli oggetti, leggere, osservare… per me è stato un tuffo nel passato dei miei 17 anni: ricordo tanto di quel periodo e ancora di più mi è tornato in mente.

La mia gioventù! La mia contestazione! Breve, a dir la verità, i miei genitori riuscirono a “contenermi” non proprio con le buone, feci litigate furiose con loro… e non solo… Però l'aria che respiravo era quella, la mentalità andava cambiando, negli anni successivi entrò nella mia vita ciò che nasceva in quei giorni.

Oltre alla mostra, dove si possono seguire interessanti visite guidate, c'è una serie di conferenze su vari aspetti di quel tempo. Io, con tutti i miei impegni, sono riuscita a perderne molte, ma una non l'ho voluta perdere per tutto l'oro del mondo, questa:

 


 

E' stata una conferenza unita a un mini-concerto sui canti impegnati dell'epoca. Fra i cantanti c'era Chiara Riondino, cantautrice toscana impegnata, che è insegnante e un anno lavorò nella mia scuola: collaborò con me per uno spettacolo che stavo preparando con gli alunni, sulla storia attraverso le canzoni. Lei fu utilissima proprio perché cantava e suonava la chitarra, mi aiutò a far imparare velocemente le canzoni ai bambini, attraverso un piccolo trucco…

Ogni tanto la incontro, in spettacoli e manifestazioni, l'ascolto e la saluto sempre volentieri.

Bellissime le canzoni che hanno cantato: Bob Dylan, Joan Baez, Moustaki, De André, Gaber… e altre che furono famose: “Comandante Che Guevara...” Mi venivano i brividi a risentirle, dopo tanto tempo, tanta storia passata e tanti cambiamenti nel mondo.

La platea era numerosissima, la maggior parte “reduci”, se così ci possiamo definire noi coetanei che eravamo allora giovani, sognatori e, chi più e chi meno, rivoluzionari. L'emozione nella sala si sentiva forte, qualcuno seguiva canticchiando sottovoce, a volte tutti accompagnavamo a voce alta i ritornelli più conosciuti, qualcuno a tratti era rosso in viso dalla commozione. Tutti ripensavamo alla nostra giovinezza, ai nostri contributi a quell'epoca… cosa siamo diventati ora?

La canzone ha sempre forti poteri evocativi.

A casa poi ho ricercato quei canti, ora youtube lo permette con facilità, li ho riascoltati, mi sono commossa ancora.

Non dimenticherò facilmente questo pomeriggio.


 

 
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