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Post n°1680 pubblicato il 12 Maggio 2020 da atapo
 

 

PASSATO e FUTURO

 

F.Guardi, Il caffè Florian

 

Sono passati due mesi, anche un po’ di più. Qualcosa lentamente sta cambiando, ci si avvicina alla normalità o a qualcosa che le assomiglia, o a qualcosa di nuovo che forse definiremo “normalità” solo per sentirci più tranquilli.

Di ciò che è passato molto dimenticherò, anzi lo sto già facendo, perché dei periodi difficili è bene non ricordare troppo, per la sanità mentale, me lo diceva uno psicologo e quando riesco a metterlo in pratica vivo, o sopravvivo, meglio. Dimenticherò i fatti concreti, ma non il disagio, le ansie, le arrabbiature, l’infelicità anche, devo avere il coraggio di chiamarla col suo nome. Riaffioreranno talvolta nel futuro, in altri momenti, dovrò scacciarli a forza per continuare ad andare avanti, come è già accaduto altre volte nella mia vita.

All’inizio avevo cercato di farmi una corazza di buoni propositi nella clausura: impegno a usare il tempo vuoto improvvisamente a disposizione per sistemare, riordinare, concludere, mantenere contatti, crearmi una normalità nuova soddisfacente. Pian piano tutto questo si è sfilacciato: l’incertezza della durata logorava le mie energie, l’ansia delle notizie dal mondo esterno gettava un’ombra cupa sulla calma piatta delle mie giornate che si susseguivano e di cui ormai perdevo il conto: che giorno è oggi? Ma che importanza ha il saperlo, poiché ogni giorno è uguale all’altro?

Di notte sognavo viaggi, spiagge, incontri, occasioni belle piene di sole e di gioia, poi ho smesso di ricordare i sogni, mi svegliavo con la consapevolezza di essere stata felice in storie svanite alla musica della radio sveglia, infine ho smesso anche di sognare, ora mi sveglio sempre più presto, alle prime luci che filtrano dalle persiane.

Le pagine dell’agenda si sono svuotate, all’inizio le riempivo con frasi, appunti e note promemoria, conti di acquisti on line (almeno quelli!), poi non ho più avuto voglia di scrivere nulla, nulla mi sembrava importante o significativo, nulla volevo ricordare. Da poco mi sono imposta di riprendere, dopo una voragine di fogli bianchi.

Ho preparato pizze e crostate, ho fatto il pane in diverse maniere, ho sperimentato nuove ricette, poi non ho avuto più interesse nemmeno per quello, è un’impresa combinare le “voglie” alimentari con le necessità dietetiche, con i gusti del marito, con le disponibilità di ciò che si trova le rare volte in cui si fa la spesa.

Ho letto molto, le storie sono state un rifugio, un’evasione, questo era il loro compito, in certi giorni non mi sarei neppure alzata dal letto e avrei divorato libri da mattina a sera, tanto ne ho da leggere in casa, non mi basterà la vita!

Ho sentito la mancanza dei bimbi, dei loro giochi, delle invenzioni per stare bene insieme almeno una volta a settimana, non mi bastavano qualche foto e qualche video, che mi hanno fatto salire le lacrime agli occhi.

Il teatro, le prove, i personaggi, i colleghi attori mi sembravano sempre più lontani, anzi, forse appartenevano ad una vita precedente: messi i nuovi copioni nello scaffale insieme a quelli passati, restava in vista soltanto, appeso a una gruccia, il vestito da sera che avrei dovuto accorciare per il prossimo spettacolo, quello col quale mi vedevo bella, che sognavo di portare poi anche in altre occasioni, non solo per qualche serata sul palcoscenico. Lo guardo e penso se davvero è mio, quando e se ci sarà l’occasione per metterlo.

Diventava soffocante reggere, per ventiquattro ore al giorno, le pignolerie, le disquisizioni eterne, le lentezze e le lungaggini esasperanti del marito, i suoi cambiamenti repentini e improvvisi di programmi e di umore, il suo interrompermi e chiedere attenzione come se ciò che faccio io fosse sempre possibile abbandonare, rimandare, accantonare. I suoi problemi di salute non migliorano con la reclusione e l’aumentata sedentarietà, anzi ci hanno messo più in ansia del solito, considerando anche che non era certo il momento più adatto per finire al pronto soccorso…

Mi pare di aver passato questi due mesi senza viverli: non ho fatto niente di particolare, importante, degno di essere ricordato. Non ho aiutato nessuno, non sono né medico né infermiere, sono solo rimasta rintanata in casa, diciamo che ho soltanto impedito al virus di usarmi per diffondersi, il minimo che potessi fare per il mondo.

Poi da un po’ di giorni mi sono sorpresa a pensare che ormai potevo cominciare il conto alla rovescia… ma a che fine? Non so nemmeno definire esattamente cosa vorrei più di tutto “dopo”. Forse vorrei troppo, non approfondisco questo mio desiderio, che sa di aria, incontri e cose belle. Credo che ci sarà da aspettare ancora, per riavere almeno in parte la vita che prima amavo, forse mi dovrò abituare all’idea che difficilmente tornerà uguale, può darsi che il bello andrà ricercato altrove.

Ricomincerò a uscire, ma per ora ho un po’ di timore. Pare che sia una sindrome anche questa: dopo tanto tempo in casa, uscire fa paura. Resisterò in piedi alle code per entrare in negozi e supermercati? Dovrò aspettare il prossimo autobus perché alla mia fermata i posti disponibili saranno già tutti occupati, quindi ancora ferma in piedi?

Riaprirò il guardaroba, ricomincerò a scegliere gli abiti, ormai verso quelli più leggeri e colorati, da bella stagione… non ci sono più abituata, dopo due mesi di magliette e pantaloni da tuta. E i cappelli, ormai di paglia, contro il sole… e le collane! Sono due mesi che non metto più né cappelli né collane, quasi non li ricordo più, riprenderò a scegliere tutto questo, ma per adesso non mi sento una grande spinta, sono come timorosa, impacciata...

Mi emoziona l’attesa di poter incontrare di nuovo le persone a cui voglio bene, oltre a figli e nipotini: ci guarderemo da sopra le mascherine, non ci dovranno essere né baci né abbracci, ma finalmente non sarà più attraverso uno schermo o un messaggio facebook e simili.

 
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