Sconfinando

In.sacchett.ando

Mia nonna metteva da parte i sacchetti del pane. Quelli marroni. Li piegava, stirandoli accuratamente con le mani. Li usava quando scolava i fritti, in un’epoca in cui lo Scottex casa non era nemmeno un sentito dire. O per raccogliere le bucce di frutta e verdura quando la spazzatura si raccoglieva tutta insieme e poi si buttava nello sportellino sul ballatoio delle scale.
Non ha mai voluto il carrello della spesa, in compenso aveva sempre in borsa delle sportine di rete che sembravano i gonnellini di Eta Beta, capaci di allargarsi a dismisura.
Mia mamma viaggia sempre con due/tre/quattro sportine di tela ripiegate nella borsa. E conserva i sacchetti del pane. Sono bianchi, adesso. Ma lei li piega ancora e li usa per il pane grattugiato, per conservare alcuni cibi in frigorifero e per raccogliere altra carta, da portare poi alla campana quando esce a fare la spesa.
Io viaggio con due/tre scatoloni di cartone ripiegati nel bagagliaio. Quelli del supermercato di destra. E con un paio di sporte di tela plastificate del supermercato di sinistra. Detesto i sacchetti di plastica ma in compenso uso borse da Mary Poppins per raccogliere le suppellettili mie e delle mostre. In Francia mi faccio prendere da smanie vezzose e acquisto sporte di tela fiorate o colorate, di quel che fan sembrare allettanti anche i broccoli. Talmente belle che mi vengono regolarmente rubate quando volto le spalle al carrello.
Ma non demordo.
In Cina si son dati sei mesi di tempo per mettere al bando i sacchetti di plastica. Quelli che al supermercato francese usano per imbustarti la spesa, a meno che tu ti presenti munito delle famose sporte/scatole/buste.
Noi ci penseremo dal 2010.
Forse.