Sconfinando

Per fortuna...

...esistono le sfumature.

Altrimenti
potremmo costruirci
solo una vita
Lego-style:
a blocchi

Dei gesti simbolici

Il cinque aprile scorso, a Termini Imerese, era stato sradicato l'albero dedicato a Peppino Impastato. Ieri, a Tropea, stessa sorte è toccata all'ulivo della legalità dedicato ai giudici Falcone, Borsellino e Scopelliti.
Non c'è da andare troppo a scavare. Certi gesti hanno un valore che va ben oltre il danno effettivo compiuto. Sradicare, qui, equivale a voler togliere la speranza, negando valore a qualsiasi passo fin qui compiuto.

Google Collection

Earth Day 2007
Qui un po' di informazioni sulla giornata.

Di nero e di azzurro [again]

Sono uscita per andare a riprendere Silvia alle prove di danza ed è stato bello. Bandiere, striscioni, dalle macchine, dalle finestre.  Quelli dell'Inter Club pronti per scendere a Milano. In Piazza Duomo si festeggia. Bambini in spalla ai papà, entrambi in maglia nerazzurra. Per quei bambini è la loro vera prima volta.

[Ho sentito per radio lo zio. Mi è piaciuto che abbia pensato a Facchetti, dedicandogli, nel ricordo, questo giorno]
[Leggo che lo ha fatto anche Moratti. Bene, di nuovo]

Un cielo numerica.mente verde

Ora, io non sono abbonata a Sky, nè intendo sottoscrivere l'abbonamento. Nè ora nè in un futuro prossimo venturo. Tuttavia, questa faccenda delnumero a pagamento di Sky, anche per i clienti già abbonati, l'avevo sentita da qualche collega, piuttosto incainito.
Probabilmente, la cosa è risaputa, io non ne ho idea. Però ieri mi sono imbattuta in questa notiziola su un altro blog. E visto che la piattaforma è diversa, la riporto qui. One never knows.
Il numero verde, per Sky, è 800.167.166. Piuttosto che il 199.100.400 da loro indicato nel sito, vale la pena tentare. Fino a quando lo disabiliteranno, naturalmente.

Questione di linea

La premessa è quella dell'altra volta. Facciamo che sono degli imparaticci, come quando uno ci prova, prima di iniziare un ricamo, o un maglione, o solo una coperta. Ovviamente nella mia vita di imparaticci ne ho fatti tanti, di maglioni molto meno. La stessa cosa vale per questo gioco di in_mezzo_alla_segale. Gioco. Null'altro.

Mani nell’acqua, una foglia dietro l’altra, sciacqua veloce. La pentola sul fuoco, la mente persa dietro alcune questioni di lavoro rimaste in sospeso. E di sottofondo la tv, quel solito preserale acceso più per compagnia che per interesse. Con quella domanda finale sulla quale come ogni sera finge di arrovellarsi, giusto prima della sigla del tg. Ultimo risciacquo, poi cassetto, tovaglia, posate, piatti. Quel ritmo normale di tutte le sere. Pubblicità. Il domandone. Un’occhiata distratta al montepremi: troppi zeri per rendersene quasi conto. E come tutte le sere si ferma, la mano sul mento, ascolta. Ascolta e capisce. Prima ancora del punto di domanda finale. Prima ancora che il conduttore domandi. Prima ancora della scritta in sovrimpressione. La so, la so, la so, la so. Lo sguardo fisso. La mano si allunga verso il telefono. La so, la so, la so. Oddio tipregotipregotipregotiprego, fa che sia libero. Tu-tu-tu-tu-tu. La so, la so, la so, la so. Daidaidaidaidai. Tuuuu-tuuuuuuu-tuuuuuuu. Quasi non sente la voce all’altro capo, sommersa dal frastuono del suo cuore, che le arriva fin nelle orecchie. Gentile, la signorina le chiede i suoi dati. Nome, cognome, indirizzo, recapito. Tra poco andrà in onda, stia pronta.
Sorride, ce l’ho fatta, lo sguardo allo schermo, e quella scritta in giallo. Tutti quegli zeri. Quanti. Troppi. Li conta. Li conta di nuovo, mentre una domanda si insinua tra i suoi la so, la so, la so.
E poi?
Già… e poi?
Il pollice si sposta sul pulsante rosso.
Preme. Click.
….
Questa sera la sapevo sai?
Perché non hai telefonato?
Figurati se prendevo la linea…

Già.. figurati.

El culin del latt

Con una madre nata, come diceva sempre mia nonna, all'ombra della Madonnina e un padre calabro-campano, in casa si è sempre parlato prevalentemente in italiano. Con tutte le eccezioni del caso: la nonna che si rivolgeva a mio padre in calabrese stretto, l'altra nonna che infarciva di espressioni meneghine le sue conversazioni, riunioni familiari nel corso delle quali - a seconda della preponderanza dell'uno o dell'altro gruppo familiare - gli adulti scivolavano senza problemi nell'uno o nell'altro dialetto. Inclusi i buffi tentativi di imitazione di uno zio, sempre redarguito da mia nonna che sanciva che nemmeno un sordo lo avrebbe mai scambiato per un milanese.
A scuola, poi, il dialetto era bandito, anche perchè nella nostra zona le percentuali autoctone sono sempre state bassine, grazie anche alle forti presenze originarie di Veneto, Calabria e Puglia.  
Trovo dunque particolarmente interessanti i dati diffusi oggi dall'Istat sull'utilizzo dell'italiano, dei dialetti e delle lingue straniere nelle famiglie italiane. Secondo l'Istituto, [...] le persone che parlano prevalentemente italiano in famiglia rappresentano nel 2006 il 45,5% della popolazione di sei anni e più (25 milioni 51 mila). La quota aumenta nelle relazioni con gli amici (48,9%) e in maniera più consistente nei rapporti con gli estranei (72,8%).[...]
Il che, letto dalla prospettiva opposta, significa che il 54,5% della popolazione in famiglia si esprime prevalentemente in dialetto.
Naturalmente, tutte queste percentuali cambiano - e sensibilmente - in ragione della zona geografica, dell'età, del livello di istruzione, con tutta una serie di variabili e di indicatori che sono ben illustrati nel documento.
Devo dire che, pur non parlandolo e non avendolo mai parlato di fatto, del dialetto apprezzo certe ricchezze espressive difficilmente riproducibili poi in italiano.
Quando mio padre, con tono scherzoso, dà a mia madre della regiura, (cosa per la quale lei, di carattere mite e mansueto in genere si adombra un po'), le riconosce un ruolo che un semplice padrona di casa non rende. Così come quel l'è mej piutost che ogni tanto gira anche tra amici, ha una valenza completamente diversa rispetto all'uovo oggi del proverbio italiano.
E se il tacabutun ha - riconosco - piena dignità anche in italiano, quel te set propri come el culin del latt resta per me del tutto intraducibile se non con un giro di parole che fa perdere tutta la ricchezza immaginifica dell'espressione dialettale.

[nota a margine: il calabrese lo capisco molto meno. Soprattutto non so scriverlo. Ecco perchè non mi ci sono azzardata]
[seconda nota a margine: meno divertente, ma un po' più inquietante è la questione relativa alle lingue straniere. Ma devo ancora guardare bene le tabelle]
[la foto è di Marcello Bertinetti]

Musical.mente parl.ando

Mi sono lasciata convincere, oggi, dall'ala sinistra dei miei colleghi per un'uscita a pranzo, invece del solito mordi-e-resta-davanti-al-pc. Intevitabile la discussione sui congressi di Firenze e Roma, Mussi, Angius, la democraticristianizzazione della sinistra, l'assenza di volontà, oltre che di capacità, di volare un po' più in alto. Credo nulla di diverso da quanto si possa ascoltare in un qualsiasi altro luogo.
Poi, sarà stata anche l'ora, l'inevitabile facezia. "Ma ci pensate che la colonna sonora l'ha preparata Luca Sofri'". Certo che "Over the Rainbow" sarà anche evocativa, ma ha anche ragione Alessandro Sala sul Corriere della Sera a domandarsi chi tra Fassino, Prodi, Rutelli, D'Alema va a interpretare l'Uomo di Latta, chi lo spaventapasseri e chi il Leone timoroso?

Delle piacevoli abitudini [f.utilissimo]

Lo sciopero di una settimana dei giornalisti di Repubblica, lo ammetto, mi priva della mia home page di default. L'ho sostituita, temporaneamente, con quella del Corriere, che consulto sì normalmente (così come tutta una lista lunghissima di altri siti necessari per il mio lavoro) ma che rientra meno nelle mie corde, vuoi per l'impostazione grafica, vuoi per l'articolazione stessa delle notizie, vuoi ancora per la navigabilità. E nonostante siano passati ormai cinque giorni, ancora non ci ho fatto l'abitudine. E' un po' come cambiare il caffè del mattino. Senza averlo scelto, per altro. Lo si beve, ma la giornata ingrana in un altro modo.

[con questo, non tolgo nulla alle sacrosante ragioni dello sciopero]

Muccheggi.ando per le vie della città

Finora ne ho viste 6, in Corso Como. Ma in giro ce n'è un centinaio. E uno dei prossimi giorni di festa, con Elena, armate di macchine fotografiche e scarpe da tennis, faremo un giro esplorativo. Loro, le mucche della Cow Parade arrivata a Milano nel suo tour mondiale, credo ci aspetteranno. Tutto sta a scoprire dove sono state piazzate.
Nei nostri album fotografici c'è una discreta collezione di leoni di Monaco, credo che le mucche non sfigureranno: in fondo cambia l'animale ma non la forma espressiva.
Ammetto però che mi ha fatto un po' effetto la mucca pinkettosa di Baci & Abbracci, sarà che di veline e calciatori "non se ne pole più". Ma temo sarà ancora peggiore l'impatto con la Wow Cow sponsorizzata da Microsoft. Va bene le buone cause, ma perchè dev'esserci sempre un ritorno di immagine?

[La sequenza di foto l'ho trovata sul blog di Marco Mazzei - Panorama. Farò ammenda quando avrò le mie]