Aggiornamento sui Vaccini anti-COVID & Malattie reumatiche autoimmuni

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Pazienti sieropositivi e sieronegativi a SARS-CoV-2 con malattie reumatiche autoimmuni: Immunogenicità e sicurezza di due dosi del vaccino CoronaVac 

È stato esaminato il pattern di immunogenicità indotto dal vaccino inattivato contro SARS-CoV-2 CoronaVac ( Sinovac ) nei pazienti sieropositivi a SARS-CoV-2 con malattie reumatiche autoimmuni rispetto a controlli sieropositivi, pazienti sieronegativi con malattie reumatiche autoimmuni e controlli sieronegativi.
CoronavRheum è uno studio di fase 4, in corso, prospettico e controllato, in cui i pazienti di età pari o superiore a 18 anni con malattie reumatiche autoimmuni e controlli sani sono stati reclutati da un unico sito ( Rheumatology Division of Hospital das Clínicas, Faculdade de Medicina da Universidade de São Paulo ) a San Paolo, Brasile.
I partecipanti sono stati vaccinati con due dosi di CoronaVac ( iniezione intramuscolare, 3 microg in 0.5 ml di SARS-CoV-2 inattivato con beta-Propiolattone ) il giorno 0 e il giorno 28.
I campioni di sangue sono stati prelevati prima della vaccinazione il giorno 0, il giorno 28 e il giorno 69.
Per l’analisi di sottogruppo, i partecipanti sono stati definiti, prevaccinazione, sieropositivi o sieronegativi per SARS-CoV-2 tramite IgG anti-SARS-CoV-2 spike S1 o S2 ( cutoff di 15.0 unità arbitrarie [ AU ] per ml ) o titoli anticorpali neutralizzanti ( cutoff superiore o uguale al 30% ), e sono stati abbinati per età e sesso, tramite campionamento di convenienza ( pazienti sieropositivi a pazienti sieronegativi, controlli sieropositivi a controlli sieronegativi ).
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Aggiornamento in Virologia: Reazioni avverse di Sotrovimab

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Anticorpi monoclonali anti-SARS-CoV-2: reazioni avverse di Sotrovimab

Sotrovimab ( Xevudy ) è un anticorpo monoclonale IgG1 che si lega ad un epitopo altamente conservato della proteina spike nel sito di legame del recettore del SARS-CoV-2, e trova indicazione nel trattamento di adulti e di adolescenti, affetti da COVID, che non necessitano di ossigenoterapia supplementare.
Le reazioni avverse più comuni osservate dopo somministrazione di Sotrovimab sono state le reazioni di ipersensibilità ( 2% ) e le reazioni correlate all’infusione ( 1% ).
La reazione avversa più grave è stata l’anafilassi ( 0.05% ).
Le reazioni avverse sono state suddivise in base alla classificazione per sistemi e organi e alla frequenza. Le frequenze sono definite nel seguente modo: molto comune ( maggiore o uguale a 1/10 ); comune ( maggiore o uguale a 1/100, minore di 1/10 ); non-comune ( maggiore o uguale a 1/1.000, minore di 1/100 ); raro ( maggiore o uguale a 1/10.000, minore di 1/1.000 ); molto raro ( minore di 1/10.000 ).
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Aggiornamento in Infettivologia: Effetti del Long COVID

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Long COVID & Effetti del virus SARS-CoV-2 sul nervo vago

Da una ricerca è emerso che diversi sintomi del long-COVID potrebbero essere collegati agli effetti del coronavirus sul nervo vago.
Il nervo vago parte dal midollo allungato e si porta, attraverso il foro giugulare, verso il basso nel torace e nell’addome. Svolge un ruolo in diverse funzioni dell’organismo che controllano la frequenza cardiaca, la parola, il riflesso del vomito, la sudorazione e la digestione.
Dallo studio è emerso che le persone con long-COVID potrebbero andare incontro a problemi a lungo termine a livello di voce, difficoltà a deglutire, vertigini, battito cardiaco elevato, pressione sanguigna bassa e diarrea. CONTINUA SU INFETTIVOLOGIA.NET 

 

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Vaccino e miocardite: chi sono i soggetti a rischio ?

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La miocardite può essere una rara reazione avversa al vaccino anti-COVID nei giovani

I dati hanno mostrato che il decorso clinico tende a essere più benigno di quanto accade con le miocarditi causate dalle infezioni virali.

Stando alla ricerca pubblicata su JAMA ( Journal of the American Medical Association ), la maggior parte delle miocarditi post-vaccino è risolvibile con l’uso di comuni antinfiammatori.

I ricercatori del CDC ( Centers for Disease Control and Prevention ) e della FDA ( Food and Drug Administration ) degli Stati Uniti hanno preso in esame le segnalazioni di reazioni avverse su oltre 350 milioni di dosi di vaccino somministrate a 192 milioni di statunitensi. Di 1.991 miocarditi, il 73% ha coinvolto soggetti di età inferiore a 30 anni ( 33% under-18 ). Nell’82% dei casi a essere colpiti sono stati i maschi.

Nelle fasce di età maggiormente interessate, i tassi di miocarditi sono stati: 70.73 casi per milione tra i 12-15enni; 105.86 per milione tra i 16-17enni; 52.42 e 56.31 ( rispettivamente per il vaccino Pfizer-BioNTech e quello Moderna ) per milione tra i 18 e i 24 anni.

E ancora, nell’82% dei casi il disturbo è insorto dopo la seconda dose nel giro di qualche giorno.

I sintomi erano prevalentemente dolori al petto e respiro corto.

Le persone affette da miocardite sono state curate nell’87% dei casi con comuni farmaci antinfiammatori non-steroidi ( FANS ), nel 12% con immunoglobuline e steroidi per via endovenosa. Mentre in rarissimi casi sono stati impiegati trattamenti più intensivi per sostenere il cuore ( 12 casi ) o l’intubazione o la ventilazione meccanica ( 2 casi ).

https://www.liberoquotidiano.it/news/scienze-tech/30237122/vaccino-miocardite-studio-quali-sono-soggetti-rischio.html

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Morto per arresto cardiaco il padre di Camilla Canepa: la 18enne deceduta dopo vaccino anti-COVID di AstraZeneca

Ragazza morta dopo AstraZeneca

E’ morto, stroncato da un malore improvviso Roberto Canepa, padre di Camilla la 18enne morta il 6 giugno del 2021 dopo la somministrazione di una dose del vaccino anti-COVID di Astrazeneca.

L’uomo, 53 anni, si è sentito male nel tardo pomeriggio di venerdì a Zoagli, nel Genovese, dove stava passeggiando con alcuni amici. Il malore, pare un attacco cardiaco, è stato fulmineo: Canepa si è accasciato e nonostante i soccorsi immediati è morto.

E’ l’ennesimo lutto ravvicinato che subisce la famiglia Canepa. Un mese dopo la morte di Camilla, deceduta per emorragia cerebrale, era morto il nonno della ragazza, Carlo Canepa, che era rimasto assai provato dalla scomparsa della nipote. Roberto Canepa lascia la moglie e Beatrice la sorella maggiore di Camilla.

Fonte: Corriere della Sera

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Primo semestre 2021

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Variante Omicron, l’Agenzia regolatoria degli Stati Uniti ha limitato l’uso di 2 mix di anticorpi monoclonali per la scarsa efficacia

L’Agenzia regolatoria degli Stati Uniti, FDA ( Food and Drug Administration ) ha deciso di limitare l’uso di due mix di anticorpi monoclonali anti-COVID perché i dati hanno mostrato che è altamente improbabile che questi trattamenti siano attivi contro la variante Omicron di Sars-CoV-2.

Alla luce delle informazioni e dei dati più recenti disponibili, la FDA ha rivisto le autorizzazioni per Bamlanivimab ed Etesevimab ( somministrati in contemporanea ) e per Regen-Cov ( Casirivimab e Imdevimab ).

In futuro se dovessero aversi contagi con una variante suscettibile a questi trattamenti, il loro uso potrebbe essere autorizzato.

Sars-CoV-2, come altri virus, può mutare nel tempo, e come conseguenza alcuni trattamenti risultano non funzionare contro determinate varianti, come Omicron.

Sulla base dei dati del CDC ( Centers for Disease Control and Prevention ) la presenza della variante Omicron è stata stimata in oltre il 99% dei casi negli Stati Uniti al 15 gennaio 2022.

La sospensione dell’autorizzazione permette ai malati di COVID di non essere esposti a effetti collaterali da agenti terapeutici che non offrono benefici nei confronti della variante Omicron.

La decisione della FDA arriva dopo che anche il Covid-19 Treatment Guidelines Panel dei National Institutes of Health ( NIH ), gruppo indipendente di Esperti statunitensi, si era espresso contro l’uso di questi due mix di anticorpi monoclonali per via dell’attività notevolmente ridotta contro la variante Omicron e per il fatto che l’attività di testing in tempo reale per identificare varianti rare non-Omicron non è disponibile di routine.

FONTE: ADNkronos: https://www.adnkronos.com/variante-omicron-fda-limita-uso-2-mix-monoclonali-non-funzionano_4fBD9KjoN6Fvn1V9Ipejf3

Report dell’Istituto Superiore di Sanità sul Covid: solo 1 paziente su 4 è deceduto in Terapia intensiva

 

L’Istituto superiore di sanità ( Iss ), in un report ha fatto sapere che solo il 23.8% dei decessi è avvenuto in terapia intensiva.

L’Iss preferisce parlare di pazienti deceduti positivi all’infezione da coronavirus, e non di pazienti deceduti per il coronavirus.

Gli Esperti che hanno analizzato le cartelle cliniche, il 17.7% dei morti non si trovava in ospedale.

Il rapporto dell’Iss fa riferimento a 138.099 persone morte dall’inizio della pandemia fino al 10 gennaio scorso. Di queste, quasi 33mila ( 23.8% ) sono decedute in terapia intensiva, 80.787 ( 58,5% ) erano ricoverati in altri reparti e 24.443 non era nemmeno in ospedale.

Il COVID è una malattia che quando attacca l’apparato respiratorio può degenerare velocemente. Chi sviluppa una grave polmonite viene ricoverato in Terapia intensiva. Se ciò non avviene, significa che la malattia non è grave.

Il COVID risulta più fatale tra le persone chi hanno diverse patologie.

L’Istituto superiore di sanità ha analizzato un campione rappresentativo di 8.436 cartelle cliniche provenienti dagli ospedali di tutta Italia. Per quanto riguarda le patologie, a chi non è stato ricoverato in Terapia intensiva sono stati riscontrati soprattutto ictus, demenza, tumore, insufficienza renale, fibrillazione artriale e cardiopatia ischemica.

In media avevano quattro patologie preesistenti.

FONTE: Il Tempo: https://www.iltempo.it/attualita/2022/01/27/news/morti-covid-svelati-i-dati-nascosti-solo-1-decesso-su-4-in-terapia-intensiva-iss-patologie-30245166/

Israele: COVID in ripresa dopo 2 mesi di pausa

Israel

Il coronavirus si sta espandendo di nuovo in Israele secondo i dati diffusi dal Ministero della Salute

Il numero R, che rappresenta il numero medio di persone che ogni portatore confermato del virus infetta, ora si attesta a 1,02, dopo circa due mesi durante i quali era rimasto al di sotto di 1.

La pandemia è in declino fintanto che il tasso di infezione, in costante aumento da metà febbraio, è inferiore a 1. Il numero R, o coefficiente di infezione, si basa su statistiche di 10 giorni prima.

Il Ministero della Salute ha affermato che simili tendenze sono state osservate negli ultimi giorni anche in altri Paesi. Ha esortato gli israeliani a continuare a indossare mascherine e mantenere il distanziamento fisico, anche se quasi tutte le restrizioni relative al COVID sono già state revocate.

Il coefficiente di infezione ha raggiunto il picco a fine dicembre, e si è attestato a 2,12 il mese scorso, prima di scendere a un minimo di 0,66 quando i casi di COVID hanno iniziato a diminuire dopo l’onda Omicron.

Un rapporto dell’intelligence militare pubblicato giovedì ha suggerito tre possibili ragioni per l’aumento: più casi della variante altamente infettiva BA.2, che ha superato l’Omicron come quella dominante in Israele; ridotta immunità tra le persone vaccinate e revoca di alcune restrizioni. Il rapporto rileva inoltre che gli israeliani non rispettano più i mandati della mascherina come prima.

Secondo i dati del Ministero della Salute, venerdì in Israele sono stati confermati 7.081 nuovi casi di COVID, portando il numero totale di casi attivi a 43.454. Di questi, 326 sono in gravi condizioni.

( Fonte: HAARETZ – https://www.haaretz.com/israel-news/covid-in-israel-expanding-again-data-shows-in-first-in-two-months-1.10684931 )

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Variante Omicron del virus SARS-CoV-2: “ L’efficacia della dose booster inizia a diminuire dopo 2 mesi”

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Una ricerca britannica su 1 milione di persone infettate da variante Delta e Omicron ha mostrato ridotta protezione della terza dose

La protezione dei vaccini di richiamo contro la variante Omicron inizia a diminuire dopo 2 mesi. A sostenerlo, i ricercatori dell’Agenzia per la sicurezza sanitaria del Regno Unito. Gli esperti hanno esaminato oltre 1 milione di persone infettate dalla variante Delta o Omicron del virus SARS-CoV-2 nel Regno Unito, tra il 27 novembre 2021 e il 12 gennaio 2022, il periodo in cui la variante Omicron ha iniziato a diffondersi.

I risultati, pubblicati su The New England Journal of Medicine ( NEJM ), hanno confermato che una dose di richiamo è in grado di aumentare la protezione contro lo sviluppo di malattia lieve dalla variante Omicron.

Due dosi del vaccino Pfizer / BioNTech hanno mostrato un’ efficacia solamente dell’8.8% contro la variante Omicron dopo 25 o più settimane. Un terza dose di richiamo di questo vaccino ha aumentato la protezione al 67.2%. Tuttavia, questo valore è sceso al 45.7% dopo 10 o più settimane.

Un richiamo del vaccino Moderna, somministrato a coloro che avevano ricevuto 2 dosi iniziali del vaccino Pfizer / BioNTech, è risultato efficace del 73.9% contro la malattia lieve della variante Omicron dopo 2 o 4 settimane. Questo è poi sceso al 64.4% dopo 5-9 settimane.

Fonte: The New England Journal of Medicine

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 Il vaccino è un preparato contenente materiale costituito da proteine complesse a DNA eterologhe, cioè estranee, provenienti da microrganismi o parti di essi, opportunamente trattato per non perdere le proprietà antigeniche, e finalizzato ad essere utilizzato nel conferimento di immunità attiva

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Nuvaxovid: il nuovo vaccino a proteine ricombinanti

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Il nuovo vaccino anti-COVID prevede un ciclo di due dosi a distanza di tre settimane l’una dall’altra

Il nuovo vaccino anti-COVID di Novavax, Nuvaxovid, basato su proteine ricombinanti, è riservato alle prime dosi e per coloro i quali hanno avuto dubbi sui vaccini vettoriali e a base di RNA messaggero ( mRNA ).

Secondo le indicazioni della Commissione tecnico scientifica dell’AIFA, verrà utilizzato nella somministrazione come ciclo primario di vaccinazione e non come booster, ovvero non per il richiamo successivo. La vaccinazione prevede un ciclo vaccinale primario di due dosi a distanza di tre settimane l’una dall’altra.

Il vaccino ha un’efficacia che si attesta intorno al 90%, secondo gli studi condotti in Messico, negli Stati Uniti e nel Regno Unito.

Nuvaxovid ( Covovax in India ) è un vaccino proteico, ossia contiene frammenti prodotti in laboratorio della proteina Spike, che si trova sulla superficie del virus Sars-CoV-2, e un adiuvante, la saponina.

Diversamente dai vaccini Pfizer, Moderna, Astrazeneca, Johnson & Johnson, Sputnik, che usano tecnologie a mRNA o vettore virale, quello prodotto dalla Novavax non è un vaccino genico ed è stato creato attraverso la tecnica delle proteine ricombinanti.

Una tecnologia delle proteine ricombinanti è già stata ampiamente sperimentata fin dagli anni ’80 ad esempio contro l’epatite B e la pertosse.

Nuvaxovid ha come obiettivo quello di stimolare il sistema immunitario e di indurre una risposta contro un agente esterno ( proteina spike ). È composto da frammenti proteici della proteina virale spike, inseriti in un baculovirus. In una fase successiva, alcune cellule vengono infettate dal virus e quando il materiale è all’interno, il baculovirus libera il materiale genetico utile alla produzione della proteina spike. Proteina che, in seguito, viene rilasciata al di fuori delle cellule.

Le nanoparticelle virali di Nuvaxovid contengono fino a 14 proteine spike, a cui si aggiunge un adiuvante che stimola il sistema immunitario.

Gli effetti indesiderati osservati negli studi sono stati generalmente lievi o moderati e sono scomparsi entro un paio di giorni dopo la vaccinazione. Molto simili a quelli degli altri vaccini già noti. I più comuni sono risultati sensibilità o dolore al sito di iniezione, stanchezza, dolori muscolari, mal di testa, sensazione generale di malessere, dolori articolari e nausea o vomito.

https://www.ilrestodelcarlino.it/cronaca/novavax-italia-febbraio-1.7274352

 

 

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