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poesie prose e testi di L@ur@

 

UN PASSO INDIETRO PER FARNE UNO AVANTI.

Per chi volesse leggere la storia"Un passo indietro per farne uno avanti" sin dalle prime pagine;basta cliccare sui link.

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UN PASSO INDIETRO PER FARNE UNO AVANTI.

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Messaggi di Giugno 2015

Il vecchio monastero.

Post n°1024 pubblicato il 29 Giugno 2015 da lascrivana

Irene si svegliò in un bagno di sudore mentre Carlos, al suo fianco, continuò a dormire tranquillo. Di tanto in tanto, nonostante fosse trascorso già qualche anno dalla trasformazione, i vecchi fantasmi del passato tornavano a tormentarla nel sonno. Solo che, questa volta, il finale le aveva lasciato addosso una febbrile curiosità.

Di solito, si svegliava quando la gigantesca ombra di un uomo si avventava su di lei con le mani protese in avanti, nel tentativo di strangolarla. Questa volta invece, le venne in aiuto un frate cappuccino dallo sguardo dolce e dal volto sorridente.

Dopo averla calmata con parole di conforto, la invitò a seguirlo in un monastero vicino al fiume.

La struttura era in pietra e d'antica costruzione. Dopo aver attraversato un lungo portico, si ritrovarono davanti al sagrato di una piccola chiesetta. Saliti i pochi gradini polverosi, raggiunsero un prezioso portone finemente intagliato e lo varcarono.

Una volta in chiesa, il frate s’inginocchiò davanti ad una grande croce di legno. Chiuse gli occhi e congiunse le mani, quindi pronunciò uno strano rito.

Il brusco risveglio impedì a Irene di capire il senso delle parole. Certa che ormai non avrebbe più ripreso sonno, si alzò per andare in cucina a prepararsi una tazza di caffè.

Non appena il delizioso aroma si diffuse per tutta la casa, fece capolino Therese.

-Che buon odore! Sempre mattiniera eh, Irene?-

-Lo sai che adoro l’alba, Therese. E poi contavo di fare una passeggiata nei dintorni. Sai se per caso da queste parti c’è un vecchio monastero?-

-Non saprei. Ne so quanto te di queste terre della Navarra. Come mai questa domanda? Qualcuno ti ha detto che c’è?-

-No, nessuno mi ha detto nulla, era solo una domanda-.

Therese non chiese più nulla. Conoscendo la riservatezza di Irene, sapeva che era inutile insistere. Si versò invece una tazza abbondante di caffè, guardando la testa bionda china sul tavolo intenta a tracciare con le dita un ipotetico percorso.

Sorrise. Sicuramente, aveva fatto qualche altro dei suoi strani sogni premonitori. Chissà su cos’altro l’avrebbe messa in guardia oggi. Ricordò l’ultima volta che aveva sognato che ilmaiale era scappato dal porcile. Dopo qualche ora, in compagnia di Juanito, si era ritrovata davvero a rincorrerlo per tutta la campagna. A quanto pare, quella mattina Irene sembrava non aver nulla da comunicarle. Molto probabilmente, aveva sognato quel monastero cui aveva accennato poc’anzi.


 
 
 

Colpevole o innocente. Verso la libertà.

Post n°1023 pubblicato il 27 Giugno 2015 da lascrivana

 

Nonostante gli omicidi commessi da quello strano uomo, sentivo di potermi fidare ; e poi ritenevo che avesse ragione nel dire che nessuno, ora, avrebbe creduto alla mia innocenza.

Sollevai il viso per dirgli che avevo deciso di accettare la sua offerta d'aiuto,  e per un attimo i nostri occhi s’incrociarono.  Uno strano luccichio balenò negli occhi scuri; come se per la prima volta dopo tanto tempo, l’uomo riuscisse a provare qualcosa di buono per un altro essere umano. L’odio, il disprezzo e l’indifferenza: lo avevano condotto a uccidere spietatamente chi aveva rovinato la sua vita e la sua famiglia.Le immagini degli avvenimenti che avevano fatto di lui un assassino mi si proiettarono davanti; anche se solo per una manciata di secondi. La sua famiglia era stata sterminata dagli uomini di Poretti. Dietro alla sua apparenza di antiquario rispettabile, si nascondeva un potente mafioso. E il giustiziere sconosciuto era stato vittima dei suoi ricatti. Ecco perché l’aveva chiamato strozzino.  Tra noi due si era stabilito un immediato feeling.   L’uomo si guardò intorno in cerca di una via di fuga. Dopo aver ispezionato le diverse camere, s’inoltrò in quella da letto e si sbarazzò dell’impermeabile nero e del cappello; si diede una breve sistemata e infilò la testa nel cappuccio del pullover  di cotone felpato che indossava sopra un paio di pantaloni scuri. Aveva un fisico atletico e giovanile; nessuno lo avrebbe collegato al misterioso e goffo uomo che era entrato poco prima nel palazzo.  Si girò verso di me, lasciando ancora gran parte del viso coperto in modo che io non potessi riconoscerlo, e con un abbozzo di sorriso mi disse che ora toccava a me travestirmi. Mi consigliò d’indossare un pantalone scuro sotto l’impermeabile e di mettere dei tacchi altissimi. In attesa che io finissi di camuffarmi, lui andò fuori a perlustrare la zona: non senza prima  avermi detto di guardare dalla finestra della cucina in attesa di un suo segnale. Non dovetti attendere molto; prima ancora che me ne accorgessi mi ritrovai sul ciglio della strada, dove lui mi attendeva con una golf grigia. Salì in macchina velocemente e gli diedi indicazioni sulla via da seguire per raggiungere la villa di Cesare.

 

Dopo aver percorso silenziosamente una stradina che costeggiava il mare, arrivammo a destinazione. Mi lasciò a pochi metri dalla casa. Nonostante il travestimento non appena mi vide Jack, il cane guida di Cesare, mi riconobbe subito; e mi corse incontro per farmi le feste. Richiamato dai rumori esterni, Cesare si affacciò dalla grande finestra della cucina che dava sul porticato di legno d’acero.

 

Richiamò il cane a se in modo che potesse condurlo dall’inatteso ospite.  Fiducioso dell’istinto del cane, Cesare lo seguì docile, consapevole che l’intrusione non poteva essere che amichevole, altrimenti avrebbe abbaiato e ringhiato.

 

Quando mi fu vicino mi riconobbe dal profumo, e  incredulo allungò le mani per accarezzarmi: tracciando con le dita ogni tratto del mio viso.

 

-Rachele… non posso credere che sia tu… è un sogno questo-

 

Mi buttai tra le sue braccia singhiozzando. Le lacrime finora faticosamente trattenute,sgorgarono come un fiume in piena.

 

-Sono io Cesare… amore mio sono proprio io-

 

-Shh… non piangere più… ormai sei al sicuro-.

 

Ci avviammo verso casa, tenendoci stretti l’uno all’altra.

 

Dopo essermi liberata dall’orrendo impermeabile e dai fastidiosi tacchi, mi sedetti sul divano e afferrando la mano di Cesare lo invitai a sedersi al mio fianco.

 

- Rachele, oh mia cara … temevo di non avere più la possibilità di stringerti tra le braccia e di dirti quanto ti amo. L’avvocato mi aveva detto che per te era impossibile uscire dagli arresti domiciliari-

 

- In effetti è così. Cesare…io non sono uscita! Io sono scappata-.

 

Gli  raccontai quanto era successo, non tralasciando il benché minimo dettaglio; certa che lui mi avrebbe creduto.

 

Alla fine della storia, Cesare mi strinse forte a se benedicendo il cielo che io avessi scelto lui per nascondermi. Mi rassicurò con  le sue forti braccia, fiero di potersi prendere cura di me nonostante la sua cecità.

 

Eravamo entrambi consapevoli che l’avvocato era a conoscenza della sua villa; e ben presto la polizia ci avrebbe raggiunti.

Mi tranquillizzò dicendo di non preoccuparmi che ci avrebbe pensato lui.  Fece un paio di telefonate, e m'invitò a tenermi pronta: avevamo poche ore a disposizione per preparare le valigie prima dell'atterraggio sulla spiaggia del piccolo jet privato che ci avrebbe portaro in Spagna, dove lui possedeva una villa ai piedi dei Pirenei.

Juan Cabaleros, un amico fidato sin dall’infanzia, avrebbe provveduto ad accompagnarci. Non fece alcuna domanda sull’accaduto; certo che Cesare era consapevole delle sue azioni, decise di aiutarlo senza indagare.

Fu molto cortese con me; e si complimentò con Cesare per la deliziosa scelta.

Arrivammo in Francia dopo tre ore di volo; nel frattempo avevamo raccontato gran parte della storia a Juan.  Impietosito dalla mia situazione e entusiasta all’idea di poter fare finalmente qualcosa che rendesse Cesare felice, ci promise che avrebbe fatto il possibile per aiutarci.  Dopo essere atterrati in un ampio spiazzale di campagna, ci avviamo in un enorme capannone per salire sulla jeep di Juan che ci avrebbe condotti nella sua villa:

avremmo soggiornato li; giusto il tempo di rifornirci del necessario per stabilirci in Spagna.  Avevamo bisogno di un nuovo guardaroba e dei nuovi documenti; e Juan ci disse che avrebbe pensato a tutto lui poichè aveva degli amici che erano in grado di fornirci una nuova identità.

 

Rimasti soli, Cesare ed io ci abbracciammo e ci avviammo verso la stanza matrimoniale degli ospiti che la cameriera di Juan aveva sistemato per noi.

 

Dopo aver richiuso a chiave la porta alle nostre spalle, mi buttai sul letto esausta, invitando Cesare a fare altrettanto.  Ora potevamo rilassarci e godere di quella nuova possibilità che la vita ci aveva offerto.

 

Fine

Danio e Laura.

 

Ps: il mio ringraziamento va al mio prezioso collaboratore,Danio Mariani, che mi ha aiutato a finire il racconto.

 

 

 
 
 

Il giustiziere.

Post n°1021 pubblicato il 20 Giugno 2015 da lascrivana

 

-Cosa...cosa volete da me...- odiandomi per il tono lamentoso e supplichevole, arretrai nuovamente verso il divano.

Sorridendo, Miriam mi raggiunse e mi diede una violenta spinta. Un istante dopo me la ritrovai praticamente addosso, tanto da avvertire il suo fiato caldo sul volto.

-Non dovevi fare la smorfiosetta con me. E Paula, la grande Paula, non è più qua a difenderti. Ma, se sarai collaborativa, può darsi che ti risparmi, forse-

Mentre pronunciava quelle parole, la sua mano si era insinuata sotto la mia camicetta. In un secondo capii.

Strappandomi il reggiseno, mi afferrò un capezzolo e strinse con forza. Mordendomi le labbra, cercai di non urlare mentre le lacrime, copiose, iniziarono a rigarmi il viso.

-Non sei mai stata con una donna, vero?- mi sussurrò in un orecchio con voce roca.

Nel contempo, con l'altra mano giocò con l'elastico delle mutandine.

-Sarà bellissimo, vedrai. Lasciati andare e rilassati, tesoro-

Senza darmi il tempo di replicare si abbassò di colpo, il viso all'altezza del mio inguine.

Chiusi gli occhi e pregai. Forse, se l'avessi lasciata fare, mi avrebbe risparmiata.

Vincendo il ribrezzo, sentii la sua lingua perlustrare ogni centimetro della mia pelle, senza però mai affondare del tutto.

 

Lo schianto ci fece sobbalzare entrambe. Ancor prima che me ne rendessi conto, due colpi ravvicinati echeggiarono nella stanza. Le due compagne di Miriam, ancora in piedi nei pressi della porta, si accasciarono al suolo. Entrambe erano state colpite alla testa e il sangue, copioso, inondò ben presto il pavimento.

Lo riconobbi immediatamente. O, per meglio dire, riconobbi l'impermeabile nero.

Svelta come un fulmine, Miriam si lanciò contro di lui a testa bassa.

Il colpo la prese alla base del collo. Portandosi le mani alla gola, rimase per qualche istante in piedi, gli occhi spalancati.

Poi, con una specie di gorgoglio, stramazzò sul pavimento e rimase immobile.

Terrorizzata e incapace di muovermi, fissai l'imponente figura portarsi nella mia direzione.

-Ti stai domandando perché l'abbia fatto, vero?-

La voce, bassa e tenorile, mi sorprese. Nonostante i cadaveri, nonostante il sangue e l'odore acre della polvere da sparo, riuscì ugualmente a trasmettermi calma.

-In realtà ero venuto per ucciderti sai?- disse puntandomi contro la pistola.

-Ma non pensavo davvero di trovare questa situazione. La porta era socchiusa e ho sentito tutto. Ti eri fatta dei nemici anche in carcere, a quanto pare-

Feci segno di si con la testa mentre lui, con molta calma, rimise la pistola nella tasca dell'impermeabile.

-Poretti era uno strozzino e un bastardo, ne sei a conoscenza vero?- proseguì come se nulla fosse.

-Eliminandolo, ho fatto un favore all'umanità, così come nessuno piangerà per queste tre lesbiche, dico bene?-

Continuando ad annuire, con la coda dell'occhio sbirciai Miriam. Aveva ancora le mani strette alla gola.

-Sono sicuro che non mi denuncerai mai, anche perché ignori del tutto la mia identità. Ma, dopo questo casino, dubito che saprai essere convincente con le autorità-

-Io...io...non...- cercai di dire, ma lui mi bloccò con un gesto.

-Ti aiuterò a fuggire, a patto che non ritorni mai più in questa città. Hai qualcuno su cui far affidamento?-

Cesare!

L'idea di rivederlo, superò di gran lunga i rischi a cui stavo per andare incontro.

-Si...- dissi in un sussurro.

Danio

 

 
 
 

Riflesso dell'anima

Post n°1020 pubblicato il 19 Giugno 2015 da lascrivana

 

Lasciai perdere l’infame e il traditore

per intraprendere la via dell’autore

Ripulii la mia coscienza da ogni inutile afflizione

riproponendomi una profonda riflessione

Attraversai nuovi mari e terre sconosciute

avvalendomi delle informazioni ricevute

Tracciai sentieri tra distese e monti virtuali

e alle aquile chiesi in prestito le ali

per sorvolare vette alte e puntigliose

oceani immensi e strade più tortuose

Arrivai infine alla meta destinata

e affondai i piedi nella sabbia bagnata

Rivolsi il viso verso il sole nascente

e nelle acque riflettei, la mia anima splendente.

 

Laura

 
 
 

Il male necessario.

Post n°1019 pubblicato il 17 Giugno 2015 da lascrivana

Il male necessario.

Perché a volte la vita sa sorprenderti. E lo fa quando meno te lo aspetti. E tutto il male che ti devastava, all'improvviso si tramuta in energia. Cosi come il castigo  impartisce la lezione; e diventa inevitabile non apprendere dalle punizioni; a meno ché uno non sia un masochista. E io per mia fortuna non lo sono.

 
 
 

Colpevole o innocente: A un passo dalla fine

Post n°1018 pubblicato il 16 Giugno 2015 da lascrivana

Mi risvegliai alle prime luci dell'alba, il corpo indolenzito e teso. Non avevo mai dormito sul divano, e solo ora ne capivo il motivo.

Andai in cucina e mi preparai un caffè, mi sentivo stordita.

Seduta al tavolo, mi guardai attorno. Era la mia casa ma, nonostante questo, non ne trovai conforto. La situazione non riusciva a farmela vedere in questo modo, non la sentivo più come mia.

Prigioniera tra le mura amiche, impossibilitata a comunicare e a vivere, mi sentivo soffocare.

Cesare.

Il solo pensiero mi fece rabbrividire.

Avrà letto la lettera? Mi avrà creduto?

Improvvisamente, mi accorsi di desiderare l'arrivo dell'avvocato più di ogni altra cosa. Mi aveva promesso che, in mattinata, sarebbe passato con la risposta di Cesare. Ma sarebbe arrivata quella risposta? Si, non avevo dubbi.

Avrei voluto vestirmi e andargli incontro, ma la paura di tornare in carcere era immensa, non avrei potuto sopportarlo.

Respirando a fondo, posai la tazza nel lavello e tornai in camera da letto.

Mi preparai con cura, cercando di non pensare a nulla ed evitando di guardare l'orologio.

Il campanello mi fece sussultare. Di corsa, raggiunsi la porta, una scarpa calzata e una no.

Senza nemmeno chiedere chi fosse, pigiai sul tasto d'apertura più volte, quindi tornai verso il divano.

Trascorsero un paio di minuti durante i quali, sempre più agitata, non smisi un istante di fissare l'ingresso.

Incapace di resistere oltre, mi precipitai verso la porta e la spalancai.

 

-Ciao stronzetta-

Il cuore mi mancò di un battito mentre la vista, improvvisamente, si appannò.

Ritta sulla soglia, le mani sui fianchi, Miriam mi guardò sorridendo.

-Ma che bella casetta che hai, stronzetta, complimenti-

Senza darmi il tempo di reagire, mi spinse all'interno con violenza.

Dietro di lei, altre due donne fecero irruzione richiudendosi la porta alle spalle.

-Adesso facciamo due chiacchiere, stronzetta, che ne dici?-

Paralizzata dalla paura, non riuscii a spiaccicare parola. In quella confusione, l'unica cosa che mi venne da pensare era che avessero liberato anche loro. Assurdo. No, erano evase, e volevano farmi fare la stessa fine di Paula.

 

Guardandosi attorno, l'uomo ripassò per l'ennesima volta davanti al portone.

Si, l'indirizzo era quello esatto. Alzando il bavero dell'impermeabile nero, diede una scorsa ai campanelli. Era venuto a conoscenza della notizia quasi per caso. Raramente leggeva i quotidiani ma, un paio di giorni prima, aveva fatto un eccezione.

Quando aveva visto l'articolo, per poco non aveva rovesciato la tazzina di caffè.

Il pezzo, che occupava una pagina intera, descriveva i motivi per cui, a Rachele Camozzi, erano stati concessi gli arresti domiciliari per l'omicidio dell'antiquario Poretti.

Qualche mese prima, abilmente camuffato, aveva seguito le varie fasi del processo con costanza e pazienza.

Alla lettura della sentenza aveva tirato un sospiro di sollievo quindi, attardandosi all'uscita, aveva visto gli agenti scortare la ragazza verso il carcere.

E l'aveva guardata negli occhi. No, non avrebbe dovuto temere nulla da lei, nessuno le avrebbe mai creduto.

Nonostante questo, uno zelante avvocato era riuscito a instillare un dubbio nei giudici, e questo non era un bene.

 

In quel momento il portone si aprì e una donna anziana, con tanto di trolley, si affacciò sulla strada.

L'uomo ne approfittò immediatamente. Prima che si richiudesse, riuscì a fermarlo con una mano senza che la donna se ne accorgesse. Un istante dopo, salì le scale con calma.

Danio

 
 
 

Colpevole o innocente? La lettera di Rachele.

Post n°1017 pubblicato il 14 Giugno 2015 da lascrivana

Cesare fissò a lungo il foglio. Nelle orecchie, aveva ancora le parole dell'avvocato, chiare e nitide.

E' stata la stessa Rachele a darmi il permesso di leggere la lettera, signor Mainardi. Come potrà immaginare, gli arresti domiciliari non consentono molta libertà di movimento. Niente telefono, divieto di qualsiasi contatto e, naturalmente, l'arresto immediato se ci si azzarda ad uscire di casa”

Passando e ripassando le dita sul foglio, Cesare scosse la testa. Pur dinanzi all'evidenza, non riusciva ancora a farsene una ragione: Rachele accusata d'omicidio!

-L'ascolto, legga pure- disse in un sussurro.

Schiarendosi la voce, l'avvocato aveva così iniziato a leggere.

 

Caro Cesare, come stai? Mio Dio, questi mesi di lontananza sono stati un vero supplizio per me. E, pur sforzandomi, non riesco nemmeno a immaginare come possano essere stati per te. Ti prego, non pensare che ti abbia abbandonato, lungi da me!

Ma il carcere è stata una vera tragedia, mi sembrava di vivere in un mondo parallelo.

Sono stati mesi duri, Cesare. Ho visto ammazzare una donna, e ho capito quanto possono essere crudeli le persone. Ho avuto paura, tanta paura.

L'avvocato Sarzi è una brava persona, oltre che un ottimo difensore. Mi sono fidata di lui e ti pregherei di farlo anche tu. Resta il nostro solo mezzo di comunicazione, anche se la voglia di rivederti è immensa.

Infine, voglio dirti che non ho ucciso il mio principale. Era un uomo cattivo e meschino, come d'altronde ben sai. Ma non sarei mai arrivata a tanto. Sai quanto ami la vita e quanto ami...te.

Lo so, sembra bizzarro che te lo dica attraverso una lettera letta da uno sconosciuto. Avrei dovuto farlo molto tempo fa, perdonami.

Tu mi credi...vero?

Nella speranza che l'avvocato possa farci incontrare al più presto, ti pregherei di farmi avere una risposta.

So che sei molto discreto, ma ti scongiuro di farlo. Ho bisogno delle tue parole e del tuo conforto.

A presto...

 

Rachele.

 

Titubante, Cesare se l'era fatta rileggere una seconda volta. Anche se pronunciate da una voce maschile, le parole di Rachele lo commossero e irritarono allo stesso modo.

Rachele un'assassina! Ma come avevano anche solo potuto pensarlo!

L'avvocato Sarzi, con calma, aveva atteso la risposta.

-Scriva, avvocato-

Non si trattò di una risposta lunga. Dopo solo cinque minuti, Sarzi richiuse il foglio in una busta.

-Grazie signor Mainardi, teniamoci in contatto- disse avviandosi verso la porta.

-Avvocato...-

Con la mano già sulla maniglia, il legale si voltò.

-Quante possibilità ci sono che Rachele venga scagionata del tutto?-

Anche se non poteva vederlo, Sarzi sorrise.

-E' molto semplice, signor Mainardi. Bisognerebbe trovare chi, veramente, ha ucciso l'antiquario-

Detto questo, si richiuse la porta alle spalle.

Rimasto solo, Cesare si sedette al pianoforte.

Le dita, lunghe e affusolate, iniziarono a sfiorare i tasti.

Dapprima lentamente, poi sempre più forte. Le lacrime, da quegli occhi vacui e bianchi, sgorgarono copiose.

Interrompendo di colpo il pezzo, si lasciò quasi cadere sul divano li accanto.

Anch'io ti amo Rachele” disse alla stanza vuota.

 

Rintanate in uno scantinato, Miriam e le sue compagne si cambiarono d'abito.

-Prima di tutto, dobbiamo procurarci dei soldi, poi ci occuperemo di quella stronzetta-

Pamela, una delle altre due, intervenne timidamente.

-Te la sei proprio legata al dito vero?-

Esibendo un ghigno per nulla rassicurante, Miriam si allacciò l'ultimo bottone.

-Paula ha già pagato per la sua arroganza, ma quella troietta sembrava non aver paura di me. Voglio farle cambiare idea-

Il tono, fece venire i brividi alle sue compagne di fuga.

-Andiamo, abbiamo perso sin troppo tempo-

Danio

 

 
 
 

Colpevole o innocente: Il rientro a casa

Post n°1016 pubblicato il 12 Giugno 2015 da lascrivana

Arrivata a casa, mi buttai sotto la doccia. Se l'odore del carcere venne via, così non fu per l'ansia che mi attanagliava lo stomaco. Dovevo e volevo vedere Cesare, al più presto.

Ma l'avvocato era stato chiaro. Gli arresti domiciliari non erano altro che una detenzione casalinga, ogni sgarro sarebbe stato pagato caro.

Quando se ne andò, gli porsi un biglietto pregandolo di recapitarlo a Cesare.

Dopo la doccia, nell'attesa, mi versai un bicchiere di vino bianco e mi distesi sul divano.

Mi sentivo strana e svuotata, l'esperienza della prigione era stata sconvolgente e traumatizzante.

Dopo aver bevuto un sorso, chiusi gli occhi e cercai di rilassarmi.

Cosa mi aveva portato a quel punto?

Per quale assurda alchimia, mi ero completamente dimenticata di Cesare?

Tra il sonno incombente e la veglia, tornai a quella maledetta mattina.

Lavoravo come commessa in un negozio d'antiquariato.

Un'occupazione pagata male e che il signor Poretti, il proprietario, rendeva ogni giorno sempre più invivibile. Ma il bisogno di soldi, oltre al mio amore per le antichità, mi facevano sopportare il tutto.

Fino a quella mattina.

Come sempre, alle otto in punto, avevo aperto il negozio.

Poretti, come sua consuetudine, non sarebbe arrivato prima delle nove.

Dopo aver sistemato alcune cose, mi ero seduta dietro il bancone in attesa dei clienti.

Ed erano quasi le nove quando, il primo di essi, fece tintinnare il campanello all'ingresso.

Si trattava di un uomo. Alto e allampanato, portava un lungo soprabito completamente nero.

-Cerco il proprietario, il signor Poretti, mi può annunciare per cortesia?-

Scuotendo il capo, lo informai che non era ancora arrivato.

Per nulla scosso da quella notizia mi disse che, nel frattempo, avrebbe dato un'occhiata agli oggetti esposti.

Nell'attesa, sbirciai il suo muoversi tra cofanetti e antichi candelabri. Devo dire la verità, quell'uomo m'inquietava parecchio.

Per mia fortuna il signor Poretti, puntuale come un orologio svizzero, arrivò alle nove precise.

Non avrei mai dimenticato il suo sguardo quando, appena entrato, si accorse del visitatore.

Paura? Rabbia? Diffidenza?

Senza degnarmi di uno sguardo, gli si rivolse direttamente.

-Venga nel mio ufficio- disse laconico.

Quello che accadde in quel angusto stanzino, non avrei mai avuto la possibilità di saperlo.

L'unica cosa certa è che lo strano individuo, dopo una decina di minuti, se ne andò salutandomi cordialmente.

Fu solo in seguito che, allarmata dal fatto che Poretti non si faceva vedere, mi azzardai a bussare alla porta dell'ufficio.

Non ottenendo risposta, abbassai la maniglia ed entrai.

Il primo ricordo, di quella spaventosa scena, fu il sangue.

Sulle pareti, sulla scrivania e sul pavimento, sangue ovunque.

Lo stesso Poretti, riverso sulla poltrona, ne era intriso.

Il cranio non era più un cranio, ma solo un ammasso informe di carne e tessuti.

Ricordo che, per un'insolita reazione, corsi al suo fianco cercando di tamponare l'emorragia.

Poi urlai.

Urlai con tutto il fiato che avevo in gola.

Il resto, fu tutto un susseguirsi di fatti che la mia mente cercò di rimuovere, riuscendoci in parte.

La polizia, chiamata dai negozianti vicini, giunse velocemente.

Vedendomi sporca di sangue, incapace di parlare e palesemente sotto shock, mi accompagnarono all'ospedale e successivamente in questura.

Accusata formalmente d'omicidio, venni processata e condannata a quindici anni, il minimo. Mi avevano riconosciuto la non premeditazione, un raptus dissero.

Ma il mio avvocato, uno d'ufficio visto che non potevo permettermene uno, era riuscito a farmi concedere gli arresti domiciliari.

Sono riuscito a instillare in loro il dubbio. La sua deposizione, inerente al misterioso individuo, è stata presa in considerazione. Ma non è ancora finita, dovremo combattere ancora”

Questo mi aveva detto prima di lasciarmi sola. La mia opinione, nei suoi confronti, era decisamente cambiata.

E fu con le sue parole che, finalmente, riuscii ad addormentarmi.


Ansimando e sbuffando, Miriam si lasciò cadere al di la del muro.

Pamela e Sandra, le sue due compagne, la seguirono subito dopo.

Senza dire nulla, iniziarono a correre in direzione di un vicino campo incolto.

Dopo averlo attraversato, si avvicinarono velocemente a un'automobile poco distante.

In quello stesso istante, le sirene del carcere iniziarono a suonare.

Danio e Laura

 
 
 

Colpevole o innocente: Percezioni

Post n°1015 pubblicato il 10 Giugno 2015 da lascrivana

Quando rinvenni, la prima cosa che notai fu il bianco.

Le lenzuola, i tubolari del letto, persino le pareti e la porta, tutto bianco.

Come il bianco degli occhi di Cesare.

Mio Dio, come potevo essermi dimenticata di lui?

Angosciata da quel pensiero, mi misi a sedere sul letto. Immediatamente, la testa iniziò a girarmi, chiusi gli occhi e mi lasciai ricadere.

Quando mi sentii più sicura li riaprii, mi alzai di nuovo e respirai a fondo.

Cesare.

Chissà come si sentiva. Chissà quali film si era fatto nella mente.

Travolta dagli eventi, l'avevo completamente escluso dai miei pensieri.

L'immaginai, solo e disperato, davanti al suo pianoforte.

Immaginai la sua angoscia, il suo sgomento nel dover affrontare la mia assenza.

E poi c'era Paula.

Non avevo dubbi su cosa potesse esserle accaduto.

Le mie premonizioni, se non in qualche caso sporadico, raramente mi avevano tradito. Un'eredità scomoda e ingombrante a cui non mi ero mai abituata, nonostante l'evidenza.

Dovevo agire, ma non sapevo dove sbattere la testa.

Con un forte clangore, la porta si aprì.

Accompagnato da un medico, un poliziotto si accostò al letto.

-Come faceva a sapere dell'omicidio?- disse senza tanti preamboli.

Lo fissai senza rispondere. Altresì, le lacrime iniziarono a scorrermi copiose sulle guance.



In piedi, con il bastone per ciechi in una mano, trattengo con l'altra il guinzaglio di Jack, il fedele labrador sempre al mio fianco. Col viso esposto alla leggera brezza marina che mi scompiglia i capelli, penso a lei, a Rachele.

Ormai, era diventata il mio chiodo fisso. Persino i suoni che tanto amavo, non riuscivano a distrarmi. Lo sciabordio dell’onda che, lenta, s’infrange sulla battigia, il garrire dei gabbiani così come il penetrante profumo salino che ti riempie i polmoni d'aria fresca e frizzante.

Anche la sabbia fine, che mi solletica dolcemente i piedi, mi riporta lo stesso tepore morbido e vellutato della pelle di Rachele.

Lei aveva lo stesso odore penetrante del mare, e lo stesso calore di un raggio di sole.

Non potevo vedere i suoi colori, le sue fattezze, ma speravo che l'immagine che di lei mi ero fatta, potesse corrispondere alla realtà.

Non che avesse poi così tanta importanza. Cieco dalla nascita, avevo imparato a percepire il mondo attraverso l'udito, il sapore, il tatto.

Rachele era diversa da tutte le altre donne che avevo conosciuto. Lei sapeva leggermi dentro come mai nessun altro era riuscito a fare, nemmeno i molti psicologi che mi hanno seguito sin dall'infanzia.

Sembrava conoscere tutto di me, persino i desideri più intimi. Passavamo ore a cercare di decifrare, l’uno attraverso le sensazioni dell'altro, i pensieri reciproci.

Con delicatezza, era solita scompigliarmi i capelli, accarezzandomi il viso ad occhi chiusi fingendo di essere cieca come me, come a voler provare le mie stesse sensazioni. Eccitato ed estraniato dal mondo, godevo del tocco morbido di quelle dita sapienti. Uno strano calore mi prendeva il basso ventre mentre, a fatica, riuscivo a trattenere l’erezione che la sua intima vicinanza mi suscitava. In quegli istanti, ho sempre pensato che Rachele fosse un angelo, un’entità divina mandata dal cielo per riscattarmi dal buio totale che mi circondava.

Perché sei sparita Rachele? Ho bisogno di te. 

Malinconico e nostalgico, rientrai in casa con una gran voglia di suonare. Seduto al pianoforte, con tocco abile e leggero, sfioro con le dita la tastiera. Dapprima le note si levano lentamente nell'aria, per poi riprendere un ritmo cadenzato e struggente.



Non ebbi il tempo di piangere la morte di Paula. Dopo un paio di giorni, esclusa ogni mia responsabilità nel suo assassinio, il mio avvocato riuscì a farmi avere gli arresti domiciliari. Avevo assolutamente taciuto sulla mia visione, il pensiero di Cesare aveva prevalso su ogni cosa.

La mattina stessa in cui sarei dovuta uscire da quel inferno, ricevetti una visita inaspettata quanto inquietante.

Miriam, stranamente sola, mi avvicinò durante la colazione.

-Sei stata fortunata ragazza. Ma ti assicuro che non finisce qui, è una promessa-

Senza aggiungere altro, lasciò il mio tavolo come se nulla fosse.

Un paio d'ore più tardi, accolta da un sole accecante, varcai la soglia della prigione.

Danio e Laura

 
 
 

Colpevole o innocente: Paula

Post n°1014 pubblicato il 06 Giugno 2015 da lascrivana

 

Quella notte, sdraiata sulla mia branda, faticai a prendere sonno.

Miriam, Paula, l'atmosfera surreale del cortile. Frammenti di quel pomeriggio, sfocati e confusi, mi danzarono davanti agli occhi come un film al rallentatore.

Inesorabile, la fitta alla tempia destra s'intensificò, stava arrivando. Le prime volte, avevo provato un senso di sgomento e angoscia, poi mi ci ero abituata.

Al culmine del dolore, le immagini si fecero più nitide e particolareggiate, trattenni il respiro.

 

Dopo essere rientrata in cella, Paula aveva ripreso in mano il libro.

Era già la terza volta che lo rileggeva ma "De Profundis" di Oscar Wilde, l'aveva letteralmente affascinata. In sintesi, si trattava di una lunga e accorata lettera che lo scrittore, rinchiuso per omosessualità nel carcere di Reading, scrisse al suo amato compagno Alfred Douglas, figlio di un marchese molto noto all'epoca.

In questa lettera, vergata nel 1897, Wilde espone i propri sentimenti e riflette a lungo sulla loro travagliata storia d'amore.

 

In quel narrare, Paula aveva in parte rivissuto la propria, di storia. E un nome. Corina.

Il loro, era stato un amore puro, fatto di sguardi ma anche di altre mille piccole cose.

Corina. Il motivo per cui l'avevano rinchiusa per sempre, ma loro non avrebbero mai potuto capire.

Chiuse libro e occhi contemporaneamente mentre le lacrime, senza alcun preavviso, cominciarono a scenderle copiose sul volto mascolino.

Clang.

Voltando appena la testa, vide la porta della cella dischiudersi lentamente. Sapeva chi era, così come sapeva cosa sarebbe accaduto. Aveva tirato troppo la corda e, nonostante le rassicurazioni fatte alla nuova arrivata, si rese conto che sarebbe stato inevitabile. Per un istante, prima che la porta si aprisse del tutto, pensò a Rachele e a quanto avrebbe dovuto subire da parte di quelle belve. Le dispiacque, ma era stanca di lottare, stanca di trincerarsi dietro il proprio fisico quando invece era l'anima ad essere a pezzi.

 

-Ehi, cicciona!-

Dopo aver varcato la soglia, Miriam si fece avanti decisa, lo sguardo spiritato.

Di certo, ebbe modo di pensare Paula, si era fatta di qualche sostanza, oltre ad aver pagato profumatamente i secondini.

Tra le mani, stringeva un lungo coltello dalla lama affilata, non come quelli innocui che usavano in mensa.

Le due fedelissime che l'accompagnavano si piazzarono di fianco alla porta sorridendo tra loro, già pregustavano l'odore del sangue.

-Non avresti dovuto intrometterti cicciona...- continuò Miriam avvicinandosi sempre più.

Paula non rispose. Coricandosi di nuovo, aprì il libro e riprese la lettura.

 

Il mal di testa si fece più intenso, la nausea mi serrò lo stomaco bloccandomi il respiro.

Paula!

L'avevo solo immaginato, oppure avevo urlato a squarciagola?

Senza pensarci, mi lanciai verso la porta. La stanza oscillò, temetti di svenire e barcollai, ma alla fine la raggiunsi. Con le ultime forze rimaste, picchiai selvaggiamente i pugni sul ferro. Ogni colpo, si ripercosse nel mio cervello come un maglio, vomitai bile e succhi gastrici sui miei piedi.

-Aprite maledetti, aprite!-

Ancora una volta, mi chiesi se stessi urlando oppure no. La mia voce, mi giunse attutita e lontana, avvertii liquido caldo colarmi tra le cosce.

-La stanno uccidendo maledetti, aprite!-

Poi l'oscurità prevalse e, dopo aver sferrato un ultimo, debole colpo, crollai sul pavimento sudicio.

-Paula-

Danio e Laura.

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: lascrivana
Data di creazione: 19/09/2010
 
 

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