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Post n°1454 pubblicato il 18 Ottobre 2017 da lascrivana
Passeggiando con mia figlia per le vie di Varedo in una fresca serata autunnale, passiamo davanti ad un’antica residenza dall’aspetto decadente. Da dietro le sbarre di ferro del cancello semi arrugginito riesco a intravedere gran parte del giardino e il porticato d’ingresso alla villa. Il mio sguardo si posa curioso sulle statue di un grigio scuro, chiazzate di muschio, e danneggiate dalla continua esposizione alle intemperie. Nel guardarle vengo colta da un senso di tristezza e malinconia; come succede ogni qualvolta che mi trovo innanzi ad una statua - in seguito vi spiegherò anche da dove nasce questa mia fobia per i monumenti.
Mi basta dare una leggera sbirciata per capire che se l’avessi visitata all’interno avrei potuto anche sentire, attraverso la mia immaginazione, le voci del passato; come spesso accade quando mi capita di visitare i vecchi ruderi. Ci ritorniamo il giorno dopo con mia figlia; e fortunatamente il cancello è aperto per le visite pubbliche. La prima cosa che faccio è studiare i monumenti ornamentali che delimitano un giardino dalla forma circolare; il verde vivace dell’erbetta è in netto contrasto con il grigio scuro delle statue, e quello leggermente più chiaro del piazzale ghiaioso. Una miriade di sensazioni contrastanti mi trasporta negli antichi splendori di villa Bagatti; il porticato e il giardino iniziano a popolarsi di figure dalle vesti lise e logore dall’usura, sono mezzadri, massaie e domestiche. Immagino le contese patrimoniali dei nobili che abitavano quelle mura regali; ho persino immaginato l’espressione soddisfatta dell’architetto dopo aver realizzato i lavori degli interni ed esterni della lussuosa villa. Che fosse ingegnosamente architettata non c’è bisogno di leggerlo nei reperti storici; basta guardarla nei dettagli per capire che era stato tutto minuziosamente realizzato per compiacere lo sguardo dei residenti e dei visitatori. Ho immaginato i festini che si potevano svolgere tra quelle mura; e anche le piacevoli passeggiate all’aperto nelle belle giornate primaverili. Girovagando tra le stalle e i cortili, mi è parso di udire lo starnazzare delle galline, tra i nitriti dei cavalli e i muggiti delle mucche. Ombre di personale immusonito per le basse paghe e il duro lavoro, si aggiravano stanchi sotto gli occhi dei nobili dal portamento altero che impartivano ordini a destra e a manca. Le grida festose dei bambini dal muso sporco si elevavano sugli strilli capricciosi della giovane prole dei blasonati signori. Tra di essi scorreva il rancore dell’ingiustizia e della frustrazione; ricco e povero nella stessa residenza: chi si nutriva di pasti serviti in tavole sontuosamente imbandite, e chi si accontentava degli avanzi avariati in ciotole di legno annerito dall’umido dei cibi. So bene di non soffrire allucinazioni, la vita è un ciclo che si ripete continuamente; senza inizio e fine come la forma del giardino circolare d’ingresso della villa; e come la forma del maestoso monumento situato nel lato posteriore della villa; proprio all’ingresso di un lungo viale alberato. Dopo averla visitata, esternamente, mia figlia ed io ci avviamo all’ingresso delimitato da giganteschi alberi dalle foglie ingiallite dall’autunno. E sotto le fronde odorose di erba bagnata e muschio, i sussurri dei saluti romantici degli antichi amanti, risuonano alti nel cielo plumbeo del calar della sera. Immagini fluttuanti in candide camicie di seta, che rubano baci veloci a spasimanti e fidanzati. Giovani aitanti e speranzosi, con gli occhi lucidi dalla commozione che conservano ciocche setose nei fazzoletti inamidati dal profumo di lavanda.
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