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Post n°1008 pubblicato il 26 Maggio 2015 da lascrivana
Che cosa volevo essere? Che cosa voglio essere? Dove vorrei dirigermi? Per rispondere a queste domande mi devo guardare indietro. Basta chiudere gli occhi, un istante e cercare di ricordare quali erano i miei desideri di bambina. Mi rivedo all’età di sei anni; indosso un vestitino azzurro di lana corto: il mio preferito. Mi è stato regalato da mia sorella. Mi piace talmente che lo voglio indossare spesso. Le calze di lana bianca sono sporche e sfilate: proprio all’altezza delle ginocchia. Accidenti a me! Casco sempre! Non riesco mai a mantenere a lungo i collant nuovi e candidi. Corro. Mi piace correre e saltare i gradini delle scale. Inizio prima a saltarne uno; poi due, poi tre, poi quattro. Quando salto dal quinto gradino, nel toccare terra le gambe non mi reggono e mi piego sulle ginocchia: sbattendo sul duro cemento. Fanno un male terribile e i graffi bruciano. Non basta questo a scoraggiarmi, riprovo di nuovo fino a che non rimango in equilibrio dopo aver saltato il quinto gradino. E poi la notte, è terribile! Sogno sempre quella scala interminabile. E’ tutta rotta e ripida, ed io faccio una gran fatica a salire; e poi c’è sempre qualcuno mi rincorre. Chissà chi è? Il volto cambia di sogno in sogno; a volte è un cane inferocito; un uomo cattivo; altre volte è addirittura una macchina. Mi piace anche il gioco della farfalla; lo fanno i più grandi di me. Ci provo anch’io. Salto una casella, poi l’altra, a piedi giunti la terza casella centrale; e poi apro le gambe per il salto sulle ali della farfalla. Sono troppo piccola per quel salto, le ali sono spiegate in maniera spropositata ed io finisco a gambe divaricate e il sedere per terra. Fa un male boia all’inguine. Non importa, mi rialzo e ricomincio. Stavolta cerco di allargare meno le gambe; facendo attenzione a non toccare con i piedi gli argini disegnati con il gesso bianco. Giocavo anche tanto con le bambole; cucivo per loro tanti vestitini; utilizzando i ritagli degli scampoli di stoffa colorata; sempre a imitare il lavoro delle mie sorelle più grandi di me. Gli obiettivi erano gli stessi di ora: sempre più numeri da raggiungere; sempre una passione creativa da appagare. Che strano? Non ricordo i momenti tristi. Ho sempre rimosso dai miei pensieri i ricordi spiacevoli. Lo faccio ancora. Non serve a nulla ricordare i momenti tristi; niente li può cambiare. La risposta sembra essere arrivata insieme ai ricordi. Tutto questo significa che da piccola volevo essere ciò che sono ora da grande? Possibile che non desiderassi altro? Mah! Laura
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