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poesie prose e testi di L@ur@

 

UN PASSO INDIETRO PER FARNE UNO AVANTI.

Per chi volesse leggere la storia"Un passo indietro per farne uno avanti" sin dalle prime pagine;basta cliccare sui link.

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Messaggi di Luglio 2015

Il vecchio monastero: sesta parte.

Post n°1029 pubblicato il 08 Luglio 2015 da lascrivana

 

Assorto in preghiera, padre Michele passeggiava nel chiostro del vecchio monastero. Avvolto nel saio chiaro, e con il cappuccio a coprirgli parte del volto, ogni tanto si concedeva una sosta sedendosi sul basso muretto.

I raggi del sole, che filtrando attraverso le alte colonne si proiettavano sui muri di pietra gialla, rimandavano riverberi di luce colorata. Il senso di pace che emanava quel luogo, difficilmente era sfuggito ai pochi visitatori che avevano avuto il privilegio di visitarlo. Situato ai piedi dei Pirenei, il monastero era parzialmente nascosto da una fitta vegetazione. Sul retro, un orto sapientemente coltivato e abbastanza grande da sfamare tutti i monaci.

D'un tratto, la sua preghiera fu interrotta dall’arrivo di Armando Tuarez. Appoggiandosi a un bastone, il vecchio si avvicinò a piccoli ma decisi passi. Sul volto scavato, erano ben visibili i segni di una nottata insonne e tormentata. Preoccupato, il monaco gli si fece incontro premuroso.

-Buongiorno Armando … tutto bene?-

Apparentemente incapace di dare una risposta, l'uomo si strinse nelle spalle. Poi, dopo un breve istante di esitazione, invitò il monaco a sedersi sul muretto.

-Beh, a dire il vero, non va proprio tutto bene. Non sto peggio di come mi sento solitamente, e non ho ricevuto nessuna brutta notizia. Eppure è da ieri sera che, uno strano quanto insistente presentimento, mi angustia-

Padre Michele inclinò la testa di lato, un sopracciglio si alzò sospettoso.

-No, padre, non sono impazzito e so quel che dico. Ho come la sensazione che qualcuno stia cercando di mettersi in contatto con me-

Il monaco lo osservò pensieroso. Sapeva bene che quando si è spiritualmente e fisicamente coinvolti nella preghiera, certi eventi straordinari possono manifestarsi.

-Parlami di queste tue sensazioni, se vuoi- disse infine.

Incrociando le braccia sul petto, Armando alzò lo sguardo verso il suo profilo ossuto.

-Padre, come lei ben sa, nella vita non sono stato per niente uno stinco di santo. Per nessuna ragione però, avrei mai immaginato che Dio, nella sua immensa pietà, mi potesse concedere la grazia di manifestarsi con delle visioni-

Il monaco, prima di lasciarlo proseguire, lo interruppe un istante. -Non essere blasfemo, Armando. Vorrei ricordarti che anche il demonio ha il potere di manifestarsi in questo modo-

Scuotendo la testa, il vecchio agitò una mano per aria.

-Lo so padre, eppure ho come la sensazione che questa non sia opera del diavolo. Comunque, mi trovavo inginocchiato ai piedi del letto assorto nella preghiera e, senza volerlo, mi trovai a fissare un punto indefinito del muro di pietra. Improvvisamente, una serie di proiezioni del mondo esterno si materializzarono sulla parete. Un uomo e una donna, tenendosi per mano, passeggiavano nel giardino di una casa a me tanto cara, quella di Manuela Domingo. L’uomo portava degli occhiali scuri mentre la donna, dal viso angelico, era vestita di bianco-

Più dubbioso che pensieroso, padre Michele si grattò il mento mentre Armando, imperterrito, proseguì nel suo racconto.

-Ciò che mi ha maggiormente sconvolto però, è stata la presenza di mio figlio Fernando. Puntando l'indice verso l'uomo, li fissava con uno sguardo bieco, torvo. Che cosa significa tutto questo? Mi aiuti lei, padre, la scongiuro-.

Il monaco si alzò e, posandogli una mano sul capo, gli concesse la sua benedizione.

-Devo pensare, Armando. E solo nel chiuso della mia cella riesco a farlo intensamente. Abbi fede e non preoccuparti, riusciremo a trovare una spiegazione-

Per don Michele, fu una lunga giornata. Nonostante la meditazione, le parole di Armando rimasero tali. Fu solo verso sera che, pur con qualche dubbio, riuscì a dare una spiegazione seppur parziale a quella visione.

Manuela Domingo, dopo l’aggressione che aveva reso cieco il figlio, in preda ai rimorsi e al senso di colpa, decise di andare da lui per confessarsi. Era una fredda mattina d’inverno quando, mentre stava preparando l'altare per la messa, sentì il portone aprirsi con un cigolio. Voltandosi lentamente per vedere di chi si trattasse, visto che la chiesa era deserta, si ritrovò davanti l’elegante figura di Manuela Domingo. La grazia di quella donna era pari alla sua bellezza. I lunghi e setosi capelli scuri le scendevano morbidamente sulle spalle mentre gli occhi, neri e grandi, erano incastonati nel perfetto ovale del viso come due gemme scure. Don Michele, dopo averla lungamente osservata, la invitò a sedersi su una panca della chiesa.

Impacciata, Manuela aveva obbedito ma, subito dopo, era scoppiata in un pianto dirotto.

Rendendosi conto che quella donna teneva dentro di se un fardello enorme, lasciò che si sfogasse, quindi le fece segno di seguirla in sacrestia.

Sentendosi al sicuro dietro quella porta chiusa, Manuela iniziò a parlare, sembrava un fiume in piena.

Costernato da ciò che stava sentendo, padre Michele non l'interruppe mai.

Armando, pur essendo colpevole di un gesto così ignobile, era all’oscuro di un altro terribile segreto. Cesare, il bambino che lui aveva accecato iniettandogli negli occhi acido muriatico, era suo figlio.

Dopo l’incidente mortale di Manuela, Armando aveva mandato a chiamare padre Michele a casa sua. Il monaco, si trovò davanti un uomo distrutto e con tendenze suicide. Prima di togliersi la vita però, voleva confessare il delitto commesso anni prima. Fu lo stesso monaco a persuaderlo dall’idea di farlo, convincendolo a ritirarsi con lui nel monastero e di espiare la propria colpa pregando e digiunando.

Evidentemente Dio, o la propria coscienza, lo stava mettendo di nuovo alla prova. 

Danio e Laura

 

 
 
 

Il vecchio monastero: parte quinta.

Post n°1028 pubblicato il 07 Luglio 2015 da lascrivana


Rachele rientrò passando dal retro. Dopo la crisi, era perfettamente conscia d'avere un aspetto terribile. Se avesse incrociato Therese poi, avrebbe corso il rischio di subire un interrogatorio di terzo grado, e non era proprio nello stato d'animo per sopportarlo. Anche Cesare, pur non vedente, avrebbe percepito il suo turbamento e ne avrebbe sofferto. Dell'invito a cena fatto a Fernando avrebbe parlato più tardi, magari dopo una doccia e un'ora in completa solitudine.

All'ora di pranzo, l'umore e l'aspetto di Rachele apparivano decisamente cambiati. Dopo la doccia, aveva indossato un paio di pantaloni neri e una camicetta di seta dello stesso colore.

Intenta a preparare la tavola, Therese si bloccò con un piatto a mezz'aria.

-Sei incantevole, Irene. Quanto vorrei avere anch'io il tuo fisico!-

Rachele sorrise impacciata, i complimenti di quella ragazza la mettevano sempre in imbarazzo.

-Non sei mai stata capace a mentire, Therese. Ma apprezzo il complimento-

In quel momento, alcune note si levarono dallo studio a fianco.

-Vado da Cesare, avvisaci quando è pronto in tavola-

Facendo attenzione a non fare il minimo rumore, Rachele scivolò nello studio.

Cesare le dava le spalle e non la sentì entrare. Accomodandosi in una poltrona, Rachele chiuse gli occhi lasciandosi cullare dalla dolce melodia. Pur non essendosi mai interessata alla musica, grazie a lui aveva imparato ad apprezzarne ogni lato. In quel momento, stava suonando un pezzo che amava in maniera particolare, l'Adagio al chiaro di luna di Beethoven.

Quando li riaprì, si ritrovò a fissare l'ampia schiena muoversi in sintonia con le note che, come una cascata, sembravano riempire tutta la stanza.

Quanto amava quell'uomo. Eppure, c'era ancora qualcosa di misterioso in lui. Una chiara e netta sensazione che, da quando erano andati a vivere insieme, si faceva ogni giorno più forte.

Ma non osava chiedere. Temeva, in quel modo, d'incrinare il rapporto che si era creato tra loro. Così com'era altrettanto certa che, volenti o nolenti, non avrebbero potuto continuare quella vita di semi clausura.

Ecco perché, di slancio, aveva invitato Fernando a cena. Quel ragazzo l'aveva come ammaliata. Ma non nel senso erotico o sentimentale, bensì in qualcosa che nemmeno lei stessa sapeva definire.

-Ciao, amore-

Sorridendo, Cesare si alzò e la raggiunse. Non aveva più bisogno del bastone ormai, conosceva quella casa come le proprie tasche.

-Com'è andata la passeggiata?-

Alzandosi a sua volta, Rachele lo baciò con trasporto.

-Proprio di quello vorrei parlarti. Ho incontrato una persona e l'ho invitata a cena- disse tutto d'un fiato.

Cesare s'irrigidì. Ogni traccia di sorriso era scomparsa dal suo volto.

-Lo sai che non amo la mondanità, perché l'hai fatto?-

Pur aspettandosi una reazione negativa, Rachele si sentì ugualmente spiazzata da quel tono.

-E sopratutto, di chi si tratta?- l'incalzò Cesare.

In quel momento, la porta dello studio si aprì e Therese, sorridente, fece capolino.

-Ehi piccioncini, in tavola è pronto!- salvo poi cambiare espressione quando si rese conto del clima teso. Senza aggiungere nulla, richiuse la porta lasciandoli nuovamente soli.

-Si tratta di un ragazzo, un certo Fernando Tuarez, lo conosci forse?-

Cesare sbiancò in viso e vacillò. Prontamente, Rachele l'afferrò per il braccio ma lui, con uno scarto, si liberò e tornò a sedersi al pianoforte.

Rachele era spaventata e sbigottita. Era la prima volta che si comportava in quel modo, e la cosa la terrorizzò oltre modo.

Trascorsero un paio di minuti prima che Cesare si voltasse nuovamente.

-Non voglio estranei in casa mia. Così come gradirei ne parlassimo prima di decidere. Mi dispiace, ma dovrai disdire l'invito. Il modo, trovalo tu-

Detto questo, si alzò e si diresse verso la camera da pranzo.

Rachele passò dalla sorpresa alla rabbia in un attimo. Alzandosi a sua volta, lo raggiunse e l'afferrò nuovamente per il braccio.

-Senti, Cesare. Non ti ho chiesto di farmi conoscere tutto il paese. Ma questa vita inizia a stancarmi, hai capito? Non ho fatto nulla di male a invitare quel ragazzo, e non ho nessuna intenzione di tornare sui miei passi! Stasera avremo un ospite a cena, che tu lo voglia o meno!-

Senza dargli il tempo di replicare, si precipitò verso la porta sbattendola poi con violenza.


Danio e Laura

 
 
 

Il vecchio monastero: parte quarta.

Post n°1027 pubblicato il 05 Luglio 2015 da lascrivana

 

Rachele rimase immobile. No, non si trattava di paura, non era mai stata abituata a fuggire. L'esperienza del carcere poi, l'aveva temprata e rafforzata sotto quel punto di vista. Ciò che la preoccupava maggiormente in quel momento, era continuare a proteggere la privacy che con Cesare aveva saputo costruirsi. Vivendo lontano dal paese infatti, erano riusciti a limitare le conoscenze. E anche per quei pochi che avevano incrociato, erano i signori Irene e Carlos Dindero, una coppia stabilitasi li da poco. Per la spesa e altre piccole incombenze non avevano problemi. Erano Therese e Juanito ad occuparsi di tutto.

Altresì, si rese conto che non avrebbe potuto nascondersi in eterno. E poi, quel ragazzo aveva un viso dolce, oltre che due occhi meravigliosi.

-Buongiorno- esclamò sorridente.

Il giovane parve colto di sorpresa, ma fu solo questione di un attimo. Sorridendo a sua volta, percorse i pochi metri che li separavano.

-Buongiorno a lei- disse titubante.

-Vive da queste parti?-

Questa volta fu Rachele a rimanere sorpresa. Per qualche secondo, le mancò il fiato e la vista le si annebbiò leggermente. Temette di avere una delle sue solite visioni. Poi i battiti diminuirono e tornò a respirare normalmente. Ma dove aveva già visto quel volto?

-Mi chiamo Irene Dindero...- disse allungando una mano-...e abito in una villa isolata poco distante da qui-

Il giovane annuì con vigore.

-Villa Domingo!- esclamò stringendole la mano.

-Si...credo che in passato fosse abitata da qualcuno con quel nome- rispose incerta.

-Le posso assicurare che è così. Comunque io sono Fernando Tuarez, molto piacere- Il contatto con quelle dita lunghe e affusolate gli procurò un brivido. Fu con una certa fatica che, a malincuore, si sciolse da quella stretta.

Terminati i convenevoli, i due proseguirono la loro passeggiata sulle rive del lago. Di tanto in tanto, Fernando si scopriva a studiare ogni particolare di quel volto bellissimo. Sembrava essere calamitato da quella bellezza eterea, così diversa dalle donne del posto. Parlarono del più e del meno, senza addentrarsi troppo in particolari intimi. Ma, più il tempo passava, più Rachele era convinta di aver già visto quel viso dai lineamenti fini e delicati. E fu per quel motivo che, nonostante si fosse ripromessa di non parlare del passato, gli rivolse una domanda particolare.

-Scusa se te lo chiedo...- passando con naturalezza al tu.

-Sei mai stato in Italia?-

Fernando si fermò e la fissò intensamente. Ogni traccia di sorriso scomparve dal suo volto, sostituito da un'espressione sospettosa e cupa.

-Perché me lo chiedi? Comunque no, non ci sono mai stato- rispose seccamente.

Pentendosi immediatamente per averglielo chiesto, Rachele non seppe come interpretare quella reazione.

-No...scusami...è che... mi sembrava- balbettò.

Fu lo stesso Fernando a toglierla da quella situazione di disagio.

-Non preoccuparti, non importa. Ma adesso devo andare, ho delle cose da fare. Piacere d'averti conosciuta-

Quindi si voltò allontanandosi velocemente.

-Aspetta!- urlò quasi Rachele.

Raggiungendolo altrettanto velocemente, gli posò una mano sul braccio.

Di nuovo, Fernando avvertì una scossa percorrergli tutto il corpo.

-Mi farebbe piacere invitarti a cena, magari stasera se non hai impegni- disse tutto d'un fiato.

In seguito, non seppe spiegarsi il motivo di tanta foga. Così come non aveva valutato la reazione di Cesare una volta che l'avesse informato.

-Io...io veramente...- tentennò il giovane.

-Mi farebbe veramente piacere, Fernando. Non vediamo mai nessuno, e non sappiamo nulla del paese, ti prego-

La menzogna le venne naturale. In realtà, Therese le aveva raccontato di tutto e di più di ciò che accadeva in quel piccolo borgo.

-Va bene. A stasera allora-

Tornando verso casa, Rachele fu assalita dai dubbi. Aveva fatto bene a invitarlo? Come avrebbe reagito Cesare?

Poi avvenne ancora una volta.

Senza alcun preavviso, la vista le si offuscò. Le gambe le cedettero e, in men che non si dica, si ritrovò in ginocchio.

Le parve di svenire, eppure tutto intorno a lei restò immutato. Gli alberi, i cespugli e persino il cinguettare degli uccelli.

Ma, invece del lago, dinanzi a se vide la propria casa, il salone.

Erano tutti li, seduti attorno a un tavolo imbandito.

Therese e Juanito, lei e Cesare.

E poi c'era Fernando.

Troneggiava a capotavola e rideva. Ma non era un sorriso benevolo, anzi.

Li fissava uno ad uno con un ghigno terribile e malefico, gli occhi celesti improvvisamente rossi, iniettati di sangue.

-Finalmente!-

Una sola parola, un verso rauco più che altro.

Rachele sentì il sangue congelarsi nelle vene. Avvertì odore di morte, di putrefazione.

Svenne.

 

 
 
 

Il vecchio monastero: parte terza

Post n°1026 pubblicato il 03 Luglio 2015 da lascrivana

 

Incuriosito, Fernando osservò la leggiadra figura passeggiare assorta sulle rive del lago. I raggi del sole, luminosi come non mai quel giorno, si riflettevano sui riccioli biondi che, in morbide onde, le ricadevano sulle spalle. Una figura eterea e armoniosa, ecco cosa sembrava in quel momento. Un perfetto connubio che si fondeva a meraviglia con la splendida magia di quel luogo già di per se incantevole.

Fernando Tuarez amava la poesia, viveva per essa. Quella visione lo affascinò a tal punto che, con un gesto quasi meccanico, mise mano al taschino alla ricerca del suo prezioso taccuino. Il desiderio di comporre versi era impellente ma, di colpo, si fermò. Fu il ricordo del reale motivo di quell'escursione a suggerirglielo.

Da tempo infatti, in paese circolava la voce che la vecchia dimora dei Domingo era abitata da una coppia. Incuriosito, ma troppo orgoglioso per ammetterlo persino a se stesso, voleva vedere chi erano i nuovi proprietari.

Ricordava che, sin da piccolo, suo padre Armando lo portava spesso a passeggiare sulle rive di quel lago. Così come più volte, con l'innocenza di un fanciullo, lo aveva visto con gli occhi lucidi. Succedeva quando, come sempre, si soffermavano a guardare la casa che s’intravedeva tra le fronde degli alberi. Era come se, nel vederla disabitata, la tristezza e la malinconia lo assalissero improvvise.

Chissà, forse proprio quella casa era stata la causa, qualche tempo dopo, della profonda depressione che lo colse. Sino al punto di prendere la decisione, tra lo sconcerto di molti, di rinchiudersi in un convento. Nessuno, neppure la moglie, riuscirono a fargli cambiare idea.

Tutto questo accadde, stranamente, dopo la scomparsa di Manuela Domingo e Paolo Mainardi. La notizia della loro morte in un tragico incidente stradale infatti, era giunta anche in quel posto dimenticato da Dio. Fernando era anche a conoscenza che i defunti proprietari avevano lasciato un figlio ma di lui, i compaesani, ricordavano ben poco. Troppi anni erano trascorsi da quando avevano preso la decisione di andarsene, e lo stesso Fernando era troppo piccolo per rammentare qualcosa.

Sconvolto da quella notizia, Armando si era chiuso in un muto dolore. Da allora non fu più lo stesso. Rinunciò a uscire di casa se non per recarsi al lavoro ma, poco dopo, nemmeno per quello. Temendo che potesse ammalarsi seriamente, mia madre acconsentì a una sua strana ma pressante richiesta.

 

Qualche tempo dopo, un monaco bussò alla loro porta. Armando lo invitò a sedersi, quindi ordinò alla moglie di prendere Fernando e uscire di casa.

Quando la donna ritornò, la ritrovò deserta. Sul tavolo della cucina, un biglietto attirò la sua attenzione.

“Era destino, è sempre stato scritto. Non cercharmi mai più, cura nostro figlio e, un giorno, raccontagli che suo padre è morto. Sia fatta la volontà del Signore.

Ripiegando con cura il foglio, abbracciò Fernando e pianse tutte le lacrime che aveva.

Laura e Danio

 
 
 

Il vecchio monastero. parte seconda,

Post n°1025 pubblicato il 01 Luglio 2015 da lascrivana

 

Therese, seguì con lo sguardo Irene finché non scomparve oltre la fitta boscaglia che costeggiava il lago.

Quando Dolores De Martinez, sua amica da una vita le aveva fatto la proposta, non le era parso vero. Si trattava di un lavoro, ben retribuito, che avrebbe dovuto svolgere assieme al marito Juanito. I datori, erano una coppia di sposi novelli che vivevano in un luogo abbastanza isolato ai piedi dei Pirenei. Da sempre, lei e il marito, agognavano di ritirarsi in una zona simile e dedicarsi completamente all’agricoltura.

I coniugi Irene e Carlos Dindero erano persone riservate e gradevoli. Lui, cieco dalla nascita, aveva la passione per la musica e passava ore a suonare il pianoforte. Irene, invece, oltre che a occuparsi dei bisogni del marito, amava fare lunghe passeggiate. Raramente si soffermavano a parlare del loro passato, o del luogo da cui provenivano. Pur esibendo uno spagnolo quasi perfetto, Therese aveva sin da subito intuito che non lo erano di nascita. Per lo meno Irene, una bellissima donna bionda e dagli occhi azzurri. Carlos avrebbe potuto esserlo, ma parlava pochissimo. Era la musica a farlo per lui. Nonostante questa reticenza, la loro compagnia era piacevole e affettuosa, e ormai si potevano considerare un'unica famiglia.

Therese, si occupava della casa e delle galline, raccoglieva le uova e dava loro da mangiare. Irene curava il giardino e provvedeva ai pochi bisogni del marito, ampiamente autosufficiente. Juanito invece, pensava alla campagna e al pascolo delle mucche e delle capre, oltre al mantenimento dei maiali. Ormai, si cibavano solo di quello che coltivavano, a parte qualche genere alimentare che acquistavano allo spaccio del paese. Le giornate erano piene per tutti, e la sera ci si coricava stanchi e appagati.


Rachele camminò a lungo quella mattina. Il lago le trasmetteva una sensazione di pace, e il fruscio delle foglie la cullava con la sua dolce nenia. Ripensando al monaco sognato la notte precedente, fu pervasa da uno strano presentimento: qualcosa stava per accaderle. Le sensazioni erano così forti, tanto da non essere in grado di capire di cosa in realtà si trattasse. Ma di una cosa era certa. Qualcosa, molto presto, avrebbe sconvolto nuovamente la sua vita, in negativo o in positivo. La paura di dover rinunciare alla serenità raggiunta con Cesare in quel luogo, la induceva a non voler verificare se il monastero esistesse veramente. Le domande di Therese poi, si facevano ogni giorno più pressanti. Quella ragazza non era per niente stupida, aveva capito che c'era qualcosa che non quadrava.

Era così presa dai propri pensieri, da non accorgersi che un giovane, dai profondi occhi azzurri, la stava fissando con curiosità.


Danio e Laura.

 
 
 
 
 

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Un blog di: lascrivana
Data di creazione: 19/09/2010
 
 

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