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poesie prose e testi di L@ur@

 

UN PASSO INDIETRO PER FARNE UNO AVANTI.

Per chi volesse leggere la storia"Un passo indietro per farne uno avanti" sin dalle prime pagine;basta cliccare sui link.

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UN PASSO INDIETRO PER FARNE UNO AVANTI.

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Messaggi di Marzo 2016

Ognuno di noi è un libro.

Post n°1152 pubblicato il 31 Marzo 2016 da lascrivana

Ognuno di noi, come un libro, ha una lunga storia da raccontare.

Alcune storie sono più interessanti di altre; dipende dai gusti, dalla cultura, dalla religione, dal sesso, e da tanti altri motivi.

Alcuni libri intrigano per la loro bella copertina; altri per il titolo; altri ancora per l’introduzione.

Mi piace ascoltare, o leggere le pagine della vita dei personaggi che mi circondano.

Come in un libro, a volte l’impatto iniziale si presenta poco intrigante, per poi sorprenderti nel bel mezzo della lettura con colpi di scena strabilianti.

E’ raro che io giudichi un comportamento, o uno stile di vita; mi limito ad ascoltare… semmai intervengo con qualche consiglio o parola di conforto.

Spesso confronto le mie esperienze con le loro: aprendo così le frontiere della fiducia.

Ho notato che ci si sente più a suo agio, se con gli interlocutori si pone uno scambio di memorie.

Le nostre vite imperfette, ci portano tutti allo stesso livello di comunicazione: dove non esiste differenza di livello sociale o culturale.

Nelle nostre storie, siamo protagonisti assoluti;  di conseguenza occupiamo tutti un posto di primo grado … e qui mi collego al titolo di un racconto di Paolo  Giordano “La solitudine dei numeri primi” - badate bene che ho rilevato solo il titolo- poiché  penso che, nella nostra vita, siamo tutti dei numeri primi.

Cerco di mettere sempre a suo agio l’interlocutore, sia che comunichi faccia a faccia; sia che comunichi per lettera.

Ora cito un altro titolo di libro “Le pagine della nostra vita” di Nicholas Sparks … quelle pagine che a volte noi narriamo con gli occhi lucidi per l’emozione, per il dispiacere, per la tristezza; oppure, con i denti digrignati dalla collera, dal rancore, dalla frustrazione. A volte con gli occhi persi nel vuoto; o con voce tremante: dettagli che descrivono bene il nostro stato d’animo.

Poi, ci sono quelle persone, che hanno la capacità straordinaria di trasmetterti tutto questo con la scrittura.

Amo leggere quei componimenti che mettono a nudo l’anima… quel mondo meraviglioso che ognuno di noi custodisce dentro di se. 

Alcuni individui, sono più riservati di altri; sono proprio quelli che ti consentono di usare la fantasia cercando d’immaginare quale oscuro mistero nascondano; proprio come le storie misteriose di alcuni libri, che rivelano  la verità solo alla fine; oppure la loro trama è talmente complicata che difficilmente si riesce a decifrare.

Trame ingarbugliate e ambigue; trame sconnesse e deliranti.

Pagine di vita vissuta all’ombra, o al centro dell’universo… pagine straordinarie che pullulano di vita vissuta a fil di spada.

Tante pagine, tante storie … ho letto veramente tanti libri; anche quando non ho sfogliato nemmeno una pagina.

 

Laura

 
 
 

L'amore in un libro: parte quarta.

Post n°1151 pubblicato il 26 Marzo 2016 da lascrivana

Per tutto il resto del viaggio parlammo di qualsiasi cosa. A partire dai nostri studi, le nostre famiglie, le aspettative e le difficoltà che sarebbero sopraggiunte. Chi ci vedeva per la prima volta, avrebbe faticato a credere che ci conoscevamo solo da poche ore anzi, pochissime. Peter aveva una parlantina fluida e una voce gradevole, già me l'immaginavo impegnato in politica, sopra un palco ad arringare la folla. Ma sapeva anche ascoltare e, pregio che pochi hanno, non interrompeva mai nel bel mezzo del discorso. E stavo proprio parlando di qualcosa inerente la scuola quando, con un annuncio, venimmo avvisati che il treno stava per arrivare a destinazione.

-Naturalmente non ci perderemo di vista, vero?- disse Peter aiutandomi a indossare lo zaino.

No, certo che no!” avrei voluto rispondergli immediatamente. Ma non volevo che si facesse un'idea sbagliata di me, da sprovveduta che abbocca al primo belloccio che l'abborda.

-Ti faccio uno squillo se mi lasci il tuo numero, magari ci si vede- dissi invece.

Lui sembrò deluso da quella risposta, ma si riprese quasi subito. Sorridendo, sfilò il cellulare dalla tasca dei jeans e vi armeggiò sopra per qualche secondo, quindi risollevò lo sguardo.

-Prendi nota-

 

Ci lasciammo nel piazzale antistante la stazione.

-Ho il bus che mi porta praticamente davanti a casa, tu come farai ad arrivare dai tuoi zii?- mi chiese Peter scorrendo il tabellino degli orari.

-Dovrebbe esserci mia zia ad attendermi, ma ancora non la vedo, al massimo prenderò un taxi, non preoccuparti-risposi guardandomi attorno.

-Ok, allora...ci sentiamo-

Furono le sue ultime parole prima che, rivolgendomi un saluto con la mano, salì sopra un bus appena arrivato e si confuse con gli altri passeggeri. Guardai di nuovo l'orologio, infastidita dal fatto che mia zia non si fosse ancora fatta vedere. Ma di cosa dovevo stupirmi in fondo? Era la sorella di mia madre, e su certe vedute si assomigliavano molto, sin troppo. Presi il cellulare con l'intenzione di chiamarla, ma lo riposi immediatamente. No, me la sarei cavata da sola, anche in una città sconosciuta e all'apparenza fredda e distante, al diavolo! A grandi passi, mi avvicinai al parcheggio dei taxi e a salii sul primo della fila.

-Via Pascoli per favore- dissi senza neppure guardare in faccia l'autista.

-Si trova in periferia, col traffico sarà una mezz'ora di strada- rispose quest'ultimo in maniera gentile.

-Non si preoccupi, ho di che pagare, e tempo in abbondanza- risposi sgarbata, anche se non ne avevo l'intenzione.

Il tassista, un uomo di mezz'età e dallo sguardo bonario, fece spallucce e ingranò la marcia.

Quasi a voler nascondere il mio imbarazzo, aprii lo zaino e presi il libro, mi avrebbe aiutato a passare quei minuti.

 



E quel giorno, finalmente, arrivò.

Lo stridio del portone automatico, lo sguardo delle guardie carcerarie, l'aria stessa che sapeva di buono. Ritta sulla soglia del carcere, Agata assaporò con avidità quelle sensazioni, chiuse gli occhi per poi riaprirli, era libera. Un lungo viale alberato e poche macchine, in lontananza il profilo dei tetti velato da una leggera foschia, s'incamminò.

Da una finestrella, Patty osservò la giovane allontanarsi con passo esitante, poi sempre più deciso.

Spicca il volo, tesoro, hai ancora tutta la vita davanti, non sprecarla”

 La fermata era uguale a tutte le altre. Una tettoia per proteggersi dalle intemperie, una panchina arrugginita e cartacce dappertutto. Agata si sedette e si strinse le spalle con le braccia. Non le importava leggere gli orari, era libera ormai, e aveva tutto il tempo che voleva.

In attesa del bus, aprì la sacca e vi rovistò dentro. Tra un pacchetto di sigarette sgualcito, un lucida labbra ormai consumato e un portafoglio spelacchiato quanto vuoto, prese il quaderno che le aveva fatto compagnia durante quei lunghi mesi. Su quelle pagine aveva annotato tutte le proprie sensazioni. Dal primo giorno, quando il mondo sembrava esserle crollato addosso, a quelli seguenti più pacati e ponderati, sino al precedente, quando aveva saputo che sarebbe stata scarcerata.

 

 

Dev'essere molto interessante ciò che stai leggendo”

La voce, improvvisa e squillante, la colse di sorpresa.

Un ragazzo, alto e magro, la stava fissando con un mezzo sorriso stampato sul volto spigoloso.

Ma, ciò che la stupì, furono i suoi grandi occhi color nocciola, sembravano volerle penetrare l'anima.



Continuai nella lettura sino a che, facendomi sobbalzare, la voce del tassista mi avvisò che eravamo giunti a destinazione. Dopo aver pagato la corsa, mi ritrovai nel bel mezzo di una via trafficata e fiancheggiata da palazzoni alti e dall'aspetto non certo signorile. Non sapevo nulla dei miei zii, salvo quello che mi aveva raccontato mia madre.

Mia sorella non ha avuto una vita facile, ma sono brave persone e ti accoglieranno con affetto, non deluderli”mi aveva ripetuto più d'una volta, ma sempre senza addentrarsi nei particolari. Cosa facessero, o come vivessero i miei zii, restava ancora un mistero per me. Quando giunsi al numero trenta mi fermai e sollevai di nuovo lo sguardo. Il palazzo non era dissimile dagli altri, forse il colore era diverso, ma la sensazione di degrado continuò a pervadermi. Scorrendo i nomi sul citofono, mi stupii di non trovare ciò che mi sarei aspettata, poi mi diedi della stupida. Non tutti mettevano il doppio cognome e, per un istante, un'amnesia temporanea quanto fulminea mi gettò nel panico. Qual'era quello di mio zio?

 Danio e Laura

 


 

 
 
 

L'amore in un libro: parte terza

Post n°1150 pubblicato il 23 Marzo 2016 da lascrivana

Per mia fortuna il treno era semi vuoto, avrei mal sopportato troppa confusione. Scelsi un posto in fondo alla carrozza e mi lasciai cadere sul sedile, accanto al finestrino. Nonostante fosse solo metà mattina, mi sentivo addosso una stanchezza strana e insolita per me. Ben presto, grazie al movimento del treno, le mie palpebre iniziarono a diventare sempre più pesanti, poi tutto divenne sfocato.

-Signorina...signorina...-

Con un sobbalzo, raddrizzai di scatto la testa e sgranai gli occhi. In piedi, accanto a me, un anziano controllore mi stava scuotendo per la spalla.

-Mi scusi, signorina, non volevo spaventarla, ma potrebbe favorire il biglietto?-

Basso e tarchiato, portava un maestoso paio di baffi e tra le dita, corte e tozze, stringeva l'obliteratrice come fosse un'arma.

-Certo, mi scusi...- risposi ancora mezza intontita.

Frugando nello zaino, presi il libro e lo aprii alla prima pagina, laddove avevo messo il biglietto. Quando se ne andò, non senza essersi scusato ancora una volta per avermi svegliata, guardai l'orologio e mi accorsi di aver dormito per quasi due ore. Appoggiai la fronte al finestrino e osservai la campagna scorrere veloce al di la del vetro, tra le mani avevo ancora il libro, lo aprii e cominciai a leggere.

 



Il mondo, la fuori, aveva tutto un altro odore, un'altra essenza.

Con la propria sacca sulle spalle, Agata s'incamminò lungo il viale alberato che l'avrebbe portata a una nuova vita, un nuovo inizio. Non si voltò mai, la tentazione di farlo era tanta, ma non lo fece. Cosa poteva rimpiangere di ciò che si lasciava alle spalle? Solo umiliazioni e il “non vivere assoluto” questo si lasciava. Eppure, anche all'interno di quel inferno aveva trovato qualcosa per cui lottare, qualcosa che l'aveva spinta a non lasciarsi andare.

E tutto ciò aveva un nome e un volto; Patty.

Senza il suo aiuto, specialmente nei primi e angosciosi tempi, probabilmente non avrebbe retto al brusco passaggio. Da giovane e spensierata ragazza di venticinque anni, concentrata unicamente a rincorrere i propri sogni, fatti di una laurea e un'occupazione all'estero, si era trovata catapultata in una realtà del tutto diversa. Il carcere era stata un'esperienza terribile, lontana anni luce da ciò che aveva sempre saputo, un susseguirsi di soprusi e angherie di ogni genere, a cominciare dal lato sessuale. Accusata di un reato che non aveva mai commesso, aveva impiegato molto, troppo tempo a realizzare quello che le stava piombando addosso, e ciò l'aveva debilitata, sia nel fisico che nello spirito. Più volte, durante quella forzata prigionia, aveva maturato il pensiero di togliersi la vita, non avrebbe avuto senso continuare a vivere in quelle condizioni.

Poi era arrivata Patty.

Era diversa dalle altre e, sbagliando completamente giudizio sul suo conto, aveva pensato che anche lei fosse vittima di un errore mostruoso, inaccettabile. Niente di più errato. In realtà, stava scontando l'ergastolo per omicidio premeditato, ed erano già vent'anni che si trovava dietro le sbarre.

 

"Tu non sei come le altre, lo si capisce subito, vedrai che presto lascerai questo posto"


Le guance rigate di lacrime, Agata l'aveva fissata a lungo, poi l'aveva abbracciata.

 



Ecco, quando arrivavo a questo punto, ero costretta a interrompere la lettura. Le lacrime sembravano voler combattere una battaglia serrata con i miei occhi, per cui decisi di concedermi una pausa.

 

-Dev'essere molto interessante quel libro-

 

La voce mi fece sobbalzare e alzare la testa di scatto. Un ragazzo, alto e magro, mi stava fissando con un mezzo sorriso stampato sul volto spigoloso. Ma, ciò che mi colpirono maggiormente, furono i suoi occhi color nocciola. Erano grandi e luminosi, ed irradiavano una gioia di vivere che, stupidamente, gli invidiai. In fondo, cosa ne sapevo di lui, perché saltavo sempre così in fretta alla conclusioni.

-Si, in effetti si- mormorai.

-Posso sedermi?- proseguì lui.

Evitai di fargli presente che c'erano molti altri posti liberi, il perché non me lo so' spiegare, ma lo feci.

-Ciao, io sono Peter, molto piacere- disse porgendomi una mano sottile e dalle dita affusolate.

Senza pensarci, ricambiai la stretta e subito, una strana sensazione, s'impadronì di me.

Danio e Laura

 
 
 

Ciò che mormora il passato.

Post n°1149 pubblicato il 21 Marzo 2016 da lascrivana

Scardinare lo scrigno della sua mente non era stato affatto facile!

Mi dovetti scomporre in tante micro particelle di me: fanciulla birichina, che sostava sull'uscio di ogni toppa delle sue infinite porte.

Passavo dal brivido dell'orrore allo sguardo stupito e indignato; dal grido della meraviglia a quello della costernazione: - Mai prevedibile; mai scontato-.

Piccina, piccina, nel buco della serratura  delle sue porte chiuse sui mille mondi differenti: osservavo il fluire lento delle ore.

Il tempo adagiato su foglie di alloro, si lasciava trascinare dolcemente dal dolce sospiro del vento.

Rapidamente con un balzo quasi felino, mi ritrovai al suo fianco; con i capelli scompigliati dalla leggera brezza: lasciando il viso e il collo esposto alle delicate carezze del vento.

Il tempo, suadente, si muoveva al mio fianco, biascicando parole incomprensibili.

Giocherellava con le mie idee confuse; trafficando con finta mal destrezza: tra i bottoni della mia vergine ignoranza.

Poi lo vidi insinuarsi tra le pieghe chiuse del mio sapere: esplorando e assaporando ogni sillaba di ingenua costernazione.

Il sibilare lento delle sue parole, lasciava dietro di se una bava schiumosa e densa, come soffici nuvole.

Man mano che questa si scioglieva: il liquido appiccicoso imbrattava tutti i cunicoli della mia mente.

La conoscenza faceva capolino:  sollevando intorno a se mulinelli di fine sabbia dorata.

Quel tempo era:  così instabile; machiavellico, intrigante, fantasioso, brillante, sensuale e accattivante. Non fu solo la parte migliore che esso mi mostrò.

Fece un fischio al vento; e questi, obbedendo al suo comando: cambiò direzione.

Arrivati davanti l'uscio della toppa di quella stanza; io e il tempo, scendemmo dalla foglia di alloro, ed esso prese la sostanza delle nuvole, modellandosi in un corpo dalle stesse mie microscopiche dimensioni.

Afferrandomi per mano mi condusse attraverso le altre toppe delle mille stanze chiuse.

Mi fece scalare le alte vette della crudele ignoranza; scivolare tra le spire della viscida lingua del genio malefico.

Affondammo tra i solchi delle ferite putride e infette; aspirando l'odore marcio del pus e della cancrena.

Mi fece rotolare tra gli escrementi dello sciocco e dell'infame; conservandone a lungo il cattivo olezzo tra le narici dilatate.

Disgustata dallo scempio: stringevo forte la sua mano incitandolo con impazienza, a lasciare al più presto quelle putride stanze.

Solo una breve sosta, ripassando da un'altra toppa: per  farci impietrire il viso, dalla gelida brezza dell'indifferenza.

Per poi velocemente scivolare dentro il sacro fuoco della passione, che in un batter d'occhio avrebbe sciolto i cristalli di ghiaccio che intrappolavano le nostre emozioni.

Danzammo musiche tribali; e ci unimmo alle preghiere delle diverse religioni.

Di tanto in tanto ci soffermavamo nelle mie stanze disadorne: riponendo i souvenir dei nostri percorsi.

Ora, che anche le mie stanze erano superbamente arredate: richiamai all'ordine tutte le micro particelle scomposte di me, per indirizzarle verso una nuova missione.

Laura

 
 
 

L'amore in un libro: parte seconda

Post n°1148 pubblicato il 18 Marzo 2016 da lascrivana

Con gli occhi gonfi e il cuore stretto in una morsa dolorosa, sentii il grande portone richiudersi per l'ultima volta alle mie spalle. Pur non avendone l'intenzione, mi voltai e fissai le mura grigie e segnate dal tempo, la vecchia crepa apertasi durante il terremoto, le finestre con le persiane socchiuse, in quel edificio avevo trascorso buona parte della mia fanciullezza. Con una punta di nostalgia e sollievo, ripensai al pianto disperato quando, anni prima, i miei genitori mi fecero varcare per la prima volta quel portone. Ma avevo anche riso di gusto quando, una volta ambientata, avevo conosciuto le amicizie vere e indissolubili, come quella con Chiara. Pur non potendola vedere me l'immaginai, chiusa nella propria stanza, a versare lacrime amare per l'amica di sempre che la stava abbandonando.

Distogliendo lo sguardo, diedi un'occhiata attorno e non fui affatto sorpresa di non trovare nessuno ad attendermi. Mio padre, instancabile quanto solerte imprenditore, si trovava quasi sicuramente da qualche parte in giro per il paese, intento a cercare di vendere i propri prodotti a sprovveduti acquirenti. In quanto a mia madre, potrei scrivere un libro su di lei, ma basterebbero tre semplici parole per descriverla “fuori dal tempo” Convinta di vivere ancora nel diciottesimo secolo, amava circondarsi della propria corte, rappresentata da donne nelle sue stesse condizioni, ovvero consorti di uomini più o meno facoltosi che si scannavano per mantenerle. I salotti cambiavano, ma le abitudini rimanevano sempre le stesse, tè al pomeriggio e interminabili partite a carte tra pettegolezzi vari e risatine soffuse.

-Oh mio Dio, cara, non pensare che me ne fossi scordata, ma proprio domani ho ospite a pranzo la moglie del prefetto. Ma sei grande ormai, sono certa che arriverai a casa sana e salva- Questo era ciò che mi aveva detto appena ventiquattro ore prima quando, euforica ed emozionata, l'avevo chiamata per avvisarla del mio rientro. Io non avevo replicato e le avevo assicurato che l'avrei fatto, non avevo nessuna intenzione di imbastire una discussione al telefono.

Infine c'era Paolo. In cuor mio, avevo sperato che almeno lui facesse capolino dall'altra parte della strada. Il paese era piccolo, e tutti o quasi sapevano quando una dellemonachelle, così venivamo chiamate, lasciava il collegio. Ma, a quanto pareva, anch'egli mi aveva ignorato. Pazienza, in fondo non mi disturbava affatto essere sola a intraprendere la mia nuova avventura, la mia nuova vita.

Confortata da quelle considerazioni, decisi che non sarei passata da casa, e al diavolo le inevitabili sfuriate di mio padre, in fondo ero maggiorenne! Nello zaino, custodivo il biglietto del treno che mi avrebbe portato in una sconosciuta cittadina del Piemonte, laddove vivevano i miei zii e per la quale avrei abbandonato la mia amata Basilicata. Quasi a volermi rassicurare, mi sedetti su una panchina e lo aprii. La prima cosa che le mie mani toccarono fu il dorso di un libro, quasi mi ero scordata di averlo messo dentro. L'avevo preso in prestito dalla biblioteca del collegio e non l'avevo più restituito, affascinata e mai stanca di rileggerlo. “L'amore riconquistato” mi aveva catturata sin dalle prime righe, riuscendo a farmi immergere in un mondo simile al mio anche se innegabilmente diverso. La trama è di una semplicità che ancora adesso riesce a stupirmi, e narra la storia di una giovane donna che, dopo un lungo periodo trascorso in carcere, ritrova la libertà e l'amore. Ma, per quanto si sarebbe portati a pensare, non si tratta dell'amore verso un uomo, bensì verso ciò che di bello ci ha donato il mondo, la natura, la voglia di vivere. Quante analogie con la mia di storia, quante similitudini, eppure la mia finestra non aveva sbarre, o forse c'erano sempre state e mi rifiutavo di vederle? Agata, con la sua storia, mi aveva donato quella forza che non avevo mai avuto, quella risolutezza che non avevo mai saputo di possedere, mi aveva ridato fiducia.

Con un sorriso sulle labbra, riposi il libro e m'incamminai verso la stazione. Tra poche ore sarebbe iniziata una nuova avventura, ignota e irta di ostacoli certo, ma che avrei affrontato con la stessa determinazione che Agata aveva dimostrato una volta uscita dall'inferno. Il collegio era ormai una macchia indistinta quando, istintivamente, mi voltai un'ultima volta e alzai un braccio in segno di saluto.

Mai più prigioniera” mormorai a fil di labbra. 

Danio e Laura

 
 
 

L'amore in un libro: Parte prima.

Post n°1147 pubblicato il 16 Marzo 2016 da lascrivana

Era fine febbraio, e i primi fiori avevano già ricoperto gran parte dei prati. Come sempre, i primi ad annunciare la fine dell’inverno erano i narcisi, li ho sempre amati. Nonostante il freddo, spuntavano in gran quantità tanto da fuoriuscire persino dai bordi delle strade. Ed era tanta la gente di città che, trovandosi di passaggio, si fermava a raccoglierli. Ho sempre adorato osservare la metamorfosi che avviene in questo periodo dell'anno, mi rilassa e infonde pace. Ricordo che passavo ore dietro ai vetri della mia camera, con la punta del naso infreddolita, e lo sguardo affascinato che si perdeva tra le verdeggianti colline che spiccavano maestose nel cielo azzurro. Ero felice perché presto, quando le giornate si sarebbero allungate, avrei potuto di nuovo saltellare nei prati a rincorrere farfalle e grilli, amavo l'esplodere maestoso della natura.

 

L’assordante trillo della campanella, posta in alto sopra la porta, mi riportò bruscamente alla triste realtà. Colline e narcisi scomparvero di colpo, sostituiti dal vetro crepato e sporco della finestra del collegio. Al di la di essa, solo mura scrostate e il fumo della vicina fabbrica di gomma che, nelle giornate ventose, invadeva l'intero edificio accompagnato da una puzza nauseabonda e acre. Controvoglia, sollevai le coperte e scesi dal letto ansiosa di correre in bagno, una vera e propria impresa se arrivavi in ritardo. Con l'asciugamano ben stretto tra le mani, lo raggiunsi in tutta fretta e spalancai la porta quasi con impeto. Sorrisi, ancora una volta ero stata tra le prime e il piccolo locale, piastrellato dal pavimento sino al soffitto, era semi deserto. Mettendomi davanti a uno specchio, osservai le efelidi che costellavano da sempre il mio viso minuto, quindi iniziai le mie abluzioni mattutine. Ma, oggi, si trattava di un giorno diverso, un giorno bellissimo e agognato da tempo. L'indomani infatti, avrei compiuto il mio diciottesimo anno d'età, e le porte del collegio si sarebbero finalmente spalancate.

 

-E così domani te ne vai, mi dispiace, mi mancherai tanto-

Trasalendo alzai la testa e, attraverso lo specchio, potei osservare il volto triste e bellissimo di Chiara, la mia migliore amica. Le stupende iridi azzurre faticavano a trattenere le lacrime, mentre il labbro inferiore tremava leggermente. Cercando di non mostrare la mia emozione, mi voltai e l'avvolsi in un caloroso abbraccio.

-Dai che è già difficile per me, non fare così. E poi a te manca solo un anno, siamo nate nello stesso giorno, ricordi?-

Lei tentò un timido sorriso, quindi affondò il viso nella mia spalla e iniziò a singhiozzare. La lasciai fare per qualche istante, ma il bagno andava riempiendosi rapidamente, e le ragazzine più giovani ci indicavano con sorrisetti maliziosi, la scostai.

-Dai, andiamo a fare colazione, oggi offro io- dissi cercando di farla ridere.

 

In refettorio Chiara si riprese un poco, e io tirai un sospiro di sollievo.

-E Paolo, come farai con lui?- mi chiese con voce ancora rotta.

Già, Paolo. Lo conobbi appena ebbi compiuto i quindici anni e, da allora, è stato un vero incubo per me. Certo, ero in un'età in cui iniziavo a guardare i ragazzi, ma ancora non pensavo seriamente all'amore e a una relazione. Al contrario, lui sembrava veramente innamorato di me, e non perdeva occasione per farlo sapere a tutti, anche a costo di rendersi ridicolo. Sorrisi ripensando a quella volta che, dalla piazza del paese, mi rincorse sino al collegio solo per darmi un bacio, e lo ricordai anche a Chiara, che rise di gusto.

-Me la rammento bene la scena. Tu che correvi nel corridoio e lui dietro, e le suore urlanti alle sue calcagna, Dio quanto ho riso quella volta!- disse finalmente rasserenata.

-Io non mi muovo da qui se Virginia non mi da un bacio, strillava...- proseguii io.

-E le suore che lo rimproveravano perché era un maschio, non poteva entrare in un collegio femminile!-terminò Chiara. In seguito, venni a sapere che si era messo con una ragazza del paese, meglio così, pensai all'inizio. Però mi mancarono ben presto le sue attenzioni, e solo in quei momenti capivo quanto fosse stato importante per me.

-Va bene, dai. Godiamoci questa giornata e lasciamo da parte i ricordi- dissi alzandomi.

Chiara annuì e fece altrettanto, sembrava rincuorata anche se sapevo che non era così.

-Ascolta, Chiara...- le sussurrai prima di uscire dal refettorio.

-Un anno può sembrare lungo, ma passerà in fretta. Quando uscirai, io sarò qua ad aspettarti, è una promessa-

Lei mi guardò e gli occhi le si riempirono ancora di lacrime, ma questa volta tenne duro.

-Ma ti trasferisci al nord, tu me l'hai detto- rispose imbronciata.

-Ed è così. Conosci mio padre, sai quanto è geloso e di vecchio stampo. Mi manda dagli zii e mi ha iscritto all'università, pensa in questo modo che io possa restare lontana dalle tentazioni- ridemmo entrambe.

-Ma quando uscirai io ci sarò, contaci-

Chiara mi abbracciò e mi strinse forte.

-Lo so'-

Danio e Laura

 
 
 

Il vecchio mulino:fine

Post n°1146 pubblicato il 14 Marzo 2016 da lascrivana

Lo sparo rimbombò cupo tra quelle quattro mura. Portandosi una mano alla spalla, l'uomo ruzzolò al suolo contorcendosi dal dolore. Impietrita, Giada arretrò sino al punto in cui era disteso Louis, e gli si accucciò accanto.

-Dario...- riuscì solo a mormorare.

Il figlio del commissario fece qualche passo in avanti, quindi puntò l'arma contro l'uomo steso a terra.

-Non so' come tu abbia fatto a fuggire da quel posto, ma hai commesso un grosso sbaglio a tornare, e adesso ne pagherai le conseguenze-

-No!- questa volta, la voce uscì squillante dalla bocca di Giada.

-Non farlo, Dario, è pur sempre tuo...tuo...-

Sul volto del giovane si disegnò un ghigno di disprezzo.

-Mio fratello stavi dicendo? Io non ho più un fratello da quando...quando...- la voce gli si spezzò, mentre la mano che reggeva la rivoltella iniziò a tremare convulsamente.

-Se l'ha perdonato tuo padre, puoi farlo anche tu, non rovinarti la vita-proseguì Giada cercando di rimanere calma.

Dario scosse violentemente la testa.

-Mio padre non l'ha affatto perdonato, ma è pur sempre un poliziotto, io no-disse freddo.

-Ma non sei un assassino...- continuò Giada-...e dobbiamo portare Louis al più presto all'ospedale, ti prego, Dario, non farlo- terminò in tono accorato.

-Ha ammazzato nostra madre, te ne rendi conto!?- proseguì Dario.

-Si è imbottito di droga e l'ha portata in macchina con se, era completamente fuori di testa, e l'ha uccisa!-

La mano si abbassò, mentre le lacrime iniziarono a scendere copiose.

-Non merita di...di vivere...è solo un...un...-

 

-E' solo una persona che ha bisogno d'aiuto-

La voce li fece voltare tutti in contemporanea. Il commissario Dragoni, senza fretta, si avvicinò al figlio minore e gli tolse la rivoltella dalla mano

-Ciò che ha fatto tuo fratello è inqualificabile, ma non permetterò che rovini anche la tua, di vita-

Dario guardò prima lui e poi la ragazza, confuso.

-Scommetto che ti stai chiedendo come ho fatto a rintracciarti, vero?-

Inebetito e confuso, Dario annuì quasi meccanicamente.

-La cassetta in legno, e il flacone di pasticche che ho trovato sotto il tuo letto. Hai sempre detto che, una volta ti fossi trovato faccia a faccia con Paolo, gliele avresti fatti ingoiare una ad una, non l'ho mai scordato. Non capisco come tu abbia saputo nasconderle così bene ma stasera, forse nella fretta, le hai lasciate li, e io le ho trovate-

Paolo, nel frattempo, sembrava soffrire sempre di più.

-Commissario! Dobbiamo portarli all'ospedale, stanno perdendo molto sangue!-intervenne Giada indicando prima Louis e poi Paolo.

-Per le spiegazioni ci sarà tempo dopo, la prego!-

 

 

Una settimana più tardi, Giada varcò la soglia della questura.

-Come sta Louis?- chiese il commissario una volta che fu introdotta nel proprio ufficio.

-Molto meglio, grazie. Le ferite erano superficiali, e non ci sarà bisogno di nessuna operazione-

Dragoni annuì, quindi si sistemò meglio sulla poltroncina.

-Anche Filomena sta meglio. L'abbiamo trovata in un casolare che mio figlio, senza che nessuno ne sapesse nulla, aveva attrezzato come abitazione-

In quelle poche parole, Giada percepì amarezza e disappunto, era quasi dispiaciuta per lui.

-Ho dato le dimissioni dalla polizia...- proseguì il commissario-...credo che fosse la cosa migliore da fare, dopo ciò che è accaduto-

La ragazza avrebbe voluto consolarlo. Che non era sua responsabilità se il figlio drogato era fuggito dalla comunità in cui era stato rinchiuso e fosse tornato. Ma fu lo stesso Dragoni a dar voce a quei pensieri.

-Paolo, oltre che drogato, è anche un maniaco sessuale, e tu ne hai avuto ampia dimostrazione. Sono mortificato per ciò che hai dovuto subire, mi dispiace-

Giada si alzò e, dopo aver aggirato la scrivania, gli poggiò una mano sulla spalla.

-Cosa ne sarà di Dario? In fondo ha sparato a suo fratello-

Dragoni sorrise a quel contatto.

-Sono stato io a sparare, e confido sulla discrezione tua e di Louis-

Giada affondò ancor di più la mano nella sua spalla.

-Ci conti, signor commissario e, a proposito, io e Louis abbiamo deciso di sposarci. Oltre a Filomena, sarei molto lieto che lei mi facesse da testimone, non ammetto un rifiuto-

 
 
 

Il vecchio mulino: quattordicesima parte

Post n°1145 pubblicato il 10 Marzo 2016 da lascrivana

Louis procedeva con cautela, era quasi certo che quel pazzo non si trovasse alla fattoria abbandonata, ma lungo la strada. Nonostante questo, e le prolungate insistenze, Giada non aveva voluto sentir ragioni e aveva voluto precederlo.

Se si accorge della tua presenza non si farà mai vedere, e Filomena potrebbe fare una brutta fine” gli aveva detto prima di uscire.

Il sentiero, nonostante la luna piena, era buio e irto di ostacoli, doveva avanzare con attenzione. Quando giunse al bivio che portava alla fattoria si fermò un istante. Da quel punto in poi, ogni metro e ogni passo avrebbero potuto nascondere un potenziale pericolo, e il fucile che aveva celato sotto l'ampio giaccone non rappresentava certo una sicurezza assoluta.

 

 

Giada era letteralmente terrorizzata. Le gambe si muovevano da sole sul terreno accidentato, mentre il freddo le aveva intorpidito tutti i muscoli del corpo.

Ormai era a pochi passi dalla fattoria e, sempre grazie alla luna, ne poteva già intravedere la forma scura e minacciosa. Quando raggiunse le prime rovine si fermò, indecisa sul da farsi, quindi entrò in quella selva di cespugli e pietre.

 

 

Un rumore, alla propria destra, lo fece voltare di scatto. Imbracciando il fucile, Louis si piegò sulle ginocchia e rimase in attesa scrutando nel buio. A qualche metro di distanza, alcuni cespugli si mossero impercettibilmente, si mise in posizione e puntò l'arma in quella direzione.

Non riuscì a fare fuoco.

Il colpo lo prese proprio dietro la nuca e il cielo, improvvisamente, esplose in una miriade di puntini rossastri. Prima di cadere privo di sensi, ebbe il modo di scorgere il volto di colui che l'aveva colpito, ghignava.

Ciao, Louis”

Poi, le ombre, lo ghermirono.

 

Giada avanzò facendo attenzione a dove metteva i piedi. Alcune pareti erano ancora integre per cui, per vederci meglio, accese la torcia e la puntò dinanzi a se. Un grosso ratto, velocissimo, gli sfiorò la caviglia facendola sobbalzare e urlare, temette di svenire. Con i nervi a fior di pelle, puntò il fascio di luce tutt'intorno e prese fiato.

-Chiunque tu sia, falla finita e vieni fuori! Ho mantenuto la promessa e sono sola, cosa vuoi ancora?!-

Le sue parole si persero tra i cumuli di macerie e la sporcizia, mentre le lacrime iniziarono a rigarle il viso.

 

L'uomo la sentì urlare nel momento stesso che giunse alla fattoria. Era senza fiato e le braccia gli tremavano, ciononostante sorrise soddisfatto. L'idea di trasportare Louis sopra una carriola era stata eccellente, nessun rumore e poche possibilità di essere notato, ma quel maledetto pesava più di un bufalo!

Senza troppi complimenti, ribaltò il corpo nella parte più lontana della fattoria, quindi si preparò al gran finale.

 

Sempre più spaventata, Giada fece ancora qualche passo verso l'interno della fattoria. Puntando la torcia come un'arma, oltrepassò quella che un tempo era stata una porta e li si fermò, il cuore a pompare all'impazzata. Sagoma tra le sagome, sullo sfondo di una parete rimasta miracolosamente intatta, una figura si stagliava in tutto il suo orrore.

-Chi...chi...sei?- ebbe la forza di dire.

Non ottenendo risposta, prese coraggio e avanzò ancora.

-Louis!- si sentì urlare con una voce che non riconobbe come propria.

Appoggiato alla parete, Louis alzò appena la testa e la guardò. Il volto, attraversato da numerosi tagli, era un'autentica maschera di sangue.

-Sc...scappa...- riuscì a sussurrare ma, proprio nello stesso istante, un uomo le si parò davanti. Sembrava essere sbucato dal nulla, un autentico fantasma. Alto e dal fisico atletico, teneva un grosso coltello nella mano destra e indossava lo stesso abito del giorno in cui l'aggredì.

-Te l'avevo promesso, ricordi?- disse con un tono di voce che non ammetteva repliche.

Giada rabbrividì. La voce era la stessa, così come gli indumenti, ma il volto, gli occhi azzurri, i capelli.

-So' cosa stai pensando...- proseguì l'uomo.

-Ma bastano un po' di tinta, lenti a contatto colorate, e il gioco è fatto- terminò avvicinandosi ancor di più.

Giada inorridì!

-Ma...ma tu sei...sei...-

Danio
 
 
 

Stupiscimi

Post n°1144 pubblicato il 09 Marzo 2016 da lascrivana

Sorprendi, con parole che decantano la bellezza del tuo amore

Stupisci, con gesti che modellano i tuoi reali sentimenti

Proteggi, dalle stupide paranoie, e da chi fa di tutto per accrescerle

Coccola, quando la struggente malinconia appanna gli occhi

Circonda, con le tue braccia forti e il tuo torace possente

Svela tutti gli arcani e le bugie che mirano ad allontanare

Esprimiti con le azioni e i pensieri che fanno sentire speciale

Non arrenderti quando le parole ti feriscono

Combatti contro l’indole autodistruttiva

Comprendi, anche quando quello che dice non ti piace

Cogli il senso dietro le frasi fatte

E soprattutto ama, anche quando la pelle diventa rugosa e cadente

Ricorda, che lo spirito non invecchia; al contrario, con l’età si arricchisce di una luce nuova.

 

Laura

(Dedicato a chi il 9 marzo vuole sentir parlare d'amore)

 
 
 

Amore immenso

Post n°1143 pubblicato il 08 Marzo 2016 da lascrivana

Sfiorai la sua anima

Come un gabbiano lambisce le onde spumose

Mi librai in volo

Lasciando che il vento asciugasse

le piume bagnate

Impavida

ridiscesi a picco sul mare in tumulto

danzando sulla battigia schiumeggiante

prestando attenzione

affinché la tempesta

non mi risucchiasse

nella sua spirale senza ritorno

Mi appollaiai al sole

in attesa che la sua ira si placasse

Quando tutto fu zittito

ritornai a solleticare lo spirito inquieto

Lasciando che la fresca brezza marina

accarezzasse dolcemente

 le morbide piume

Chiusi gli occhi …

Aspirai l’odore salmastro emanato

dall’immensa distesa azzurra

che delineandosi all’orizzonte

si congiungeva con l’infinito del cielo

Mi specchiai nelle sue acque limpide

Sbirciando tra le righe d’ombra

scoprii la meraviglia degli abissi

Intrepida spiccai in volo

Caracollando in alto nel cielo

potei abbracciare con lo sguardo

 

la maestosità dell’oceano

Laura

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: lascrivana
Data di creazione: 19/09/2010
 
 

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