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poesie prose e testi di L@ur@

 

UN PASSO INDIETRO PER FARNE UNO AVANTI.

Per chi volesse leggere la storia"Un passo indietro per farne uno avanti" sin dalle prime pagine;basta cliccare sui link.

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UN PASSO INDIETRO PER FARNE UNO AVANTI.

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Messaggi di Aprile 2016

L'amore in un libro: parte quattordicesima.

Post n°1162 pubblicato il 27 Aprile 2016 da lascrivana

Trascorse ancora una settimana, dopodiché il dottor Morandi decise che potevo iniziare la fisioterapia. In quel lasso di tempo, Agata non smise mai di farmi compagnia, ma lo faceva solamente quando rimanevo sola, e questo mi fece pensare. Era come se non volesse mostrarsi, così come gli altri continuavano a fingere di non vederla. Eppure lei era li, era reale ed io potevo toccarla, annusare il suo profumo. E poi c'era Peter. Mi veniva a trovare spesso, ma sin da subito avevo notato qualcosa di strano in lui. Era preoccupato, questo non posso negarlo, ma era come se si volesse allontanare lentamente, quasi in punta di piedi.

Naturalmente la tua stanza c'è sempre...” mi disse un giorno “Mamma è preoccupata, mi chiede sempre di te”

Come potevo dirgli che forse non avrei più camminato, che non avevano certo bisogno di un invalida in casa. Così sorridevo e annuivo, finché le sue visite si diradarono.

La mattina del primo giorno di terapie, mi svegliai con un peso sullo stomaco e un forte mal di testa. Subito mi guardai attorno, ma di Agata non c'era traccia. La cosa non mi piacque nemmeno un po', ma feci finta di nulla e rimasi in attesa. Dopo una mezz'ora, la porta si aprì e l'infermiera, accompagnata dal dottor Morandi, fecero il loro ingresso con un bel sorriso stampato sul volto.

-Buongiorno, Virginia, finalmente il gran giorno è arrivato, non sei felice?-

L'entusiasmo di Cristina non mi sfiorò minimamente. Ero angustiata per l'assenza di Agata, non poteva mancare, non quel giorno.

-Capisco le tue preoccupazioni, ma posso assicurarti che i nostri fisioterapisti sono molto in gamba, ti troverai bene- aggiunse il dottor Morandi.

-Non voglio fare nessuna fisioterapia, voglio andare a casa-

Le parole mi erano uscite di bocca senza nemmeno pensarci, così come il sorriso era scomparso dai loro volti.

-Ascolta, Virginia...- disse il dottor Morandi.

-Non voglio ascoltare nulla!- urlai.

-Voglio solo andare a casa, e voi non potete impedirmelo!-

I due si scambiarono un'occhiata, quindi il medico si avvicinò al letto.

-Tecnicamente sei guarita, se così la vogliamo mettere. Il trauma cranico è solo un ricordo, così come le altre ammaccature, ma resta il problema alle gambe, ne abbiamo parlato a lungo-

In fondo mi fece tenerezza, era un bravo medico e voleva solo il mio bene, ma io volevo andare a casa.

Dottore, non ho nessuna intenzione di fare alcuna terapia, mi dica dove devo firmare e basta-

 

 

Mi svegliai di colpo, gli occhi spalancati. Non sapevo dov'ero, se fosse giorno o notte, il nulla assoluto.

Fu il cigolio della porta a riportarmi alla realtà, dove l'avevo già sentito?

-Tesoro, cominciavo a preoccuparmi, come ti senti?-

La figura di mia madre si stagliò a fianco del letto, solo allora realizzai. Dopo il mio rifiuto verso le terapie, un'ambulanza aveva affrontato il lungo viaggio verso il luogo da cui ero partita, ero di nuovo a casa.

-Vedrai che andrà tutto bene, il professor Ferrazzi arriverà tra poco, è un luminare per ciò che riguarda le lesioni alla colonna vertebrale- proseguì sedendosi accanto al letto.

Perfetto. Il tatto di mia madre era davvero proverbiale.

-Mamma, resterò paralizzata, per sempre- dissi con estrema calma.

-Non dire sciocchezze! Tornerai come prima anzi, meglio di prima!-

Erano solo un paio di giorni che mi trovavo a casa, ma la finta empatia di colei che mi aveva messo al mondo mi dava fastidio.

-Sai bene che non è così!- m'inalberai

-E non scomodare il tuo luminare, non ne ho bisogno!-

Descrivere la sua espressione mi riuscirebbe difficile. Alzandosi mi guardò, fredda e determinata.

-Sei solo una sciocca. Il professor Ferrazzi è oberato dagli impegni, e solo grazie a tuo padre ha deciso di visitarti!-

Già, mio padre.

-Solo grazie ai soldi di mio padre, vorrai dire. Dov'è adesso, perché non è qua a confortarmi, sono forse meno importante dei suoi affari?-

Il volto di mia madre si fece di pietra. Avvicinandosi alla porta, l'aprì e si voltò, prima di richiuderla.

-Dovresti vergognarti per queste parole, ma forse sei ancora scossa per ciò che ti è accaduto, riposati adesso-

Rimasta sola, affondai la testa nel cuscino e piansi lacrime che non pensavo ancora d'avere.

-Non giudicarli male, sono fatti così, ma ti vogliono bene-

La riconobbi subito...Agata.

Girandomi sulla schiena, la vidi seduta in fondo al letto, sorrideva.

-Perché ci hai messo tanto...- ebbi solo la forza di dire.

Laura

 
 
 

L'amore in un libro: parte tredicesima.

Post n°1161 pubblicato il 24 Aprile 2016 da lascrivana

-L'intervento è riuscito, ma solo tra qualche tempo sapremo con certezza se ha perso del tutto l'uso delle gambe-

Suo malgrado, l'infermiera non poté evitare di portarsi le mani alla bocca.

-Così giovane- riuscì solo a dire. Nonostante l'esperienza maturata in anni di terapia intensiva, le parole del dottor Morandi l'avevano sconvolta. Il chirurgo allargò le braccia, sembrava abbastanza ottimista dopo tutto.

-Purtroppo la lesione alla spina dorsale si è rivelata molto grave, ma confido sulla giovane età e la voglia di vivere, a volte ho visto veri e propri miracoli-

L'infermiera parve parzialmente rincuorata da quelle parole.

-Sono appena stata da lei, era ancora sotto l'effetto dell'anestesia e l'ho lasciata riposare, penso sia meglio andare a darle un'occhiata-

 

Quando medico e infermiera entrarono nella stanza, Virginia li guardò come se avesse appena visto dei fantasmi. Pallida e sudata, cercò di mettersi a sedere con l'aiuto delle braccia.

-Cos'è successo alle mie gambe? Perché non riesco a muoverle? Resterò paralizzata, non è vero?- urlò istericamente. Un fuoco di fila di domande che sconcertò sopratutto il giovane medico.

-Ma non era ancora sotto l'effetto dell'anestesia?- riuscì a dire prima che l'infermiera, riavutasi da quella sorta d'aggressione verbale, corse al suo capezzale.

-Calmati, cara, calmati- le sussurrò con tono gentile mentre prendeva una pillola dalla tasca del camice.

-Gemma, ti prego, dimmelo tu, resterò paralizzata vero?-

Nel frattempo, anche il dottor Morandi si era avvicinato, sembrava perplesso.

-Gemma?- disse guardando l'infermiera.

Aiutandola con un braccio, quest'ultima le sollevò la nuca e le infilò la pillola in bocca.

-Adesso bevi e stai tranquilla, è tutto a posto-disse avvicinandole un bicchiere di plastica alle labbra.

Virginia mandò giù una sorsata d'acqua, quindi fissò il cartellino appeso al camice dell'infermiera.

-Cristina? Ma io ho parlato con Gemma poco fa...tu sei Gemma!-

Medico e infermiera si scambiarono un'occhiata, quindi il chirurgo cercò di prendere in mano la situazione.

-Ascolta, Virginia. Hai avuto un brutto incidente e sei appena uscita dalla sala operatoria...-

La giovane sgranò gli occhi, dove aveva già sentito quelle parole?

-...e solo tra diversi giorni sapremo con esattezza l'entità del danno- stava dicendo Morandi.

-Agata!- esclamò di colpo.

-Dov'è Agata? Te ne ho parlato prima...- ignorando il medico e rivolgendosi nuovamente all'infermiera -...così come ti ho chiesto dei miei zii....Gemma!-

Accarezzandole un braccio, Cristina continuò rivolgersi a lei con estrema calma.

-Ti sei appena svegliata dall'anestesia, Virginia. E' la prima volta che parliamo da quando sei stata operata, hai solo sognato, è assolutamente normale-

Virginia aprì la bocca per dire qualcosa, quindi scosse la testa con violenza, col solo risultato di aumentare a dismisura le fitte di dolore.

-No! Agata era qua con me e abbiamo parlato, così come ho fatto con te...non sono pazza!-

Provata da quello sforzo, si lasciò quindi andare sul cuscino per poi scoppiare in un pianto irrefrenabile.

-Le somministri un calmante, tornerò a vederla più tardi- intervenne Morandi con decisione.

 

Dopo pochi istanti, Virginia si sentì pervadere da un piacevole benessere. Il dolore sparì quasi del tutto, mentre le palpebre faticavano sempre più a rimanere aperte.

Agata...Gemma...Cristina...”

Quei nomi le rimbombarono a lungo nel cervello, accavallandosi uno sull'altro così come il volto severo del dottor...oddio....non se lo ricordava proprio...

-E' un bravo chirurgo, e ha fatto di tutto per salvarti le gambe, non devi avercela con lui-

Pur nel torpore, riconobbe subito la voce.

-Agata...-

-Si, cara, sono qui. Ti ho detto che non ti avrei lasciata sola, ma adesso devi riposare, ed io veglierò su di te-

Pur non riuscendo a scorgerne la figura, Virginia sentì le dita di Agata intrecciarsi con le proprie.

-Devi solo avere pazienza. Una volta a casa sarà tutto diverso, te lo prometto-

Virginia avrebbe voluto parlarle, chiederle chi fosse, perché somigliasse tanto alla protagonista del suo libro preferito. Ma la sonnolenza stava per avere la meglio e, chiudendo gli occhi, strinse ancor di più la mano della donna che aveva al fianco.

Danio e Laura

 
 
 

L'amore in un libro: parte dodicesima.

Post n°1160 pubblicato il 20 Aprile 2016 da lascrivana

Il buio andava attenuandosi, aprii gli occhi ma li richiusi immediatamente. Il mal di testa era terribile, sembrava voler trapanarmi il cervello, e qualsiasi altro movimento mi procurava fitte atroci in tutto il corpo. L'odore di disinfettante, tipico delle stanze d'ospedale, mi penetrò nelle narici e contribuì a farmi ricordare ciò che era accaduto. La telefonata di mio padre, la mancia al cameriere, lo stridio dei freni e il volo lungo la strada trafficata.


-Ciao, Virginia, come ti senti?-

La voce proveniva dalla mia destra. Con cautela, voltai il collo in quella direzione e socchiusi nuovamente gli occhi. Mi apparve una sagoma indistinta e biancastra, era come se cercassi di vedere attraverso uno spesso strato di gelatina.

-Non affannarti a parlare, sei ancora troppo debole. Basta un cenno con gli occhi, una volta per dire si, due per il no, va bene?-

Era la voce di una donna, calma e rassicurante, sbattei una volta le ciglia e rimasi in attesa.

-Hai avuto un brutto incidente, Virginia. Ma, per tua fortuna, io ero li, sono sempre stata li. Non ti ho mai abbandonata, e ho fatto in modo che i soccorsi arrivassero in fretta-

Le mie ciglia si abbassarono una volta, poi due.

Si... no...non capisco” Avrei voluto parlare, ma le mie labbra sembravano incollate, ero spaventata.

-Stai tranquilla, Virginia, ci sarà tempo e modo per le spiegazioni...- proseguì la voce -...ora devi riposare, ma io sono qua e veglierò su di te, ci vediamo più tardi-

La sagoma si allontanò, cercai di alzare un braccio ma sembrava fatto di marmo, udii la porta aprirsi.

-Chi...chi...sei...- riuscii a dire.

Lo sforzo mi procurò altre fitte, irrigidii i muscoli.

Con la mano già sulla maniglia, la donna si voltò e mi sorrise.

-Strano che tu me lo chieda. Sono Agata, e mi conosci molto bene-

 

Ero di nuovo sola, e avevo paura.

Agata.

Nonostante mi sforzassi, non riuscivo a ricordare di conoscere qualcuna con quel nome. O forse si? Forse che la botta subita mi avesse danneggiato anche il cervello? Quasi a volerne una conferma, con una mano mi tastai la parte superiore della testa. Le mie dita sfiorarono le bende e, immediatamente, ricordai l'impatto col vetro dell'automobile, lo scoppio del airbag, le urla dell'uomo alla guida.

-Ci vorrà un po' di tempo, per fortuna la testa è quella che ha subito meno danni-

Non avevo sentito aprirsi nuovamente la porta, così come non avevo visto entrare la giovane infermiera. Sorridendo, mi porse una pasticca e un bicchierino di plastica con un po' d'acqua.

-E' per il dolore, come ti senti?- proseguì Gemma, così c'era scritto sul cartellino appuntato al petto.

Non senza fatica, riuscii ad elaborare una frase sensata.

-Poco fa ho ricevuto una visita. Una giovane donna, magra e non molto alta, ma avevo ancora la vista annebbiata-

Il sorriso, sul volto dell'infermiera, fu sostituito da un'espressione stupita.

-Non spaventarti, ma probabilmente eri ancora sotto l'effetto dell'anestesia, e hai solamente sognato questa donna-

Scossi la testa con energia, procurandomi così altre fitte.

-No, non ho affatto sognato. Lei era qui e mi ha parlato, mi ha detto persino il suo nome: Agata!-

Poggiandomi una mano sul braccio, Gemma sfoderò di nuovo il sorriso.

-E' impossibile, Virginia. Ti trovi in terapia intensiva, e in questo reparto vigono regole severe. Solo i parenti più stretti, col permesso del primario, possono far visita ai degenti. Nessuno ti ha fatto visita, tranquillizzati-

Avrei voluto replicare, urlarle in faccia che Agata c'era, esisteva. Ma capii che sarebbe stata fatica sprecata, così cambiai discorso.

-A proposito di parenti. Ho degli zii e un cugino in questa città, sono stati avvertiti?-

L'infermiera, stavolta, sembrava imbarazzata.

-Non ne ho idea, dovrebbe essere compito della polizia per ciò che ne so'. Comunque, sino a questo momento, non si è presentato nessuno, mi dispiace-

A me nemmeno un po', ciononostante esibii un'espressione corrucciata.

-Non ricordo l'indirizzo degli zii, mi trovo da poco in città-

-Non preoccuparti, l'incidente è avvenuto ieri pomeriggio e sei stata tre ore sotto i ferri. Probabilmente i tuoi zii stanno per arrivare, ne sono certa-

Allontanandosi dal letto, si avviò verso la porta.

-Adesso ti lascio riposare, tra poco arriverà il medico che ti ha operato, tornerò assieme a lui-

 

Rimasta ancora una volta sola, cercai di mettermi più comoda, Che stupida, avrei potuto chiederlo all'infermiera, ma la storia di Agata aveva scombussolato tutto. Mi sentivo a terra, ero confusa ma assolutamente convinta che non si fosse trattato di un sogno.

Agata esisteva, così come era esistita nel romanzo che...

Mi irrigidii di colpo.

No, non era possibile, non poteva essere lei!

Colta da una frenesia improvvisa, scostai le coperte e cercai di mettermi seduta. La mia intenzione era di arrivare all'armadietto,la dove, sicuramente, avrebbe dovuto esserci il mio zaino e, all'interno di esso, il libro.

E qui inorridii.

Le mie gambe, nonostante l'ordine del cervello, si rifiutarono d'obbedire.

Danio e Laura

 
 
 

L'amore in un libro: parte undicesima

Post n°1159 pubblicato il 17 Aprile 2016 da lascrivana

La madre di Peter si trovava in cucina quando, una mezz'ora più tardi, mi apprestai a uscire. Seduta a capotavola, sembrava concentratissima sul giornale che aveva dinanzi.

-Buongiorno, signora, le chiedo scusa per la colazione, ma ero veramente esausta. Ora esco, ho molte cose da fare- dissi tutto d'un fiato. Ignoravo se Peter le avesse parlato della mia intenzione di cercare lavoro, ma non mi sentivo in vena di approfondire.

-Mio figlio solitamente non torna per il pranzo, tu cos'hai intenzione di fare?- rispose senza degnarsi di alzare la testa.

-Non si preoccupi, mi arrangerò con qualcosa in giro, ci vediamo stasera-

Non appena mi richiusi la porta alle spalle, inspirai avidamente l'aria fresca del mattino. Mezza giornata in quella casa aveva già messo a dura prova i miei nervi, cosa dovevo aspettarmi ancora? Ero decisamente pentita di aver accettato l'offerta di Peter, ma cosa avrei potuto fare? Mio cugino mi faceva paura, e la chiara ostilità di mio zio non aveva fatto altro che accelerare la mia decisione. E Peter mi piaceva, maledizione!

 

Girovagai tutta la mattina senza alcun esito e verso mezzogiorno, esausta, mi accomodai al tavolino di un bar, in pieno centro. La città sembrava un brulicare di anime impazzite, mi girava la testa. Strombazzate di clacson continue, frenate improvvise, urla e insulti, tutto il contrario dal luogo da cui provenivo.

-Desidera?-

Un anziano cameriere, leggermente curvo su se stesso ma dal sorriso smagliante, si era di colpo materializzato al mio fianco. Non avevo assolutamente fame, ciononostante ordinai un toast e un'aranciata, giusto per non svenire. E avevo appena dato il primo morso quando, facendomi sobbalzare, la suoneria del cellulare mi avvisò dell'arrivo di una chiamata.

“Papà cell.” ecco, era arrivata. Non che non me l'aspettassi, ma avevo sperato che potesse giungere il più tardi possibile.

Potrei benissimo descrivere gli insulti e le minacce che mi piombarono addosso, ma non lo farò. L'unica cosa che mi sento di dire è che ascoltai tutto senza fiatare, quindi chiusi la comunicazione e spensi il telefono. Mi sentii sin da subito più leggera, persino i rumori del traffico si trasformarono in musica celestiale. Ripresi il toast e lo divorai in un baleno, bevvi la mia aranciata e diedi una lauta mancia al cameriere che, sorpreso, si profuse in un elegante inchino. Non che potessi permettermelo, ma aver sbattuto in faccia il telefono a mio padre mi aveva galvanizzata. Improvvisamente mi sentii fresca e riposata, pronta ad affrontare il pomeriggio con rinnovata energia. Un istante dopo mi alzai e salutai il cameriere, quindi attraversai la strada senza nemmeno guardare.

Non udii il rombo del motore, ne il clacson che suonava più e più volte, come fosse impazzito. Ma l'impatto si, eccome se lo sentii. Le mie gambe furono sollevate come fuscelli, un dolore fortissimo mi percorse la spina dorsale mentre la nuca, a mo' di ariete, sfondò il vetro anteriore come fosse burro. Non persi subito i sensi, o almeno lo credo. Riuscii ancora a sentire, per qualche istante, la voce disperata dell'autista e lo scoppio del airbag, poi il buio ebbe il sopravvento.

Danio e Laura

 
 
 

L'amore in un libro: parte decima.

Post n°1158 pubblicato il 13 Aprile 2016 da lascrivana

Fu l'acqua che si era ormai raffreddata a svegliarmi. Non mi era mai capitato di addormentarmi durante il bagno, probabilmente tutte quelle emozioni mi avevano sfinito. Percorsa da violenti brividi, uscii dalla vasca e indossai l'accappatoio di Peter, che mi stava decisamente largo, quindi corsi in camera mia e chiusi la porta a chiave. Non avevo la benché minima voglia di vestirmi, tanto meno di vedere ne lui ne sua madre. Mi gettai sul letto e afferrai il libro dal comodino. Forse, un po' di buona lettura avrebbe contribuito a rilassarmi.

 

[-Tuo marito è una brava persona, Sofia, e forse avrei fatto la stessa cosa-

Agata si voltò di scatto. La guardia carceraria era li, di fronte a loro.

-Ciao, Marco. Lo so, ma i giudici hanno deciso diversamente, purtroppo- rispose la donna con un sorriso mesto, per poi rivolgersi ad Agata.

-Lui è Marco, e lavora nel braccio in cui è rinchiuso Vito, e lei è Agata- disse passando lo sguardo da uno all'altra.

-Ci conosciamo già, abbiamo fatto amicizia alla fermata- disse Marco, sembrava divertito.

-Allora, non mi hai ancora detto come si chiama il tuo amico rinchiuso-

Agata si sentì improvvisamente in imbarazzo, mentre sul volto di Sofia apparve un'espressione sorpresa e perplessa.

-Non c'è nessun amico, ti ho mentito-

Calò un lungo istante di silenzio dopo quelle parole, che venne interrotto dallo stesso Marco.

-Sei appena uscita, vero?-

Quella frase cominciava ad innervosire Agata, tuttavia non rispose.

-Sai, l'avevo sospettato sin da subito. Non sono quasi mai entrato nella sezione femminile, salvo un paio di volte e sempre negli uffici, non conosco le detenute- proseguì l'uomo come nulla fosse.

-E non devi sentirti in colpa per aver mentito, è una cosa comprensibile-

Invece di trovar conforto da quelle parole, Agata sentì montare una rabbia troppo a lungo repressa. Ma che ne sapevano loro? Sofia con le sue maniere gentili, ed ora quel Marco che si stava comportando come si conoscessero da sempre. Quando aprì la bocca per ribattere tuttavia, riuscì a mantenere un tono calmo e tranquillo.

-Specialmente dopo aver scontato tre anni per un reato mai commesso- disse semplicemente.

-Dicono tutti così- rispose Marco, per poi pentirsi quasi subito-Scusa, non volevo-

Agata scrutò dal finestrino dell'autobus. Le prime abitazioni erano ormai a poca distanza, e l'aria, la dentro, stava diventando sin troppo pesante.

-Scusate, devo scendere, buona giornata- disse alzandosi, quindi prenotò la fermata.

I due si scambiarono un'occhiata, sembravano delusi.

-Anche a te, buona fortuna- disse Sofia, mentre Marco si limitò a un cenno del capo.

Sola, sul marciapiede, Agata guardò l'autobus allontanarsi velocemente. Più che con loro, era infuriata con se stessa. In fin dei conti avevano solo cercato di essere gentili, mentre lei li aveva liquidati in modo sbrigativo e maleducato. Sopratutto Sofia, una donna che stava vivendo il dramma del marito dopo aver subito per anni le angherie di quel porco del padre. Marco non svolgeva certo un lavoro facile, e dietro quel atteggiamento apparentemente cinico, si celava una brava persona, ne era certa. Inoltre era molto carino, su questo non ci pioveva. Quando l'aveva fissata con quegli occhi nocciola poi, si era sentita percorrere da una piacevole sensazione, ed erano tre anni che non rabbrividiva sotto le carezze di un uomo]

 

Chiusi il libro nel momento stesso che qualcuno bussò alla porta.

-Chi è?- esclamai a voce alta.

-Sono Peter, puoi aprire per favore?-

Non ne avevo nessuna intenzione, specialmente dopo quello che era successo poco prima. Ma ero pur sempre ospite in casa sua quindi, pur di malavoglia, mi alzai e andai ad aprire. Mi ritrovai dinanzi un Peter dall'espressione corrucciata, per non dire arrabbiata.

-Ti aspettavamo per la colazione, e mamma era preoccupata per te, non ti senti bene?- disse asciutto.

-Ho fatto un bagno e non ho fame, comunque scusami con tua madre- ribattei altrettanto freddamente.

-Potevi almeno avvisare, non credi?-

Si, era decisamente arrabbiato, e non aveva tutti i torti in fondo.

-Ho già chiesto scusa, non ti pare? Ed ora, se non ti spiace, vorrei vestirmi-

Lui annuì e si voltò per andarsene ma, non appena accennai a chiudere la porta, tornò indietro e la bloccò con una mano.

-Non devi andare all'università? Se vuoi, possiamo fare la strada insieme- disse in un tono molto più pacato.

-Inizio la prossima settimana, mi sembrava di avertelo detto. Vorrei approfittare di questi giorni per trovare un lavoro, e ho già perso sin troppo tempo-

E un'altra sistemazione” avrei voluto aggiungere, ma qualcosa mi disse che sarebbe stato meglio non esagerare.

-Come vuoi..- sembrava deluso -...ci vediamo stasera-

Finalmente se ne andò, lasciandomi sola a rimuginare su quel rapporto iniziato non proprio nel migliore dei modi. Quasi a voler liberarmi da quei pensieri, scossi la testa e sfilai l'accappatoio. 

Danio e Laura

 
 
 

L'amore in un libro:parte nona

Post n°1157 pubblicato il 11 Aprile 2016 da lascrivana

Con il passare delle ore, la preoccupazione di Lidia crebbe in maniera esponenziale. Virginia sembrava essersi dissolta nel nulla, mentre Antonio diventava sempre più inquieto e insopportabile, anche perché le sue ricerche non avevano portato alcun risultato. Bisognava prendere al più presto una decisione, prima che la situazione degenerasse e fossero costretti a rivolgersi alle autorità. Ma la dubbia reputazione di Eugenio era un grosso ostacolo, avrebbero dovuto pensarci molto bene.

-Accidenti a me! Perché mi sono lasciato coinvolgere in questa storia? Non bastavano i problemi con Eugenio, no, hai voluto fare la buona samaritana anche con tua nipote. E per cosa poi? Per vedercela scappare sotto il naso, bella gratitudine! Ora capisco perché quella scansafatiche di tua sorella e suo marito se ne sono lavati le mani. Prima l’hanno rinchiusa in collegio, e poi l’hanno affibbiata a noi! Sai che ti dico Lidia? Che io me ne sbatto, proprio come hanno fatto loro!- sbraitò zio Antonio sferrando un pugno sul tavolo.

Ammutolita da quella violenta reazione, Lidia non osò spiccicar parola. Se fosse potuta diventare trasparente, in quel momento lo avrebbe fatto di sicuro, odiava quando suo marito le attribuiva la colpa di ogni cosa. Su una cosa però non poteva dargli torto. E cioè che sua sorella se n'era sempre fregata della figlia, impegnata com'era in ricevimenti e salotti più o meno altolocati. Suo cognato poi, non valeva nemmeno la pena di pensarci, sempre in giro per lavoro o presunto tale. In cuor suo, provò una profonda pena per Virginia, per ciò che aveva vissuto e ancora doveva sopportare. Questo pensiero, tuttavia, non bastò a rasserenarla, sua nipote aveva solo diciotto anni, ed era sola, la fuori.

 

 


Trascorsi una notte abbastanza tranquilla a casa di Peter, anzi, a dirla tutta dormii come un ghiro. Al risveglio, mi sentivo terribilmente eccitata e inquieta, finalmente ero libera di prendere qualsiasi decisione da sola. E’ vero che Emilia non si era mostrata per nulla predisposta nei miei confronti, ma non me ne importava più di tanto. In fin dei conti, come avevo detto a Peter, quella sarebbe stata solo una sistemazione momentanea. Quanto prima mi sarei data da fare per cercare un lavoro e, nonostante il suo pessimismo, sentivo di potercela fare. Ero pronta a tutto pur di non ritornare dagli zii o, peggio ancora, dai miei. Dopo aver sbirciato fuori dalla porta della mia camera, ed essermi accertata che il corridoio fosse libero, mi recai di corsa in bagno per lavarmi. Sorrisi. Anche qui avrei dovuto fare il turno la mattina, non vedevo l’ora di stare per conto mio.

-Buongiorno!-

Il saluto di Peter, ritto in piedi davanti alla porta della sua stanza, mi fece sobbalzare.

-Ti ho spaventato cucciola?-

Imbarazzata, nascosi gli slip e il reggiseno puliti dietro la schiena.

Lui se ne accorse, e sorrise.

-Cosa mi stai nascondendo piccola?-

-Niente di che, solo il mio ricambio di biancheria intima-

-Ah ah ah… davvero esilarante, si vede che sei cresciuta tra le suore. Scusa, non volevo essere volgare- cercò di rimediare subito dopo.

La mia espressione, dubbiosa e corrucciata, sembrò intenerirlo. Avvicinandosi, mi accarezzò la guancia con un dito, i suoi occhi color nocciola a sostenere dolcemente il mio sguardo. Come ipnotizzata, lasciai che disegnasse il contorno delle mie labbra, del mio naso, delle mie ciglia. Il cuore iniziò a battermi più forte, mentre le sue mani scivolavano leziose nella scollatura della mia camicia da notte di flanella a fiorellini. Sicuramente la mia lingerie non era delle più sexy, ma a Peter sembrava non importare, e questo mi fece sentire bella e desiderabile.

Le sue labbra incontrarono ben presto le mie e la sua lingua, avida di piacere, cercò di farsi strada tra la piega tremante della mia bocca. Ricambiai il suo bacio goffamente, non era la prima volta che baciavo un ragazzo, ma mai così intensamente. Nonostante tutto non mi tirai indietro e, al contrario, fui assalita da una sconosciuta frenesia di conoscere ciò che per troppo tempo mi era stato proibito. Le mie mani, mosse da propria volontà, seguirono un percorso che avevo già letto in precedenza sui libri.

Peter, improvvisamente si distaccò da me infastidito.

-Cosa stai cercando di fare? Sembra che tu stia eseguendo un copione-.

Poi, prendendomi le mani aggiunse: -Vai a lavarti, Virginia, non sei ancora pronta per questo-.

Non nego che il suo atteggiamento mi lasciò alquanto delusa e furiosa, e non mi fu difficile pensare che magari non gli piacessi. Prima che le lacrime potessero prendere il sopravvento, mi voltai e fuggii verso il bagno, mi sentivo ferita nell’orgoglio.

-Che stupida! Mi sono lasciata andare troppo facilmente!- mormorai dopo essermi richiusa la porta alle spalle.

Mi spogliai, aprii il rubinetto della vasca da bagno e attesi che fosse piena. Ancora scossa dalla strana sensazione che mi aveva colto poco prima, scivolai nell'acqua bollente. Il ricordo del bacio e delle carezze di Peter erano ancora ben presenti dentro di me e, come in trance, chiusi gli occhi e lasciai che la mia mente vagasse.

Danio e Laura.

 
 
 

L'amore in un libro: parte ottava.

Post n°1156 pubblicato il 07 Aprile 2016 da lascrivana

Lidia decise di non dire nulla alla sorella, almeno per il momento. Era certa che Virginia, trovandosi sola in una città grande e sconosciuta, si sarebbe presto spaventata e avrebbe fatto ritorno a casa nel volgere di qualche ora. Di contro, il marito Antonio, intuì subito che la colpa di quella fuga era da attribuirsi a Eugenio. Conoscendo molto bene l’arroganza del figlio, sapeva bene cosa potesse essere accaduto in quel breve lasso di tempo. Decise così di cercarla passando parola agli amici del bar che era solito frequentare, avrebbe fatto il giro delle università e si sarebbe dato da fare, anche se avrebbe demandato volentieri tutto alla moglie. Era solo colpa sua se si era venuta a creare quella situazione, come se dei loro guai non ne avessero già abbastanza.

 

La corsa in moto con Peter si rivelò piacevole e rilassante, mi sembrava di volare. Nonostante l'apparente gracilità, le sue spalle erano forti e le braccia muscolose, d’istinto mi strinsi ancora più forte a lui. Inoltre era abile nella guida, districandosi nel traffico con estrema facilità, per poi dare gas allo scooter nei quartieri più isolati. Appena scesi davanti all’ingresso del suo palazzo, fui assalita da un attimo di panico, avrei avuto voglia di scappare. Ripensando a Eugenio però, Peter era decisamente il male minore, o almeno lo speravo.

La madre, una donnina piccola e compita, mi accolse con una freddezza cortese che mi mise a disagio. L’appartamento, a differenza di quello degli zii, era più luminoso e le pareti erano tinteggiate con colori tenui. I pochi mobili apparivano raffinati e scelti con cura, tutto sapeva di pulito e ordinato. Dopo le presentazioni, Peter, mi mostrò subito la mia stanza. Come il resto della casa, l’arredo era semplice ma accogliente. Il letto, privo di testata, era ricoperto da un telo stampato con colorati disegni geometrici. Una lampada cinese, in tinta con i colori del copriletto, faceva bella mostra su un piccolo tavolino laccato di bianco, vicino la finestra. Dopo che Peter mi ebbe lasciata sola, mi lasciai andare sul letto e fissai il soffitto. Nonostante l’accoglienza di sua madre, sentivo che in quella casa mi sarei trovata bene. Anche se ci conoscevamo solo da poche ore, mi sembrava di conoscerlo da una vita, stavo veramente bene in sua compagnia.

La cena si svolse in un assordante silenzio. La tensione era palpabile e, nonostante i tentativi di Peter per farmi sentire a mio agio, l'atteggiamento della madre rimase immutato. Emilia, così si chiamava, era una cuoca straordinaria, ma non riuscii a godermi appieno le sue prelibatezze. Giusto per non offenderla, buttai giù a forza qualche boccone, adducendo poi un terribile mal di testa come scusa per potermi ritirare. Poco dopo, nella mia stanza, mi coricai sul letto e chiusi gli occhi, ma il sonno non voleva saperne di arrivare. Come facevo spesso, presi il libro dallo zaino e ripresi la lettura.

 

[Lo sguardo della donna la fece fremere dentro, era più una supplica che a una richiesta.

-Vito, così si chiama mio marito, era ancora al lavoro quando quella bestia si è presentato. Mi ha insultata, colpita più volte e sbattuta a terra, ho creduto veramente di morire-

Agata deglutì. Si rese ben conto che la ragazza stava dicendo la verità, bastava leggerle negli occhi, c'era ancora tutto il terrore scritto in quelle iridi.

-Ma, forse, dall'alto qualcuno decise d'intervenire- proseguì la giovane cullando il bambino.

-Vito non stava molto bene quel giorno, una leggera influenza, e chiese al datore di lavoro se poteva rincasare prima, fu la mia salvezza. Non appena aprì la porta di casa mio padre cercò di fuggire, ma io urlai, urlai con tutta la forza che avevo in corpo. Il resto è stato solo un susseguirsi di corpi aggrovigliati e colpi furenti, con la comparsa improvvisa di un coltello. Quando tutto finì, il mio unico ricordo sono gli occhi spalancati di mio padre e il manico del coltello che sporgeva dal suo torace. E il sangue, tanto sangue-

Nonostante facesse caldo, Agata avvertì chiaramente i brividi percorrerle tutto il corpo. Quasi senza volerlo, allungò un braccio e accarezzò la guancia della ragazza, rigata di lacrime.

-Come ti chiami?- chiese semplicemente.

-Sofia, e Samuel è la mia vita- disse indicando il bimbo che, ignaro, continuava a dormire.

-E' stata legittima difesa, ha cercato di salvare te e il bambino che portavi in grembo, come hanno potuto condannarlo?-

Sofia annuì mestamente, poi sorrise, un sorriso rassegnato.

-Sai come vanno le cose in questo paese. Eccesso colposo di legittima difesa, così hanno sentenziato i giudici. Non deve scontare molto, ma è già fin troppo-

In quello stesso istante, l'uomo che aveva detto di essere una guardia carceraria si alzò avvicinandosi a loro]

Danio e Laura

 
 
 

L'amore in un libro: parte ottava.

Post n°1155 pubblicato il 05 Aprile 2016 da lascrivana

In attesa dell'arrivo di Peter, ebbi modo di ripensare a ciò che era appena successo. Non mi ero aspettata di certo un'accoglienza calorosa, ma ero anche consapevole che non avrei mai potuto vivere in un ambiente simile. Maledissi mentalmente i miei genitori per avermi messo in quella situazione, sopratutto mia madre. D'accordo le difficoltà, va bene un passato difficile, ma un cugino drogato no, quello non avrei potuto accettarlo. Ma ora c'era un altro problema da affrontare: dove avrei trovato il denaro per mantenermi? Peter avrebbe potuto ospitarmi per qualche tempo, o almeno lo speravo, ma poi?

Mio padre sarebbe andato su tutte le furie, e mi avrebbe ordinato di tornare immediatamente dagli zii. Ma questa volta non avrei ceduto, ormai ero maggiorenne e potevo benissimo cavarmela da sola. Già, più facile dirlo che farlo.

Il rumore di un motore in avvicinamento mi distolse da quei pensieri. Velocissimo, lo scooter si infilò nel vialetto di ghiaia per poi fermarsi a pochi centimetri dalla panchina.

Dopo essersi tolto il casco, Peter mi venne incontro con un sorriso preoccupato stampato sul volto.

-Stai bene? Ti ha messo le mani addosso?-

Scossi la testa. Il punto del braccio dove Eugenio mi aveva afferrato mi doleva ancora, ma evitai di dirlo.

-Si, si, sto' bene, stai tranquillo. Ma ho bisogno di aiuto, almeno momentaneo, siediti dai-

Dopo aver preso posto accanto a me, si passò una mano sulla rada peluria che gli ricopriva il viso e mi guardò.

-Se posso, volentieri, di cosa hai bisogno?-

Esitai un istante prima di rispondere, avrei voluto trovare le parole giuste, ma non c'era da girarci troppo attorno.

-Non voglio vivere in quella casa, e i miei genitori mi hanno mandato qui senza un soldo. Certo, potrei trovare un'occupazione e pagarmi un alloggio, ma nel frattempo non so' dove andare-

Lasciai la frase in sospeso, in attesa di una reazione che non tardò ad arrivare.

-Ascolta. Come ti dissi in treno, vivo solo con mia madre e abbiamo una camera libera. Se vuoi, puoi venire da me-

Spalancai la bocca, felice e sorpresa da quell'offerta.

-Sarà per poco, te lo prometto. Non appena trovo un lavoro, comincerò a guardarmi in giro, grazie, Peter-

Senza dargli il tempo di replicare, gli stampai un bacio sulla guancia.

-Non avere troppa fretta. Proprio poco tempo fa, discutevo con mia madre di questa cosa. Dopo la morte di papà, la sua pensione non basta mai, e l'università costa- disse leggermente imbarazzato.

-Per ciò che riguarda il lavoro poi, non vorrei illuderti ma c'è molto poco in giro. Potrebbero volerci mesi prima di trovarne uno, io stesso ne so' qualcosa-

Lo guardai senza capire, poi realizzai.

-Ma se non trovo lavoro, come farò a pagarvi la stanza? Perché è questo che mi stai dicendo, non è così?-

Lui alzò le spalle e sorrise e, come accadde sul treno, quel sorriso mi fece sciogliere il sangue nelle vene.

-Non preoccuparti, inventerò qualcosa per giustificare il tuo arrivo. Possiamo dire a mia madre che ci siamo conosciuti in chat e che i tuoi ti spediranno i soldi il prima possibile, che ne dici?-

Esitai. Mentire e approfittare della generosità altrui non mi era mai piaciuto. Ma era altresì vero che non avrei saputo dove sbattere la testa senza l'aiuto di Peter.

-D'accordo, ma a una condizione-

Alzandosi, mi tese la mano aiutandomi a fare altrettanto.

-Spara- disse senza lasciarmela.

-Mi devi promettere che, poco o scarso che sia, mi aiuterai a trovare un lavoro. Posso fare di tutto, dalla baby sitter a lavapiatti in pizzeria, qualsiasi cosa-

-Ok, affare fatto. E ora andiamo, tra poco sarà pronta la cena-

Detto questo, dal sotto sella prese un altro casco e me lo porse.

-Ti starà un po' largo, ma è sempre meglio di niente-

 

-Come se n'è andata, cosa diavolo è successo!-

Lidia sembrava sconvolta da ciò che le aveva appena detto il figlio.

-E che ne so', ha detto solo che non le andava di stare qui, e se n'è andata!- rispose Eugenio chiaramente fuori di testa.

-E poi io non la volevo qua, come vi è venuto in mente di prendere una simile decisione, cazzo!-

Quando si trovava in quelle condizioni, Lidia preferiva lasciar perdere. Cercando di modulare il tono della voce, gli si avvicinò con cautela.

-Va bene, va bene, non arrabbiarti, ma ora vai in camera tua, vado a preparare la cena-

Il ragazzo la guardò in cagnesco, ma non replicò e fece ciò che la madre gli aveva detto.

Rimasta sola, Lidia scoppiò in un pianto disperato. Dopo un periodo abbastanza sereno, Eugenio sembrava essere ripiombato in una spirale senza ritorno. Ed ora ci voleva anche la fuga di Virginia, come avrebbe potuto dirlo alla sorella?

Danio e Laura

 
 
 

L'amore in un libro: parte settima.

Post n°1154 pubblicato il 02 Aprile 2016 da lascrivana

Mi risvegliai con il libro aperto appoggiato sullo stomaco, la stanchezza aveva avuto il sopravvento e mi ero addormentata. Dopo l'arrivo burrascoso, ora nella casa regnava un silenzio totale, quasi fastidioso. Mettendomi seduta, lo richiusi e lo appoggiai sul comodino, quindi mi alzai e lasciai la stanza.

Percorsi il breve corridoio in punta di piedi, quasi timorosa di confrontarmi con coloro che, in fondo, rappresentavano parte della mia famiglia.

In cucina non c'era nessuno, così come in salotto. Possibile che fossero usciti senza almeno avvisarmi? Ma, proprio mentre stavo formulando quei pensieri, la porta del bagno si aprì e mi ritrovai di fronte Eugenio.

-Ah, eccoti qua, ti sei svegliata finalmente!-

Mio cugino, aveva il volto stravolto e gli occhi lucidi, istintivamente feci un passo indietro.

-I miei sono andati fuori...- disse passandosi una mano sulle guance ispide di barba.

-Se hai fame apri pure il frigorifero, devo uscire anch'io-

Annui, non mi andava di rimanere sola con lui, mi faceva paura.

-Va bene, grazie...-

Mi voltai per andarmene ma, contemporaneamente, Eugenio mi afferrò per il braccio e mi attirò a se.

-Lo vuoi un consiglio? Cercati un posto dove andare, qua troverai solo rabbia e liti continue, penso che te ne sia accorta-

Cercai di divincolarmi, ma lui strinse ancor più forte.

-Mi fai male, lasciami!- urlai.

Quando lo fece, mi massaggiai il braccio indolenzito e gli lanciai un'occhiata fulminante.

-Non permetterti mai più di mettermi le mani addosso, chiaro?-

Ero furiosa, e lui sembrò davvero sorpreso dalla mia reazione.

-Non ti ricordavo così battagliera, eri una bimbetta secca e timorosa di tutto, mi piaci!-

Mi allontanai ancora di qualche passo da quel sorriso falso e ipocrita.

-Stai pur certo che me ne andrò immediatamente, non ho certo intenzione di convivere con un tossico!-

Il sorriso sparì, sostituito da un'espressione decisamente più terribile.

-Ma che ne sai, come ti permetti di giudicare?-

Le parole gli uscirono con un sibilo, sembrava un serpente in attesa di attaccare la preda. L'avevo fatto arrabbiare, e la cosa avrebbe potuto portare a spiacevoli conseguenze.

-Non giudico...- mi affrettai a dire -Ma adesso me ne vado, scusami-

Gli passai accanto senza guardarlo in faccia, convinta che mi afferrasse ancora per il braccio. Per fortuna non accadde e, raggiunta la porta, la aprii con estrema calma.

-Buona fortuna, Eugenio- dissi voltandomi un'ultima volta.

-Aspetta!- mi urlò dietro.

In un attimo, sparì nella mia camera per ricomparire qualche secondo dopo.

-Ti sei dimenticata questi...- e, senza aggiungere altro, mi lanciò contro lo zaino e il libro.

Non appena fui in strada, mi allontanai il più possibile da quella casa. Camminai per non so' quanto tempo finché, sfinita, mi lasciai cadere sopra una panchina all'interno di un giardinetto.

Dove sarei potuta andare? Ma, sopratutto, come l'avrebbe presa mio padre? Mi trovavo in una città sconosciuta, senza denaro e senza persone a cui rivolgermi, mi sentii a pezzi. Poi, improvviso, un pensiero: Peter.

Frenetica, presi il cellulare e cercai il suo numero. Rispose al primo squillo.

-Ehi, ciao, come stai?-

-Ho bisogno di aiuto...-

In breve, gli raccontai ciò che era successo e dove mi trovavo.

-Non muoverti, con lo scooter sarò li in un quarto d'ora-

Rinfrancata da quelle parole, riposi il cellulare e aprii il libro.

 

 

[L'uomo la seguì e salì a sua volta. Sul bus, oltre all'autista, c'erano solo un paio di persone anziane e una giovane mamma con un bimbo di pochi mesi sulle ginocchia. Avvicinandosi verso il centro, Agata prese posto accanto a quest'ultima che, vedendola, le sorrise. Con la coda dell'occhio, notò che l'uomo si era seduto in fondo, nel punto più lontano.

-Sei appena uscita, vero?-

La domanda la colse di sorpresa, sembrava che tutti sapessero della sua vita, ancor meglio di lei stessa.

-Ma ce l'ho scritto in fronte?-

Nonostante tutto, la cosa la rese allegra piuttosto che infastidirla.

-Ho mio marito rinchiuso la dentro- proseguì la donna indicando il carcere -E conosco i volti di chi ci è passato ed ora, quasi per magia, riassapora la libertà-

Il sorriso, sul volto di Agata, si spense di colpo. Era giovane quella ragazza, ma nei suoi occhi traspariva già un inizio di vecchiaia.

-Cos'ha fatto tuo marito?- si ritrovò a dire.

Il bimbo, nel frattempo, si era addormentato.

-Ha ucciso l'uomo che, da quando ero bambina, ha abusato di me, mio padre-

La risposta le gelò il sangue nelle vene.

-Era riuscito a sottrarmi alle sue angherie ma lui, come un belva ferita, ci ha ritrovati dopo qualche tempo. Aspettavo già Samuel quando avvenne, lo ricordo come fosse ora-

Agata le mise una mano sulla spalla.

-Non è necessario che mi racconti, io non credo che...-

-No, è da parecchio tempo che non ne parlo e tu...tu hai un volto buono...ti prego-]

Danio e laura

 
 
 

L'amore in un libro: parte sesta.

Post n°1153 pubblicato il 01 Aprile 2016 da lascrivana

La finestra del secondo piano era aperta, e le voci piuttosto alterate degli inquilini che occupavano quell’appartamento, mi arrivarono chiare e distinte. Stavano discutendo animatamente, per cui non mi fu per niente difficile riconoscere la voce di zio Antonio e di suo figlio Eugenio. A quanto pare, la famiglia della sorella di mia madre, era abbastanza inquieta. Probabilmente da loro non si usava lavare i panni sporchi in famiglia. Da quello che riuscii a capire, lo zio stava rimproverando Eugenio, per la sua vita dissoluta e oziosa.

La lite, sembrava stesse per degenerare, e lo zio era sul punto di prenderlo a botte. Quando mia zia, presa dallo spavento, incitò Eugenio a lasciare la casa. Cosa che prontamente fece; poiché lo sentii scendere per le scale continuando a sbraitare.

Mi spinse quasi il portone in faccia. Per poi guardarmi con aria sbigottita e contrariata:

- Virginia, che ci fai qui?-

- Come che ci faccio? Non sapevi che sarei dovuta arrivare oggi?-

-Io no; ma, sicuramente quel bifolco di tuo zio e mia madre ti stavano aspettando. Su… dammi le valigie che le porto su; chissà che non si calmino vedendoti -.

Avendo ascoltato parte della lite avvenuta poc’anzi, evitai di rispondere. L’accoglienza non era stata di certo delle migliori, avevo beccato la giornata sbagliata; in fondo capita a tutte le brave famiglie di averne una storta.

Che Eugenio facesse abuso di droghe, non era una novità; poiché quando era venuto l’ultima volta in vacanza da noi, aveva stretto amicizia con la peggiore specie del paese: ragazzi vagabondi che avevano poca voglia di studiare e lavorare. Qualcuno di loro era stato pure beccato con piante di marijuana, coltivate nel proprio giardino; non mi meravigliava sapere che lo zio fosse a conoscenza dei vizietti del figlio. E poi, le profonde occhiaie di Eugenio, e lo sguardo spento, lasciavano poco spazio all’immaginazione. Sicuramente la permanenza dagli zii non sarebbe stata monotona.

Gli zii mi accolsero, imbarazzati e non molto felici di vedermi in quel momento. Capii subito che il problema non era la mia presenza, bensì averli colti nel bel mezzo della lite.

Zio Antonio, cercò di ricomporsi, e mi abbracciò calorosamente; sembrava stesse per piangere. Evidentemente la lite lo doveva aver scosso molto.

Zia Lidia, invece, non fece nulla per nascondere le lacrime, e asciugandosele con il dorso della mano, mi strinse in un affettuoso abbraccio.

-Meno male che sei arrivata tu Virginia; sono certa che le cose andranno meglio tesoro mio-.

In che modo avrei potuto aiutarli, non ne avevo la più pallida idea; ma la frase della zia, mi aveva messo subito a mio agio.

Dopo essersi informata sulla salute dei miei genitori, mi mostrò subito quella che sarebbe stata la mia stanza; invitandomi a riposare un po’ prima di cena.

Prima di stendermi sul lettino, diedi una rapida occhiata alle pareti rivestite con carta da parati: le grossolane stampe floreali erano di dubbio gusto, e tendevano a deprimermi. Mi buttai sul lettino con tutte le scarpe, cercando di realizzare dove fossi capitata. Purtroppo, la fantasia non m’ispirò nulla di confortante.  Poiché ero troppo scossa e facevo fatica a rilassarmi, tirai fuori il libro dallo zaino e lessi qualche pagina, prima di disfare le valigie e prepararmi per il pranzo.

 

-Si, in effetti è molto interessante- rispose meccanicamente Agata. Guardando lungo la via, pregò affinché l'autobus arrivasse al più presto.

A parte il proprio avvocato, era il primo uomo con cui aveva occasione di parlare, dopo la reclusione.

-Sei una studentessa?-

Lo fissò, così come si può guardare una persona dura di comprendonio. Come poteva averla scambiata per una studentessa! Si trovavano all'estrema periferia della città, e le abitazioni più vicine distavano un paio di chilometri, l'unica costruzione nei paraggi era il carcere. Cos'è, ci era o ci faceva?

-No, sono appena stata a trovare un amico, ha fatto una stupidata e deve scontare qualche mese- mentì indicando la sagoma grigia del carcere.

Lui si raddrizzò e inarcò un sopracciglio.

-Ah si? Strano che non ti abbia notata, come si chiama il tuo amico, e in quale sezione si trova?-

Improvvisamente, Agata ebbe la certezza d'aver detto qualcosa di sbagliato.

-Sai, faccio la guardia carceraria la dentro, e conosco tutti i nostri...ehm...ospiti-

Che stupida era stata. Come poteva essersi scordata che esisteva anche una sezione maschile oltre a quella femminile!

-Ecco il bus!- esclamò con sollievo.

Quindi, ancor prima che l'uomo potesse aggiungere qualcosa, saltò in mezzo alla strada facendo segno all'automezzo di fermarsi.

Danio e Laura

 
 
 
 
 

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Un blog di: lascrivana
Data di creazione: 19/09/2010
 
 

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