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poesie prose e testi di L@ur@

 

UN PASSO INDIETRO PER FARNE UNO AVANTI.

Per chi volesse leggere la storia"Un passo indietro per farne uno avanti" sin dalle prime pagine;basta cliccare sui link.

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UN PASSO INDIETRO PER FARNE UNO AVANTI.

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Messaggi di Marzo 2017

In fondo al tunnel 14

Post n°1363 pubblicato il 10 Marzo 2017 da contastorie1961

Dopo essere andata a far visita al padre, Rosalia rientrò subito a casa. Vederlo allegro e voglioso di recuperare il tempo perduto le aveva fatto dimenticare, anche solo per pochi istanti, il tremendo agguato subito da Giorgio. L’unico momento d’angoscia, era stato quando le aveva chiesto come mai non si era fatto più vedere. Si era aspettata quella domanda, tuttavia aveva esitato e Omar aveva dovuto ripetere la domanda. -La sua presenza è stata richiesta all’estero, papà, ha dovuto partire in fretta e furia. Mi ha detto comunque di salutarti- aveva inventato su due piedi. Era ben consapevole che quella bugia avrebbe retto per poco, ma per il momento poteva bastare. Non lo vedeva così felice da troppo tempo, non se la sentiva di rovinare tutto con quella tragica notizia.

Una volta a casa, si guardò attorno e fu assalita da un attacco di panico. L’aggressore di Giorgio era ancora a piede libero, e se fosse tornato per farle del male? Una sensazione di soffocamento le ostruì improvvisamente la gola, mentre il cuore sembrava volerle scoppiare nel petto. Gocce di sudore le imperlarono la fronte gelata, e un tremolio improvviso le afflosciò le gambe. Sussultò nel sentire la suoneria del cellulare. Frenetica, rovistò maldestramente nella borsetta, col solo risultato di sparpagliare il contenuto sul pavimento. Recuperato il cellulare sospirò di sollievo, era Igor.

-Ciao, sono dietro la tua porta, e non ho ancora suonato ancora il campanello per paura di disturbare,e’così?-

Rosalia si affacciò alla finestra che dava sul pianerottolo prima di aprire la porta, quindi gli rispose con voce tremante: -No che non mi disturbi, ti apro-

A Igor non sfuggì il tono angosciato che aveva percepito nella sua voce. Non appena aprì la porta, si trovò davanti una donna spaventata e sull’orlo di una crisi di nervi. Quasi senza rendersene conto, la strinse tra le braccia e le sussurrò parole di conforto nell’orecchio. Completamente abbandonata, Rosalia si aggrappò a lui come un naufrago a un relitto, quindi pianse lacrime amare sul suo petto.

Pur a fatica, Igor si staccò con delicatezza, consapevole che quell’abbraccio si stava prolungando un po troppo.

-Sono passato per avere notizie di Giorgio, come sta?-.

Un po a sorpresa, Rosalia si ci rimase male per quel distacco improvviso, avrebbe voluto che continuasse.

-Sta migliorando, grazie- rispose cercando di nascondere il rossore.

-Scusa se te lo dico, ma sei più sconvolta adesso di quando è successo il fatto, cos’è che ti tormenta?-

Lei alzò il mento e lo guardò con gli occhi ancora gonfi di lacrime.

-Ho paura, Igor. Temo che quell’uomo possa tornare e farmi del male. Ci fosse mio padre, mi sentirei al sicuro, ma non lo dimetteranno così presto-

Igor, non rispose subito, si chinò invece a terra e raccolse tutte le cianfrusaglie cadute dalla borsa. Quando si rialzò, gliele porse e la guardò dritto negli occhi -Prendi le tue cose e vieni a casa mia. Oltre che al sicuro, potremo studiare bene il caso insieme-.


Approfittando del cambio di turno, Giada entrò furtivamente nella stanza di Giorgio. Il suo ex marito avrebbe potuto ricordarsi di aver visto Daniel più volte nel suo studio, e questo avrebbe portato inevitabilmente a lei. Doveva trovare il modo di sbarazzarsene definitivamente.

-E’ inutile che vai a controllare il dottor Casellari, l’ho appena fatto io, e ho dovuto somministrargli un tranquillante tanto era agitato-.

Spaventata, Giada si era nascosta dietro la porta, ma si rilassò subito dopo aver sentito quelle parole, nessuno l’avrebbe disturbata. Avvicinandosi al letto, osservò il lento e regolare respiro di Giorgio, quindi mise una mano sul cuscino.

-Mi hai portata tu a questo, è solo colpa tua- disse in un sussurro.

Gli occhi dell’uomo si spalancarono.

 
 
 

Breve racconto 2

Post n°1362 pubblicato il 09 Marzo 2017 da lascrivana

 

L'immagine può contenere: spazio all'aperto

Reclutai il mio sogno, in un castello arroccato alle pendici di una montagna. Solo gelidi inverni custodivano i desideri mai realizzati.

Alberi d’alto fusto, dalle fronde appesantite da cumuli di neve, facevano da sentinella a quell’amore imprigionato tra i venti freddi dell’alta quota.

Una bottiglia di whisky, giaceva svuotata sulla larga mensola dell’enorme camino in pietra che occupava gran parte della parete del salotto. Distese le gambe su un logoro puffo di velluto rosso, guardando la fiamma scoppiettante che si levava alta tra i grossi ciocchi di legno.

Sotto le palpebre appesantite dall’alcool, l’immagine del fuoco si rispecchiava nelle iridi scure e malinconiche.

Le braccia penzolanti, e la testa leggermente inclinata di lato, ne rivelavano la postura di resa.

Non era così che doveva andare … lei era sempre presente nelle sue memorie. L’aveva amata cosi tanto da essere così cretino da pensare che quella situazione potesse durare in eterno. La morte accidentale del ragazzo non rientrava nei suoi programmi; e nemmeno i diversi anni passati in prigione, prima che il potente senatore, suo suocero,  riuscisse a ottenere gli arresti domiciliari. Era stato lui, Armando a scegliere come dimora il vecchio castello di famiglia. Se non poteva più avere lei, non aveva importanza vedere anima viva. Tra quelle gelide mura di pietra, avrebbe aspettato che giungesse la fine dei suoi giorni, augurandosi che qualcuno lassù avesse  pietà di lui e gli avrebbe restituito l’unica ragione della sua vita. Sapeva di essere egoista non pensando nemmeno ai suoi figli … ma quei ragazzi non meritavano un padre come lui. Li aveva traditi e delusi. Provava vergogna e un profondo senso di colpa nei loro confronti. Come poteva spiegargli l’intensità di quel sentimento che provava per Annalisa? Come potevano capire che era schiavo di una passione che non conosceva ragione?

E’ inutile negare a se stesso, che in cuor suo nutriva la segreta speranza che lei un giorno sarebbe riuscito a perdonarlo e a mettersi in contatto con lui. Avrebbe preferito ricevere almeno un “TI ODIO!” al posto di quel silenzio che l’aveva inghiottita senza lasciare traccia.

La notte, tra le lenzuola di seta scura, la sua splendida immagine dall’incarnato chiaro, non lo abbandonava un istante.

La chioma bionda sparsa sul cuscino, la bocca rossa e invitante e gli enormi occhi verdi scintillanti di desiderio, erano la sua tortura. Smanioso invocava il suo nome nell’assurda convinzione che lei potesse ascoltarlo.  Qualche volta la sognava pure; e nel sonno i loro corpi si congiungevano fino a diventare una cosa sola. Loro due erano nati per stare insieme. Volente o nolente, presto o tardi Annalisa avrebbe dovuto cedere al suo stesso desiderio. Lui non avrebbe mai lasciato che l’oblio risucchiasse l’intensa passione che lo divorava. Era solo una questione di tempo, presto la primavera avrebbe bussato alla porta … e l’estate lo avrebbe travolto con la sua calda stagione.

Laura

 

 
 
 

Racconto breve

Post n°1361 pubblicato il 06 Marzo 2017 da lascrivana

Come una nave ancorata nel porto sbagliato.

L'immagine può contenere: casa, albero, spazio all'aperto e natura

 

La nostra storia sembrava avesse radici in un tempo a noi ignoto; chissà, magari era iniziata in un'altra vita. - Altrimenti com’è possibile spiegare questa mia forte attrazione sin dal primo istante in cui ti vidi? Nonostante la ragione mi suggerisse che eri la persona sbagliata, non riuscivo a liberarmi dall’ossessione di te! -

Avrei dovuto lasciarti quando ero ancora in tempo, e non consentire che la passione mi risucchiasse in un limbo fatto di gioie e dolore.

Ricordo le serate in cui stavo ad aspettarti inutilmente per ore, per finire ad addormentarmi esausta sul divano, delusa e triste per lo smacco subito. Al mattino mi svegliava l’odore nauseabondo del tabacco proveniente dalle cicche schiacciate nel posacenere -posto sul basso tavolino vicino al divano, arrivava quasi a sfiorarmi il naso. La bocca arsa e amara, denunciava le troppe sigarette fumate nervosamente e lo stomaco vuoto; mentre la cena rimaneva intatta nel forno.L’unica cosa a trarne vantaggio da quella situazione, era la mia linea: il ventre piatto e le lunghe gambe snelle, rendevano il mio corpo terribilmente attraente. I lunghi capelli biondi e lisci, e gli enormi occhi verdi incastonati nel perfetto ovale del mio viso, mi facevano sembrare una bella bambola di porcellana. La mia pelle d’avorio, in netto contrasto con il nero del vestito ancora addosso dalla sera prima, metteva in risalto la bella bocca a cuore dipinta di rosso. Intristita, guardavo allo specchio la mia immagine di malinconico Pierrot, con il rossetto sbavato e il rimmel impiastricciato sulle gote.

Il trillo del campanello, puntualmente mi ricordava che presto un mazzo di rose rosse e un biglietto profumato avrebbe giustificato la tua assenza. Al garzone del fioraio, che ormai sapeva tutto di noi, gli avevi fornito un extra affinché versasse sul biglietto una goccia della tua colonia preferita, quella che io ti avevo regalato e che usavi solo quando c’incontravamo.

Quella mattina nell’aprire la porta,  avvenne qualcosa d’insolito, il ragazzo invece che tenere  in mano il solito mazzo di rose, reggeva un vassoio contenente un termos di caffè e due brioche. L’invitante aroma mi deliziò le narici; ricordandomi che era proprio quello che avevo bisogno per riprendermi. Grata sollevai lo sguardo e incrociai i suoi occhi sorridenti. Venne da ridere anche a me pensando alla faccia di Armando se avesse saputo dello scherzo del fioraio; sicuramente sarebbe andato su tutte le furie.

Quando domandai al garzone che fine aveva fatto il mazzo di rose, mi rispose strizzandomi l’occhiolino e dandomi confidenzialmente del tu:

- Le ho regalate alla vecchina dirimpettaia, sai quella che abita sul tuo stesso pianerottolo. In cambio le ho chiesto di prepararmi caffè e brioche. Ho pensato che tu avessi più bisogno di una bella colazione … Qualcuno ti fa  piangere troppo, e mangiare poco-.

Non avevo bisogno di domandargli cosa glielo avesse fatto pensare; il viso tirato con cui lo accoglievo la mattina, era più che sufficiente per farsi un’idea chiara della situazione.

Mi feci da parte e lasciai che entrasse; invitandolo poi a posare il vassoio sul tavolo della cucina, ancora romanticamente apparecchiato dalla sera precedente.

Ci accomodammo, e versandoci un’abbondante tazza di caffè dal termos, presi una fragrante brioche e la addentai nervosamente, sotto il suo sguardo interrogativo e paziente. Silenzioso aspettava che fossi io ad aprire il discorso; magari che provassi finalmente a confidarmi, giacché lui era già a conoscenza della mia relazione con Armando.

Finora non avevo confidato ad anima viva la nostra storia, poiché lui era un personaggio di spicco, e se qualcuno avesse saputo di noi, sarebbe stata la fine della sua carriera politica.

Sposato con la figlia di un ricco e potente senatore, Armando aveva fatto ben presto strada. Nonostante fosse un brillante avvocato, aveva deciso di punto in bianco di dedicarsi alla politica, anche perché questo era sommo desiderio di suocero e moglie. E poi, il senatore manovrava la sua posizione lasciandogli poco spazio ad agire e prendendo le decisioni al posto suo. Il parecchio tempo libero a sua disposizione, lo impiegava per viaggiare sempre più lontano di casa. La maggior parte delle vacanze le passava con me. In fondo la moglie Annalisa mi faceva pena, ignara della nostra relazione, preferiva rimanere a casa a occuparsi dei figli, quattro per l’esattezza. Nonostante potesse permettersi l’aiuto di una babysitter e di un autista, preferiva essere la sola a occuparsi dell’educazione e della tutela dei figli, era persino gelosa dell’intervento del marito Armando.

Persa nelle memorie, non mi resi conto che avevo espresso i miei ricordi ad alta voce.

-Non so nemmeno come sia iniziata la nostra storia… so solo che non posso più farne a meno. Armando è come una droga per me-.

Il ragazzo nell’udire la mia narrazione si mise comodo sulla sedia, non rispondendo nemmeno al trillo del cellulare. Sicuramente era il proprietario della fioreria che voleva informarsi del perché ci avesse messo tanto per la consegna. Dopo aver sicuramente giustificato il ritardo con un breve messaggio, lo chiuse definitivamente; timoroso che qualcuno potesse disturbare nuovamente la mia narrazione.

-Armando è un uomo carismatico e affascinante. Mi piace quando indossa le sue candide camicie inamidate, e la giacca scura. Mi eccita l’idea di essere nei suoi pensieri mentre compie qualsiasi azione nei luoghi dove io non sono presente. Ho sempre fatto in modo che lui non desideri nessun’altra donna all’infuori di me. Ho imparato tutte le tecniche di seduzione, e ho sempre tenuto sotto controllo la mia gelosia. L’ho sempre lasciato libero, in modo da essere certa che se lui ritorna da me è solo perché non può farne a meno. In parte lui si sente ferito da questa mia indifferenza; è convinto che io non sia abbastanza innamorata di lui da manifestargli la mia inquietudine per la situazione in cui mi ha relegato.

In realtà ignora quanto mi roda e quanta sofferenza mi procura rimanere nascosta dietro la sua ombra. Io sono quella che non potrà mai essere al suo fianco … nel bene e nel male. So che posso sembrare masochista; ma credimi … ci ho provato a stargli lontano; mi sentivo svuotata e finita … senza di lui la mia vita non ha senso-.

Sospesi il racconto giusto il tempo di versarmi un'altra tazza di caffè, rammentando quella volta che provai a mettere fine alla nostra storia.

-Armando sembrava impazzito, mi telefonava a qualsiasi ora del giorno e della notte. Aveva messo una squadra d’investigatori privati a spiare ogni mio movimento. Non faceva altro che inviarmi foto di noi due insieme.  Se da una parte la sua ossessione mi spaventava, dall’altra il mio ego sussultava: ero al centro dei suoi pensieri. Aveva spianato la mia strada, difendendomi da tutto e da tutti. Mi aveva fatto avere un ruolo di direttrice in un’importante azienda cosmetica; e se qualcuno mi metteva i bastoni tra e ruote, lui trovava il modo di togliermelo di torno. Mi scriveva che io ero sua, e che non avrebbe mai permesso a nessuno di avvicinarsi a me. Dopo un paio di mesi in cui io avevo trovato il coraggio di non vederlo, alla fine cedetti. Era una serata di pioggia e di temporale, me lo ritrovai davanti alla porta di casa bagnato come un pulcino. La camicia intrisa d’acqua aderiva su i suoi pettorali, rivelando un torace tonico e vigoroso. I capelli scomposti e gocciolanti rendevano il suo sguardo ancor più tenebroso. La sua espressione decisa, sciolse ogni piccola riserva, travolgendomi con la sua disperata passione. Facemmo l’amore divorandoci come due che stavano in digiuno da mesi. Il solo ricordare quel giorno mi provoca uno spasmo allo stomaco. Vorrei tanto che fosse qui anche ora … -

Adirata per la mia debolezza, battei un pugno sul tavolo facendo sussultare il garzone.

-Perché? Dannazione perché non posso liberarmi di lui? Il suo pensiero è una continua ossessione!-

Priva di autocontrollo e scevra da qualsiasi briciolo dignità, mi piegai in ginocchio poggiando la testa sulle gambe del giovane fioraio. 

Mi lasciai andare in un pianto dirotto. Il ragazzo sbalordito dalla mia reazione, mi sollevò il viso per guardarmi negli occhi. Fu così che ci trovò Armando. Poi tutto accadde così in fretta da non darmi nemmeno il tempo di reagire: Armando incollerito, con lo sguardo che sembrava lanciare dardi di carbone ardente, si avvicinò minaccioso. Con una forza inaudita sollevò il ragazzo dalla sedia e lo batté violentemente con le spalle sulla parete piastrellata. Sicuramente non era sua intenzione ucciderlo; ma il ragazzo batté fatalmente con la testa allo spigolo dello stipite della cucina.

Guardai quel giovane corpo afflosciarsi inerme sul pavimento. Inorridita e impietrita, guardai il sangue dilagarsi sul bianco pavimento della cucina.  Era solo un angelo che aveva provato ad asciugare le mie lacrime, e lui, il diavolo della mia passione aveva messo fine a quel dolce sorriso … l’unica persona che conosceva la verità su di noi.

Non seppi mai se lo fece perché Armando aveva intuito che gli avessi raccontato tutto, o per un’incontrollata gelosia; so solo che fu l’ultima volta che lo vidi.  Agghiacciata e sconvolta dal dramma che si era appena svolto davanti ai miei occhi, lasciai che la polizia se lo portasse via senza dire nemmeno una parola in sua difesa.

 Lasciai la città dopo qualche mese, senza nemmeno cercare di avere sue notizie. Cercai di rifarmi la vita in un'altra città … inutilmente, poiché il suo pensiero non mi abbandonava mai. Ancora oggi quando sono sola nel mio letto, lui viene a cercarmi nel sogno per fare l’amore con me. Nel silenzio della mia stanza mi sembra di sentire il suo respiro sul collo; e di percepire il calore delle sue gambe che s’intrecciano alle mie, mentre la sua bocca avida cerca disperatamente la mia.

 Ti amo, e forse non smetterò mai di amarti; ma il peso di quell’omicidio ha messo un muro tra noi due. Forse in un'altra vita potremo riprendere ancora una volta la nostra storia d’amore, e amarci finalmente alla luce del sole.

 Laura

 
 
 

In fondo al tunnel 13

Post n°1360 pubblicato il 05 Marzo 2017 da contastorie1961

Appena atterrata, Giada prese un taxi e diede l’indirizzo di Daniel. Era seccata e di malumore, l’incontro di Londra non aveva dato gli esiti sperati, e in più ora c’era la grana di Giorgio. Sulle prime aveva fatto buon viso a cattivo gioco, cercando di convincere Daniel e se stessa che, in fondo, poco cambiava. Ma non era così.

Rosalia era una persona qualunque, ma Giorgio no. La notizia dell’aggressione aveva riempito le pagine dei giornali, e il quotidiano che teneva tra le mani non fece che confermarglielo.

Noto chirurgo assalito

e sfregiato con l’acido.

Nell’articolo si dava una sommaria descrizione del responsabile, e molti particolari coincidevano proprio con Daniel. Forse non aveva tutti i torti a voler rimanere nascosto, ma nella propria abitazione sarebbe stato un rischio. Inoltre c’era da considerare che, l’avessero preso, avrebbe potuto tirarla in ballo, e ciò avrebbe significato la fine. No, avrebbe dovuto passare al piano di riserva, e l'avrebbe fatto immediatamente.

-Eccoci arrivati, signora- disse il tassista.



In accappatoio, con i capelli ancora umidi, Daniel sorrise non appena aprì la porta.

-Ciao, tutto bene a Londra?- chiese in tono sarcastico.

Giada non rispose, portandosi invece verso il divano e gettando il trolley a terra.

-Non sono affari tuoi, spiegami piuttosto il casino che hai fatto-

L’umore di Daniel mutò completamente. Quella donna aveva il potere d’irritarlo alla massima potenza, ma anche di eccitarlo in egual misura.

-Mi era sembrato di essere stato chiaro al telefono, cosa vuoi sapere ancora?-

Lei gli lanciò il giornale addosso.

-Se già non l’hai fatto, leggi, praticamente manca solo la tua fotografia- rispose sprezzante.

Afferrato al volo il quotidiano, Daniel lo fece e impallidì.

-Ma non c’era nessuno, ne sono certo!- cercò di discolparsi.

Lei scosse la testa con energia.

-Questo è ciò che credi, ma se stavi lottando con Giorgio, come puoi esserne certo?-

Daniel si avvicinò al camino e buttò il giornale tra le fiamme, quindi si voltò.

-Hai ragione, sono stato un idiota, ma tu devi aiutarmi a sparire all’estero, è l’unica cosa da fare-

Il tono e l’atteggiamento di Giada cambiarono radicalmente. Avvicinandosi, gli circondò la vita con le braccia e insinuò le labbra tra le pieghe dell’accappatoio.

-È quello a cui avevo pensato, ma prima voglio qualcosa da te, potrebbe passare molto tempo prima che ce ne sia ancora l'occasione-

L’eccitazione di Daniel aumentò a dismisura, cancellando di colpo l’irritazione per le parole appena ricevute.

-Prima però, ho voglia di bere qualcosa- proseguì Giada.

-Te lo preparo subito- disse Daniel sciogliendosi dall’abbraccio.

-No,ci penso io, tu aspettami in camera, con la luce spenta-

L’uomo sorrise soddisfatto, quindi si diresse verso la camera da letto.

-Non farmi aspettare troppo-

Rimasta sola, riempì due bicchieri di whisky e prese la borsetta. La boccettina era piccola e conteneva del liquido trasparente, un potente sonnifero che usava durante i lunghi viaggi. Con estrema calma, ne versò un abbondante dose in uno dei bicchieri, quindi lo raggiunse.

Completamente nudo, Daniel sorrise quando la intravide controluce.

A parte una minuscola luce d’emergenza blu elettrico posta in un angolo, la stanza era immersa nella penombra.

-Eccomi…- disse Giada con voce sensuale.

Sedendosi sul letto, gli porse il bicchiere e alzò il proprio.

-Alla nostra-

Eccitato come non mai, Daniel lo vuotò tutto d’un fiato per poi mandarlo in frantumi sul pavimento.

Giada non riuscì a berne che un goccio. Dopo averla afferrata, glielo tolse dalle mani facendogli fare la fine del proprio. Sudato e ansante, in un istante le tolse gonna e camicetta, quindi le allargò le cosce con un movimento brusco e doloroso.

-Ti sono mancato non è vero? Ammettilo puttana che non sei altro!-

Lei non rispose, pregava solo che il sonnifero facesse effetto il più presto possibile.

-Non lo vuoi ammettere, va bene. Adesso ti dimostrerò com’è veramente un uomo!-

Con un colpo secco le strappò le mutandine, per poi cercare forsennatamente di penetrarla. Fu questione di un attimo. Irrigidendosi, Daniel arretrò e si mise in ginocchio.

-Cosa...cosa...mi gira la testa- disse con voce strozzata.

Cogliendo l’occasione, Giada si divincolò e scese dal letto.

-Era ora, maledetto figlio di puttana!- disse ad alta voce, quindi accese la luce principale.

Il volto stravolto, Daniel la fissò e cercò di scendere a sua volta, col solo risultato di cadere pesantemente sui cocci dei bicchieri. Diversi tagli si aprirono in ogni parte del corpo, e il sangue imbrattò ben presto il pavimento.

-Ma...maledet...troia...io…-ma la lingua si era fatta di piombo, e le palpebre non ne volevano sapere di restare aperte.

Giada sogghignò soddisfatta.

-Potrei lasciarti morire dissanguato, ma ho qualcosa di meglio per te-

Dopo aver lasciato la stanza, tornò un paio di minuti dopo con una siringa e un laccio emostatico tra le mani.

Ormai quasi del tutto incosciente, Daniel non se ne accorse nemmeno. Chinandosi verso di lui, gli strinse il laccio attorno all’avambraccio e avvicinò la siringa.

-Il pusher che me l’ha venduta mi ha assicurato che ammazzerebbe un cavallo. Addio, Daniel, buon viaggio all’inferno- disse iniettando la dose mortale.





 
 
 

In fondo al tunnel 12

Post n°1359 pubblicato il 02 Marzo 2017 da contastorie1961

Fu una notte terribile.

Perseguitata dagli incubi, Rosalia si alzò che non era ancora l’alba. Rimase sotto il getto della doccia per una buona mezz’ora, come se l’acqua potesse cancellare in un colpo solo gli ultimi avvenimenti. Più tardi, mentre si dirigeva verso l’ospedale, si chiese cosa avrebbe detto una volta che avrebbe rivisto Giorgio. Le immagini del suo volto deturpato continuavano ad assillarla, ricacciò indietro le lacrime e cercò di farsi forza. In quel momento avrebbe dovuto stargli il più vicino possibile, non poteva permettersi di mostrarsi fragile e insicura.

Dopo aver parcheggiato, si diresse con passo sostenuto verso la terapia intensiva. Rispettando le regole del reparto, suonò e rimase in attesa di una risposta. Dopo qualche istante, un’infermiera fece capolino sulla porta.

-Dovrei vedere il dottor Casellari, se è possibile- disse con voce strozzata.

-Sono stata avvisata del suo arrivo, prego, venga pure- rispose la donna.

Mentre percorrevano il corridoio, Rosalia sentì i battiti del suo cuore farsi sempre più ravvicinati.

-Ha trascorso una notte abbastanza tranquilla, ma il dottor Omodei mi ha raccomandato di non stancarlo troppo, cinque minuti al massimo- disse l’infermiera fermandosi davanti a una stanza.

Rosalia annuì, quindi entrò.

Si avvicinò al letto trattenendo il respiro, temendo quasi che quell’azione del tutto naturale potesse disturbarlo. Coperto da un leggero lenzuolo, aveva il volto fasciato dalle bende, solo gli occhi erano liberi, ed erano aperti.

-Giorgio?- disse lei timidamente, quindi gli prese la mano.

Lui abbassò un paio di volte le ciglia, poi la strinse con vigore.

-Sono qui, amore, non preoccuparti, andrà tutto bene-

Aveva cercato di dare forza a quelle parole, tuttavia le erano uscite incrinate e poco convincenti. Giorgio annuì impercettibilmente poi, con la mano libera, indicò il comodino.

Una bottiglietta d’acqua ancora chiusa, un bicchiere di plastica e la propria borsetta, che avesse sete? Non sapeva se poteva farlo, e se l’avessero rimproverata?

-Forse dovrei chiedere all’infermiera, caro, non vorrei che…-

Lui le fece segno di no col dito, quindi mimò il gesto di scrivere, e Rosalia immediatamente capì. Frugando nella borsetta, pescò una penna e l’agendina che portava sempre con se, glieli porse. Pur a fatica, Giorgio impiegò diverso tempo per scrivere, quindi le restituì il tutto.

Conosco chi mi ha aggredito, ma ignoro quale siail suo nome. Un paio di volte, mi è capitato di vederlo uscire dall’ufficio di mia moglie, quando ancora lavoravamo insiemeaveva vergato con calligrafia incerta sul foglietto bianco

Rosalia rimase esterrefatta e sorpresa da quella rivelazione.

-È già qualcosa, ma forse è meglio avvisare la polizia, sei d’accordo?-

Ancora una volta, Giorgio le strinse la mano e annuì.

-Tu devi solo pensare a guarire- proseguì Rosalia -Per tutto il resto ci sono io, stai tranquillo-

In quello stesso momento, l’infermiera entrò nella stanza con un carrello.

-Mi dispiace, signora, ma le devo chiedere di uscire-

Chinandosi, Rosalia sfiorò la fronte di Giorgio con un bacio.

-A domani, amore-

Prima di lasciare la stanza però, si rivolse ancora all’infermiera.

-La polizia si è già fatta vedere? Immagino che vorranno sentire la versione di Giorgio-

-E come no, neppure un paio d’ore dopo che era stato ricoverato!-rispose quest’ultima con sdegno.

-Ma il dottor Omodei è stato categorico. Come ha ben potuto constatare anche lei, suo marito non è in grado di parlare, come avrebbe potuto aiutarli?-

Rosalia sorrise sentendo la parola “marito” ma, nel contempo, pensò che avrebbe potuto scrivere, proprio come aveva fatto con lei.

-La ringrazio, ci vediamo domani-



Risalendo in macchina, partì decisa verso la questura. Ignorava se avrebbe trovato l’ispettore Molinaro, ma il foglietto con le parole di Giorgio scottava troppo. Poi, improvvisa, le venne un’idea. Accostando al marciapiede, afferrò il cellulare e un biglietto da visita, quindi digitò sui tasti.

-Igor?Ciao, sono Rosalia, avrei bisogno di parlarti-



L’ufficio era del tutto simile a qualsiasi studio d’avvocato. Una scrivania zeppa di carte e fascicoli, alcuni schedari in alluminio, e una discreta libreria ingombra di volumi a indirizzo legale. Quella mattina, Igor indossava pantaloni di taglio classico e una camicia bianca, ed era senza cravatta.

-So a cosa stai pensando, ma proprio non ce la faccio a restare ingessato in giacche e cravatte- disse dopo averla fatta accomodare.

-Allora, come sta Giorgio?-

In breve, Rosalia gli parlò della visita e del biglietto.

-Posso vederlo?-

Dopo averlo letto, lo mise sulla scrivania e si appoggiò allo schienale.

-Perché l’hai portato a me piuttosto che alla polizia?-

-Voglio un parere, Igor, e un ispettore ha già tentato d'interrogarlo, ma i medici l’hanno impedito-

Il giovane avvocato alzò un sopracciglio.

-Solo per quello?-

Rosalia parve improvvisamente a disagio.

-Io...io non lo so...ma sei stato tu a dirmi che se avevo bisogno…-

Igor alzò una mano e la fermò.

-D’accordo, non c’è bisogno che ti giustifichi. Considerami al tuo servizio, e iniziamo a vederci chiaro in questa storia-











 
 
 

Opposti

Post n°1358 pubblicato il 02 Marzo 2017 da lascrivana

Gli opposti generano consapevolezza.

La consapevolezza consente la scelta.

La scelta rende responsabili.

La responsabilità porta alla creazione.

La creazione consente la nascita dei nuovi opposti.

 

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: lascrivana
Data di creazione: 19/09/2010
 
 

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