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UN PASSO INDIETRO PER FARNE UNO AVANTI.

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Messaggi del 12/06/2015

Colpevole o innocente: Il rientro a casa

Post n°1016 pubblicato il 12 Giugno 2015 da lascrivana

Arrivata a casa, mi buttai sotto la doccia. Se l'odore del carcere venne via, così non fu per l'ansia che mi attanagliava lo stomaco. Dovevo e volevo vedere Cesare, al più presto.

Ma l'avvocato era stato chiaro. Gli arresti domiciliari non erano altro che una detenzione casalinga, ogni sgarro sarebbe stato pagato caro.

Quando se ne andò, gli porsi un biglietto pregandolo di recapitarlo a Cesare.

Dopo la doccia, nell'attesa, mi versai un bicchiere di vino bianco e mi distesi sul divano.

Mi sentivo strana e svuotata, l'esperienza della prigione era stata sconvolgente e traumatizzante.

Dopo aver bevuto un sorso, chiusi gli occhi e cercai di rilassarmi.

Cosa mi aveva portato a quel punto?

Per quale assurda alchimia, mi ero completamente dimenticata di Cesare?

Tra il sonno incombente e la veglia, tornai a quella maledetta mattina.

Lavoravo come commessa in un negozio d'antiquariato.

Un'occupazione pagata male e che il signor Poretti, il proprietario, rendeva ogni giorno sempre più invivibile. Ma il bisogno di soldi, oltre al mio amore per le antichità, mi facevano sopportare il tutto.

Fino a quella mattina.

Come sempre, alle otto in punto, avevo aperto il negozio.

Poretti, come sua consuetudine, non sarebbe arrivato prima delle nove.

Dopo aver sistemato alcune cose, mi ero seduta dietro il bancone in attesa dei clienti.

Ed erano quasi le nove quando, il primo di essi, fece tintinnare il campanello all'ingresso.

Si trattava di un uomo. Alto e allampanato, portava un lungo soprabito completamente nero.

-Cerco il proprietario, il signor Poretti, mi può annunciare per cortesia?-

Scuotendo il capo, lo informai che non era ancora arrivato.

Per nulla scosso da quella notizia mi disse che, nel frattempo, avrebbe dato un'occhiata agli oggetti esposti.

Nell'attesa, sbirciai il suo muoversi tra cofanetti e antichi candelabri. Devo dire la verità, quell'uomo m'inquietava parecchio.

Per mia fortuna il signor Poretti, puntuale come un orologio svizzero, arrivò alle nove precise.

Non avrei mai dimenticato il suo sguardo quando, appena entrato, si accorse del visitatore.

Paura? Rabbia? Diffidenza?

Senza degnarmi di uno sguardo, gli si rivolse direttamente.

-Venga nel mio ufficio- disse laconico.

Quello che accadde in quel angusto stanzino, non avrei mai avuto la possibilità di saperlo.

L'unica cosa certa è che lo strano individuo, dopo una decina di minuti, se ne andò salutandomi cordialmente.

Fu solo in seguito che, allarmata dal fatto che Poretti non si faceva vedere, mi azzardai a bussare alla porta dell'ufficio.

Non ottenendo risposta, abbassai la maniglia ed entrai.

Il primo ricordo, di quella spaventosa scena, fu il sangue.

Sulle pareti, sulla scrivania e sul pavimento, sangue ovunque.

Lo stesso Poretti, riverso sulla poltrona, ne era intriso.

Il cranio non era più un cranio, ma solo un ammasso informe di carne e tessuti.

Ricordo che, per un'insolita reazione, corsi al suo fianco cercando di tamponare l'emorragia.

Poi urlai.

Urlai con tutto il fiato che avevo in gola.

Il resto, fu tutto un susseguirsi di fatti che la mia mente cercò di rimuovere, riuscendoci in parte.

La polizia, chiamata dai negozianti vicini, giunse velocemente.

Vedendomi sporca di sangue, incapace di parlare e palesemente sotto shock, mi accompagnarono all'ospedale e successivamente in questura.

Accusata formalmente d'omicidio, venni processata e condannata a quindici anni, il minimo. Mi avevano riconosciuto la non premeditazione, un raptus dissero.

Ma il mio avvocato, uno d'ufficio visto che non potevo permettermene uno, era riuscito a farmi concedere gli arresti domiciliari.

Sono riuscito a instillare in loro il dubbio. La sua deposizione, inerente al misterioso individuo, è stata presa in considerazione. Ma non è ancora finita, dovremo combattere ancora”

Questo mi aveva detto prima di lasciarmi sola. La mia opinione, nei suoi confronti, era decisamente cambiata.

E fu con le sue parole che, finalmente, riuscii ad addormentarmi.


Ansimando e sbuffando, Miriam si lasciò cadere al di la del muro.

Pamela e Sandra, le sue due compagne, la seguirono subito dopo.

Senza dire nulla, iniziarono a correre in direzione di un vicino campo incolto.

Dopo averlo attraversato, si avvicinarono velocemente a un'automobile poco distante.

In quello stesso istante, le sirene del carcere iniziarono a suonare.

Danio e Laura

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: lascrivana
Data di creazione: 19/09/2010
 
 

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