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C'era una volta il west- Il mio sogno
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Messaggi di Febbraio 2016
Post n°274 pubblicato il 01 Febbraio 2016 da lontano.lontano
I dati statistici riportano che l'aspettativa di vita, ovvero la possibilità statistica di essere in vita, in Italia è salita a 83 anni. A prima vista, pare un dato normale, o un normale dato, senonché, detto calcolo è stato usato per calcolare, tra l'altro, l'età pensionabile, quindi mi pare sia suscettibile di qualche riflessione aggiuntiva. E' persino banale segnalare che chi governa preferisca non restituire, sotto forma di pensione, neppure una parte di quello che lavoratori e aziende gli hanno versato durante loro vita lavorativa. Con improvvide e poco limpide azioni, gli istituti eroganti si sono mangiati il capitale ed ora sono in affanno in quanto a liquidità. Da qui la geniale trovata di mandare gli aventi diritto, in pensione sempre più tardi. In questo modo si otterrà un grosso risparmio perché, diminuirà automaticamente il periodo temporale di corresponsione della somma da erogare. Più tardi andremo in pensione, meno tempo avremo per rimanere in vita. Per contrastare tale elementare osservazioni i geni che ci governano, ci fanno notare che viviamo sempre di più, ragione per la quale non cambia nulla rispetto alle norme precedenti. In teoria, tali osservazioni, potrebbero esser valide ma la teoria si scontra sempre con la pratica. La possibilità di essere in vita aumenta, ma solo statisticamente, e la statistica non da alcuna certezza, è solo un'ipotesi, una speranza, quella di essere vivi, ma nulla di più. Io posso sperare di arrivare a 83 anni ma, a fronte di una mera speranza, devo versare una cifra reale per un numero di anni maggiore di quanto accadeva in passato. E' logico, leale, onesto, esigere una somma vera a fronte di una restituzione ipotetica? Chi di voi mi darebbe una somma oggi a fronte della mia promessa di restituzione tra vent'anni? Nessuno vero? E come mai tale a tale giochetto nessuno si ribella se ve lo propone un soggetto, forse meno affidabile, di me? Questo basterebbe per parlare di truffa ma non è tutto. Vi siete chiesti cos'altro sia l'aspettativa di vita e il suo calcolo? Scendiamo nel dettaglio con questo esempio. Supponiamo che io oggi compia 83 anni, ciò vuol dire che un calcolo statistico si è rivelato esatto. Ma io ho vissuto realmente 83 anni o molti di meno? Ne ho vissuti molti di meno ... almeno venti, di meno. Uno studio statistico che ha la stessa dignità del precedente, ci dimostra, infatti, che noi dedichiamo al sonno almeno sei ore della nostra giornata. Da un mio calcolo, ricavo che, 6 ore di vita in meno al giorno, per 83 anni, sono a pari a 20 anni di vita. Non vi pare logico detrarre da una vita vissuta, una parte di quella non vissuta? Non vivo se dormo, quindi non ho vissuto per 20 anni, per cui la mia vita effettiva, ad oggi, giorno in cui compio 83 anni, è di 63 anni. Certo, il corpo ha subito gli attacchi del tempo perché, questi, durante il sonno non si è fermato ma, a parte questo, il sonno è una morte apparente e se son morto ... non vivo. Coloro che calcolano l'esistenza in vita, se fossero onesti, dovrebbero calcolare, anche se a livello statistico, la vita effettivamente da vivere, non anche quella non effettivamente vissuta. Mi spiego meglio perchè mi rendo conto che possa sembrarvi follia. Ricordate cosa vi diceva la maestra in relazione ai pesi? Il peso lordo è il peso effettivo (netto) di una merce, maggiorato del contenitore, ovvero la tara. Ecco, noi crediamo che l'esistenza in vita sia il peso lordo mentre, in realtà, è quello netto. Ed ancora, se io ho una bottiglia d'olio d'oliva, fino a quando il prodotto ha ragione di esistere? Naturalmente fino a quando non l'ho consumato, ma se sull'etichetta è riportato il tempo minimo di consumazione entro il quale il prodotto mantiene le proprietà organolettiche, quell'olio è ancora esistente dopo tale data. In pratica quell'olio non esiste perché è difficilmente commestibile e se non si usa ... non serve. Nella stessa maniera, quando un lavoratore viene collocato in pensione, dovrebbe avere, a disposizione un numero effettivo di anni da "vivere", non comprensivo degli anni di "non vita", trascorsi a dormire. L'aspettativa di vita dovrebbe essere rinominata: "Aspettativa di vita effettiva" e statisticamente, dovrebbe essere di 63 anni. Vita da vivere, dedicata a noi stessi ed ai nostri affetti, alle nostre passioni e alla felicità perché questa è la sola vita che merita di esser vissuta. Quella passata a lavorare, a produrre, dedicata al consumo e all'ossequioso rispetto dei progetti altrui è solo buttata.
Post n°275 pubblicato il 08 Febbraio 2016 da lontano.lontano
Per caso, questa mattina, in televisione, ho ascoltata questa frase: “ I bambini nascono per essere felici”; chi l'ha riportata, ha anche detto il nome dell'autore ma mi è sfuggito. Così ho provveduto a fare una ricerca in rete e ho scoperto che è il titolo di un libro per bambini che ha quale argomento – cito - : “L'idea è quella di portare a conoscenza dei piccoli il contenuto della "Convenzione sui Diritti dell'Infanzia" utilizzando lo strumento della filastrocca e del gioco del puzzle delle carte in tavola”. Non entro nel merito perché non conosco tale pubblicazione, mi limito alla frase in questione. E' una di quelle espressioni che hanno “presa”, parole che fanno dire all'ascoltatore semplicista, amante della retorica e della facile omologazione: Ma che bel pensiero!, Che umanità!” Un bel pensiero questo? Ma avete provato a pensare un simil pensiero? Se si, non vi accorgete di quanto sia un non pensiero? Ripeto, non so di cosa tratti il libro e, mi auguro, che in quelle pagine si vada oltre e si spieghi anche la parte successiva, quella mancante ma che, a mio parere, è l'essenza del pensiero stesso, ma se così non fosse, ci troveremmo di fronte ad un titolo, veramente, poco edificante. Vi pare bello, infatti, pensare che, i bambini nascano per essere felici e non si faccia alcun riferimento al periodo della vita nel quale bambini non si è più? Ricapitolando, possiamo dedurre da quella frase che, finché si è piccoli abbiamo diritto alla felicità, lo stesso trattamento non ci è riservato quando si diventa adulti. Ed infatti, questo è il “non pensiero”; la visione della vita in funzione di tutto ma non in funzione della felicità. L'essere umano è nato per essere felice, questa è la missione della vita, l'unico motivo per il quale siamo stati messi al mondo, la sola cosa che si deve ricercare ed inseguire. E' un diritto, anzi un dovere essere felici, ma sempre, per l'intero corso della vita, non per un breve periodo nel quale, la felicità non si capisce neppure cosa sia, visto che non la si vive come effimera ma come scontata. Invece la felicità scontata non è, proprio perché nessuno ci dice che è imprescindibile, e tutti pensano che sia cosa da mettere nelle mani del destino. Arriviamo sempre al medesimo punto: Non sappiamo cosa sia la vita, ed in ragione di questo, manco sappiamo viverla. Se non vi hanno mai detto nulla della chimica, potete scrivere delle formule sensate con quei segni che sembrano dei geroglifici? E' impossibile, come è impossibile, saper vivere la vita se non si comprende il suo vero significato. Diffidate, dunque, delle frasi ad effetto, quelle banali, scontatissime, noiose, quelle che per troppa facilità, e per la pigrizia di esercitare un pensiero proprio, vedete incollate su profili e blog o trovate scritte sulla carta dei cioccolatini. Non faranno colpo le vostre frasi, a differenza di quelle che riportano sotto un bel nome e cognome noto, ma chissenefrega della notorietà, meglio esprimere un pensiero personale piuttosto che, per pigrizia, fare proprio un pensiero altrui.
Post n°276 pubblicato il 14 Febbraio 2016 da lontano.lontano
Ci sono parole che vanno oltre le parole stesse, sono un'idea, rappresentano una sensazione, raffigurano un dolore. "Addio" ad esempio, è una parola insopportabile perché lacera l'anima, strappa il cuore dal petto e lo calpesta, rovescia lo stomaco nel nulla degli occhi fissi della mente stravolta. Non la sopporto perchè il dolore è insopportabile, non si può far finta che non ci sia e non si può accettare con la remissiva santità che non ci appartiene ed alla cui categoria mai apparterremo. "Addio" è una fine imposta, è l'anticipazione della fine, è una fine innaturale, è far morire prima della morte, è la siringa del condannato legato su un lettino. Non l'ho mai detto e non lo dirò, l'ho sentito, invece, l'ho letto in uno sguardo, l'ho percepito in una lacrima, ma non lo accetto perchè ci son cose che non si possono accettare. E non si può accettare "Sono tua madre!" Se si è figli. Non si può accettare e non è giusto subirla. Come è ingiusta la tirannia, l'imposizione forzata dell'autorità, la violenza fisica e psicologica ed il ricatto morale. "Me lo devi", solo per il fatto che tu sia figlio, devi subire e passivamente tollerare solo perchè è il tuo ruolo ed il tuo infausto destino, sei schiavo, perché, per questo, sei stato generato, è nelle cose, nel progetto iniziale. Lo devi sopportare perché sei così coglione che non sai ribellarti all'egoismo travestito da affetto e da un amore imposto. Suddito, espropriato della tua dignità personale, della tua vita, quella vita che a parole, ti è stata donata ma che, in pratica, ti è stata affidata solo per essere successivamente gestita. "Io sono il re!", "Sono tua madre!", "Sono il potere!" Non cambia nulla, il significato è identico, devi tacere, obbedire, chiudere in un cassetto la tua dignità di persona ed il tuo orgoglio e sottostare alla manomissione cerebrale di cui fosti vittima un giorno. E' una frase insopportabile, ma si sopporta, si sopporta tutto e si va anche oltre la sopportazione, nel mutismo di parole che non riescono neppure a controribattere, parole che non escono dalla sottomissione e dal ricatto. Basterebbe poco, nulla, tramutare una frase in una semplice parola: "Grazie". Un grazie che non impegna, che non è neppure gratitudine è solo una parola, e non toglie nulla a chi la pronuncia ma può dar molto a chi la ascolta, restituisce la dignità e fa di uno schiavo un uomo libero.
Post n°277 pubblicato il 18 Febbraio 2016 da lontano.lontano
C'è un'immagne dentro me, e dico "dentro" non a caso, che non so fissare nel tempo e nella memoria. Mi verrebbe da pensare che se non la ricordo, in effetti, non l'ho vista ma, se non l'ho vista, come faccio ad averla fissata nel mio profondo?. Non lo so, son solo certo della mia incertezza ma, è proprio l'inspiegabile che mi affascina, quello che esiste senza dimostrare la sua esistenza che mi fa pensare maggiormente alla verità. E' un'immagine che dagli occhi si è trasferita, non solo al cuore, come poeticamente si converrebbe ma, al mio stomaco, al mio fegato, alle mie budella che si contorcono e alla mia bile che si riversa, come molto prosasticamente avviene quando la rabbia ed il disappunto ci fanno prede. Sono due figure femminili che, una a braccetto dell'altra camminano per la strada della mia cittadina. Non garantisco sull'età delle stesse, diciamo che mi piace immaginarle separate da trent'anni di vita, settantanni la madre e una quarantina la figlia, perchè di quello son certo, sono madre e figlia. Un'immagine vista con i soli occhi si ferma a questo, ma un'immagine vista tramite l'ipersensibilità che mi possiede mio malgrado, viene sezionata, analizzata, fin nei minimi dettagli psicologici e comportamentali. Vedo in questa passeggiata, la soddisfazione della madre, la non celata, perfida gioia, il vanto di chi commette un sopruso con inspiegabile orgoglio, il portamento altero della stessa e gli occhi di lei dritti a guardare il mondo come per sfidarlo. E per contrasto, una figurina esile con gli occhi tristi che un altro mondo vedono e vivono, due labbra perse in un sorriso amaro che solo, le sfiorerà, con quell'aria mesta di chi si violenta nel credere che una tale situazione sia quella ottimale, per se, per la famiglia, per la propria anima, per tutti. Le immagino dirette al mercato settimanale per cercare tra i banchi un abbondante vestito per la genitrice e un malinconico capo intimo per una donna che manco si è accorta di essere diventata donna. Un capo di trent'anni prima che occhi d'uomo mai vedranno, ma che è adatto, che va bene, nel pensiero materno, per una giovane vecchia, vedova di un uomo che neppure mai ha conosciuto. Quei due opposti stati d'animo, mi creano un fastidio rabbioso, prenderei volentieri a calci nel culo una madre che sacrifica la vita della propria figlia con la palese soddisfazione di farlo, perchè sono certo, che sia stata lei ad impedirle ogni possibilità di vita propria. Che si fosse chiamata un tempo "zitella" o più elegantemente "signorina" o, in quel vergognoso modo di parlare odierno, adatto solo per non comprederci ... "single", poco cambia, rimane il fatto che raramente, di libera scelta si tratti. Mi rimane difficile pensare che sia bello esser la vestale di una divinità, non mi convince l'idea di un sacrificio spontaneo, non riesco ad allontanare da me il convincimento che dietro ad una scelta così devastante non ci sia un altrettanto devastante ricatto morale. Una madre, quando mette al mondo una creatura, regala una vita, e non sottoscrive una polizza sulla vecchiaia, dona un'esistenza e non, si dona un'esistenza, è in qualche modo a servizio della nuova vita, non si può concedere il lusso di pensare ad un'altrui vita dedita al proprio servizio. Non sopporto questa immagine che raffigura l'egoismo, proprio perchè è associata al ruolo di madre, che tutto potrebbe essere tranne egoismo; è proprio questo paradosso che mi da fastidio, è la logica capovolta, è la natura stravolta è un qualcosa che mai avrei creduto potesse essere ma che è, tristemente è.
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