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10 Febbraio

Post n°762 pubblicato il 10 Febbraio 2007 da ossimora
 

Foibe

"L'italianità colpita non era una entità meramente etnica ma un soggetto politico, ritenuto, a torto o a ragione, nemico e complice di precedenti violenze subite"

la memoria

"Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini dell'Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani".  Benito Mussolini, 1920

 
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ruslanfedele
ruslanfedele il 11/02/07 alle 01:12 via WEB
Le foibe devono il loro sinistro significato all'uso che ne fecero i partigiani jugoslavi durante e dopo la II guerra mondiale. Erano fosse comuni per esecuzioni sommarie collettive, in gran parte di italiani. Talvolta le vittime venivano fucilate subito dopo l'arresto. Altre volte venivano prima smistate ai campi di prigionia, dove giacevano in condizioni disumane: frustati, bastonati, denutriti, spesso costretti a picchiarsi fra loro per un pezzo di pane e per il divertimento dei loro sequestratori, i prigionieri venivano solitamente uccisi a coppie, legati sull'orlo della foiba e falciati con la mitragliatrice. Le prime foibe: autunno del '43 Il fenomeno iniziò nell'autunno del '43, subito dopo l’armistizio, nei territori dell’Istria, abbandonati dai soldati italiani che li presidiavano e non ancora sotto il controllo dei tedeschi, quando i partigiani delle formazioni slave, ma anche gente comune, per lo più delle campagne, fucilarono o gettarono nelle foibe centinaia di cittadini italiani, bollati come “nemici del popolo”. Il numero delle vittime non è quantificabile con precisione. Comunque dovrebbero essere un migliaio tra infoibati, caduti nelle zone costiere e dispersi in mare. Le foibe di aprile-giugno '45 Le foibe, però, ebbero la loro massima intensità nei quaranta giorni dell'occupazione jugoslava di Trieste, Gorizia e dell'Istria, dall'aprile fino a metà giugno '45, quando gli Alleati rientrarono a Trieste occupata dalle milizie di Tito. Tra marzo e aprile, alleati e jugoslavi si impegnarono nella corsa per arrivare primi a Trieste. Vinse la IV armata di Tito che entrò in città il 1º maggio alle 9.30. Suppergiù nelle stesse ore i titini occupavano anche Gorizia. Dei partigiani garibaldini non c’era traccia. Erano stati dirottati verso Lubiana e gli fu permesso di rientrare nella Venezia Giulia soltanto venti giorni dopo. A cose fatte. Come scrive Gianni Oliva, gli ordini di Tito e del suo ministro degli esteri Kardelj non si prestavano a equivoci: «Epurare subito», «Punire con severità tutti i fomentatori dello sciovinismo e dell’odio nazionale». Era il preludio alla carneficina, che non risparmiò nemmeno gli antifascisti di chiara fede italiana, nemmeno membri del Comitato di liberazione nazionale. Ci fu una vera e propria caccia all'italiano, con esecuzioni sommarie, deportazioni, infoibamenti. In quel periodo solo a Trieste furono deportate circa ottomila persone: solo una parte di esse potrà poi far ritorno a casa. I crimini ebbero per vittime militari e civili italiani, ma anche civili sloveni e croati, vittime di arresti, processi farsa, deportazioni, torture, fucilazioni, e si protrassero per alcune settimane, sebbene a Trieste e a Gorizia fra il 2 e il 3 maggio fosse arrivata anche la seconda divisione neozelandese del generale Bernard Freyberg, inquadrata nell’VIII armata britannica. Finì il 9 giugno quando Tito e il generale Alexander tracciarono la linea di demarcazione Morgan, che prevedeva due zone di occupazione – la A e la B – dei territori goriziano e triestino, confermate dal Memorandum di Londra del 1954. È la linea che ancora oggi definisce il confine orientale dell’Italia. La persecuzione degli italiani, però, durò almeno fino al '47, soprattutto nella parte dell'Istria più vicina al confine e sottoposta all'amministrazione provvisoria jugoslava. Le cifre Quante furono le vittime? Secondo alcuni: 20-30 mila. Ma un’indagine minuziosa del Centro studi adriatici raccolta in un albo pubblicato nel 1989 le fa scendere a 10.137 persone: 994 infoibate, 326 accertate ma non recuperate dalle profondità carsiche, 5.643 vittime presunte sulla base di segnalazioni locali o altre fonti, 3.174 morte nei campi di concentramento jugoslavi. Non solo fascisti: erano presi di mira tutti coloro che si opponevano al disegno dell'annessione della Venezia Giulia alla Jugoslavia, compresi molti antifascisti, membri del Cln che avevano fatto la Resistenza al fianco dei loro assassini. La "caccia al fascista", infatti, si esercitò, perfino con maggiore precisione, nei confronti di antifascisti, i componenti dei Comitati di Liberazione Nazionale di Trieste e di Gorizia, e gli esponenti della Resistenza liberaldemocratica e del movimento autonomistico di Fiume. Dunque, infoibati perché italiani. Lo sostiene anche lo storico Giovanni Berardelli: "La loro principale colpa era quella di essere, per la loro nazionalità, un ostacolo da rimuovere al programma di Tito di annessione del Friuli e della Venezia Giulia". Da cui l'odierna accusa di genocidio o di pulizia etnica. "Le foibe - sintetizza lo storico triestino Roberto Spazzali - furono il prodotto di odii diversi: etnico, nazionale e ideologico. Furono la risoluzione brutale di un tentativo rivoluzionario di annessione territoriale. Chi non ci stava, veniva eliminato". I motivi del silenzio sulle foibe Secondo Gianni Oliva, alcuni fattori politici hanno contribuito a confinare per mezzo secolo il ricordo delle foibe nelle commemorazioni locali: la rottura tra Tito e Stalin avvenuta nel 1948, il fatto che militari fascisti commisero in Jugoslavia reati di guerra per i quali non furono mai perseguiti, la subordinazione politica dell’ex Pci alle esigenze del comunismo internazionale e alle spinte nazionaliste di Tito. Sta di fatto che col passare del tempo si è finito per voltare pagina e, negli ultimi anni, anche su iniziativa degli ex comunisti, si è fatta luce su questi episodi.
 
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