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Messaggi del 02/04/2012
Post n°213 pubblicato il 02 Aprile 2012 da lontano.lontano
Tag: banche, BCE, Commisione Trilaterale, economia. governo, Gruppo Bilderberg, recessione, trattati di Maastricht e Lisbona C’era una volta una comunità di persone che muoveva i primi passi verso uno stare insieme in maniera nuova. Il racconto narra di un’epoca che non val la pena datare, un’epoca bella di rurale magia. Le persone vivevano in casupole di legno, coltivavano il proprio pezzetto di terra e allevavano i loro animali, la loro vita era semplice e si svolgeva coi ritmi stessi della natura. C’era chi aveva qualche ettaro di terra in più e quindi coltivava qualcosa di più, c’era chi aveva la possibilità di avere qualche animale da cortile in più per cui aveva carne bianca e uova in abbondanza, c’era chi aveva costruito un mulino per trasformare il grano in farina e così via. Avvenivano così degli scambi mercantili tra i componenti di quel piccolo mondo che, a piccoli passi, si avvicinava alla modernità. Delle patate per delle uova, della carne per della farina, ciò che si possedeva per qualcosa che mancava, questo era il baratto, metodo semplice, intuitivo, democratico ma, via via sempre più scomodo. Non era semplice, infatti, trasportare la propria merce eccedente per barattarla con quella mancante per motivi di ingombro fisico e di conservazione nel tempo. A qualcuno allora, venne in mente di scrivere su carta un impegno morale che obbligava ad un impegno materiale. Colui il quale, ad esempio, aveva fatto macinare il grano per cui disponeva di molta farina, poteva recarsi da chi produceva delle uova, ritirarne una parte e ricevere da questi un impegno scritto che gli garantiva il ritiro della parte rimanente in un secondo tempo. Con questa promessa scritta però, il creditore del produttore di uova, poteva recarsi dal produttore di frutta e ottenerne una quantità in cambio del diritto che deteneva. In questa maniera i diritti scritti si scambiavano ma, non era sempre possibile che il venditore necessitasse del bene girato in pagamento per cui, anche questo intelligente metodo di scambio, mostrava le proprie lacune. Fu così che commerciando e scambiandosi le esperienze e le idee, venne in mente a qualcuno di attribuire un valore stabilito per ogni merce. Così un sacco di farina poteva valere 10 come cento uova o una gallina o un otre di vino o d’olio o un sacco di patate, per cui, da quel momento gli impegni scritti dei debitori non riportavano più la specie del debito ma il suo valore, oltre il nome del debitore. In questa maniera, chi riceveva una carta col valore 10, poteva trattenerla fino al momento in cui si sarebbe recato dal debitore per esigerne il prodotto, oppure, girarla ad un altro venditore in cambio di una merce equivalente, così fino a che il giro si fosse concluso con la riscossione del debito primario. Nacque così quella cosa che noi chiamiamo denaro, una cosa virtuale perché non valeva nulla, serviva solo ad indicare un debitore ed un creditore. Ma anche questo meccanismo non era perfetto, infatti il denaro appena inventato era personalizzato e circolava nelle forme più disparate, c’era il foglio che indicava un valore unico, quello si ma, era il foglio che indicava il nome del coltivatore di patate o del produttore di vino o di formaggio o di uova. E poi, è logico che questo denaro fosse emesso da chi produceva un bene materiale subito disponibile perché il proprio creditore poteva, in qualsiasi momento esigerlo. Si pensò allora di ovviare a questi inconvenienti, incaricando delle persone della comunità di rilasciare il denaro in cambio di un impegno scritto a fornire un prodotto o una prestazione. Le carte in circolazione, da quel momento indicavano oltre il valore delle stesse anche tutte la stessa dicitura: “Denaro dei cittadini della comunità”. Nacque così la banca, che altro non era che un locale in cui delle persone, sotto il controllo della comunità, emettevano dei fogli di carta in cambio delle garanzie di cui sopra. Fu l’inizio di scambi disomogenei, chi cedeva tutto o in parte il proprio terreno, ad esempio, chi risparmiava vendendo un prodotto di basso valore per acquistarne un altro di valore più alto in futuro, chi barattava il proprio lavoro per quella carta che gli consentiva di soddisfare i propri bisogni. Questa nuova categoria dette origine ai salariati, lavoratori che svolgevano un lavoro alle dipendenze di altri, in cambio di quella nuova formula di pagamento, tanto diversa dal compenso originario da cui la classe stessa prese il nome, il sale. Intanto il tempo trascorreva e quella piccola comunità di persone cresceva, le povere case si moltiplicavano dando origine ad un grande borgo abitato. La vita si svolgeva tranquilla, nessuno soffriva la fame e le attività così diversificate davano la possibilità di reperire prodotti e merci diverse. Quando una società non vive nella povertà e nel perenne incubo della sopravvivenza, anche il pensiero e le idee prosperano, e se le idee vengono da persone sagge ed oneste tutta la comunità ne beneficia. Benchè l’istruzione latitasse, l’intelligenza delle persone era spiccata; dal semplice baratto arrivarono al denaro, era giunto il momento di fare un ulteriore salto di qualità. Capivano che l’istruzione era una cosa vitale, non potevano continuare ad essere una comunità di analfabeti facente riferimento a poche persone che sapevano a fatica scrivere e far di conto. Decisero di costruire una scuola e stipendiare una persona che potesse trasmettere la propria cultura, ma anche di costruire dei locali dove poter dare una rudimentale assistenza sanitaria. Insomma, prendeva forma una struttura di società non più individualista ma basata sul senso di appartenenza e sulla consapevolezza che solo cooperando con altri individui si potevano avere prosperità e sicurezza. Le idee della scuola e di quel sanatorio erano belle, così come lo erano quelle di portare l’acqua dal fiume alle case tramite un acquedotto o predisporre una fognatura. I progetti non mancavano ma, ai componenti della comunità, non si potevano chiedere ore di lavoro extra, già tante ne trascorrevano nei loro impegni giornalieri. Come sempre i più pratici ebbero il colpo di genio, non occorreva far lavorare chi lavorava già ma, avrebbero lavorato coloro i quali il lavoro lo stavano cercando, magari lavoratori provenienti da territori confinanti. Certo era un’idea semplice ma, forse, lo era di meno trovare le risorse economiche per far fronte a tali spese. Ed invece no, la cosa era molto più semplice della precedente, bastava stampare quella fatidica carta con sopra un valore che abbiamo definita denaro. Quale problema c’era nel dare del denaro ai lavoratori, che problema c’era nel darlo a chi forniva il materiale o i servizi per portare a compimento opere tanto importanti? Nessuno, il denaro era di proprietà della comunità, lo diceva chiaramente la scritta sul foglio e, se il denaro era dato dalla comunità alla comunità sarebbe ritornato sotto forma di acquisti. Ci rimetteva forse il mugnaio che avrebbe venduta più farina? Ci avrebbe rimesso il produttore di vino o di formaggio o il coltivatore di patate o chi vendeva uova? No, di certo, avrebbero solo venduto a clienti nuovi o venduto semplicemente un po’ di più e la disoccupazione sarebbe stata solo un vocabolo di moda mille anni dopo. In teoria tutti avevano un debito ma il debito era fonte di lavoro e di guadagno, se non avessero speso a debito il denaro, secondo voi, sarebbe stato messo in circolazione o sarebbe rimasto nel calamaio sotto forma di inchiostro? Il borgo divenne in breve tempo città, una città vivibile, le case costruite in maniera più sicura e dotate almeno dei servizi essenziali, la scuola con molti alunni perché i soldi che giravano davano la possibilità alle famiglie di non far ricorso alle braccia di bimbi per lavorare. Il lavoro stesso che divenne più umano perché il progresso tecnico lo rese più efficiente e meno pesante, la medicina che organizzata in ospedali metteva a frutto nuove conoscenze. E qui finisce la storia, la favola che, come tutte le favole, deve essere a lieto fine ma, questa, poteva non essere solo una favola, avrebbe potuto esser la nostra vita. Non lo è stata per colpa di chi, ora, sottolineerà la mia ignoranza specialmente in materia economica, forse qualcuno uscito da qualche università della casta o vicino a posizioni governative. Tirerà in ballo l’inflazione, il debito pubblico, e tutte le altre balle nascoste in parole indecifrabili di una lingua concepita solo per farci credere di essere degli ignoranti. Ma stavolta non attacca, ad esser sincero, con me non ha mai attaccato, ma oggi più che mai, i fatti son qui a dimostrare che la loro infinita e superba onniscienza ci ha ridotti così, mentre la mia ignoranza non ha portato al suicidio nessuno. E poi dire a me che non so di economia? E’ follia pura, son generazioni che quelli come me fanno economie per pagare i loro errori, personalmente lavoro per loro da una vita, potrei permettermi un’esistenza da emiro se loro non fossero esistiti ma…. io non so nulla di economia! Semplicemente, le cose nella storia funzionano perché la banca è del popolo e la figura del banchiere non esiste, nessuno, stampa denaro dal nulla e se ne appropria, nessuno, in quella storia pensa in termini egoistici ma del benessere comune.
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