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Messaggi di Febbraio 2013

 

Il sole di Ottobre. 2° parte.

Post n°218 pubblicato il 18 Febbraio 2013 da lontano.lontano
 
Foto di lontano.lontano

Così l’essere intimidito dalla situazione diventava timidezza conclamata per poi evolversi in insicurezza, che sarebbe potuto sfociare in disagio esistenziale.

Una persona è timida perché più sensibile di altre, perché più vulnerabile all’emozione, perché convinta di essere la vittima sacrificale per sorte e per destino.

A scuola, quindi, sarebbe stato meglio dire chiaramente, con la tranquillità di chi è nel giusto, che la spiegazione non era esauriente, che non avevo capito, che qualcosa sarebbe stato da rispiegare.
Penso che sia pure vantaggioso un simile atteggiamento perché, un docente, che così possa definirsi, dovrebbe essere compiaciuto dell’attenzione e della voglia di approfondimento di un allievo.

Si ribalterebbe pertanto la situazione, chi chiede mostra interesse, chi non dice nulla, facendo così presumere un pronto intendimento, potrebbe altresì far intravedere un modo veloce per esaurire la spiegazione.

Io sono di una generazione ammaestrata a non nutrire dei dubbi sulle istituzioni, sulla scuola, la religione, la politica, l’ordinamento giuridico e sociale, su coloro che ci hanno fatto credere essere a noi superiori, per cui in quel tempo tacevo.
Tutto il loro “giusto” da una parte e la nostra sana miscredenza dall’altra, una miscredenza che però mai doveva uscire dall’ambito dell’utopia.

E’ una disgrazia esser stati educati così, un’educazione alla subalternità che ha radici profonde e lontane.

Ai nostri genitori è stato tramandato dai loro che, sottostare ad una gerarchia, fosse cosa normale, nonché logica, se non addirittura giusta.

Un feudatario medievale, un re o un imperatore, un duce, un governo, son sempre stati ritenuti una casta di eletti degni di un’indiscussa superiorità.

E se questa subalternità fosse il ricordo atavico di qualcosa sofferto in un passato remoto che potremmo definire schiavitù?

Se davvero fosse questo, ci troveremmo di fronte ad un’ulteriore tesi sulla genesi umana.

Forse, è proprio partendo dai caratteri psicologici e comportamentali che potremmo trovare le risposte che da sempre cerchiamo: Qual è la vera storia dell’uomo, che origini ha, da chi è stato creato ed in quale modo?

E’ fuori dubbio che la schiavitù che noi umani percepiamo quale nostro destino, quasi sempre senza la forza per ribellarci è parte del nostro DNA ma, nel nostro DNA come ci è arrivata?

Semplice, noi siamo stati creati schiavi.

Supponiamo, che una civiltà progredita, avesse avuto bisogno di manodopera per svolgere lavori così faticosi che i componenti della stessa non volessero fare e, per questo, stessero cercando chi, al di fuori della loro razza, potesse occuparsene.

Supponiamo che, questa civiltà fosse abitatrice di un pianeta non meglio identificato, supponiamo inoltre che nel loro girovagare cosmico, tali esseri, avessero visto nella terra, un posto su cui reperire elementi quali l’acqua, minerali o altro ancora da utilizzare ma, anche, la possibilità di reperire manovalanza.

Non sarà certo sfuggito loro che tra la fauna terrestre esistevano dei mammiferi che, per le loro caratteristiche morfologiche, se opportunamente riprogettati, avrebbero potuto essere perfetti per i loro fini: Le scimmie.

Ci son teorie che asseriscono che l’uomo discenda dalla scimmia ma qualche lato oscuro si cela nelle stesse, mancherebbe un passaggio fondamentale, l’anello mancante della catena evolutiva.

A mio parere, l’anello mancante è ben conosciuto ma, evidentemente, non è scoperta da rendersi pubblica.

E’ per me difficile credere che la razza umana sia l’evoluzione di una specie che tuttora esiste, e mi spiego meglio.

Se si prende per buona la teoria che gli uccelli discendano dai dinosauri, così come se  accettiamo la tesi che gli elefanti discendano dai mammut, perché, sia i dinosauri che i mammut non esistono più mentre le scimmie ci sono ancora?

Semplice, perché non è avvenuta alcuna evoluzione naturale ma una manipolazione genetica, da parte di una civiltà, che aveva le conoscenze, nonché la tecnica per dar vita a tale progetto.

Ne deriva che l’uomo è una specie creata in laboratorio per un solo scopo, esser utile ad una razza padrona, venuta da chissà dove.

Questo destino lo percepiamo in noi, fa parte del nostro bagaglio cromosomico che ci porta a sottostare a leggi di comportamento ancestrali.

Chi ha la fortuna di avere in casa un coniglietto, potrà esser buon testimone di ciò che asserisco.

Il vostro animaletto è da voi accudito amorevolmente, è protetto, coccolato, viziato, non ha nulla da temere ma, nonostante questo è sempre in allerta.

Basta il suono del campanello della porta, una voce sconosciuta, un rumore improvviso e si spaventa immediatamente, pronto a fuggire verso un luogo sicuro.

E’ quella paura, quel timore del pericolo incombente che ha permesso alla sua specie di sopravvivere in natura, quell’istinto di sopravvivenza che ora è del tutto inutile quanto inutili sono le speranze che l’animale possa liberarsene.

Lui schiavo inconscio dell’istinto di conservazione, inconsciamente schiavi noi oggi, in questa disgraziata condizione, voluti e mantenuti, non più da una civiltà non umana ma da una “inumana”: L’uomo stesso.

Moderni schiavi, succubi di gerarchie e sistemi economico-politico-religiosi che si intersecano tra di loro combinandosi in una perfida miscela.

Si dice che l’uomo sia nato libero e come dimostrato è falso, al massimo, si è talvolta liberato quando è riuscito a dominare il retaggio della schiavitù, quando ha avuta la forza di elevare il proprio pensiero al di là della realtà e persino dei sogni.

Nella storia è successo raramente e non a tutti, solo alcuni hanno avuto questo privilegio che però spesso è stato da loro pagato con la vita, una vita sacrificata per l’umanità intera.

Il primo articolo della nostra Costituzione recita: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”, leggendolo ci illudiamo che sia un inno alla libertà e alla democrazia, ma vi invito a rifletterci in maniera più approfondita.

Belle parole, parole sante, penserete; il lavoro ci dà la dignità, l’autonomia economica, ci permette una prospettiva di futuro, ci dà un posto nella comunità, tutto vero, tutto perfetto, se non fosse che il lavoro ci rende schiavi!

Ci dicono che è un nostro diritto ma, è chiaro, che si sottintenda, invece, che il lavoro sia inteso come un nostro preciso dovere.

Sto dicendo un’eresia, una bestialità, delle belinate senza alcun senso?

Allora proviamo a pensare ad un tizio che si alza alle dieci del mattino e vuole fare colazione col latte freschissimo, con dei prodotti dolciari appena sfornati e la focaccia calda.

Secondo voi, tutto ciò sarebbe possibile se decine di lavoratori non si fossero alzati otto ore prima di lui per consentirgli di trovarli sul tavolo?

Quando prendete un autobus o un treno per spostarvi, avete mai pensato che se non ve la fate a piedi è solo grazie a chi, quei mezzi ha costruiti o conduce, a chi ha perforate montagne per fare delle gallerie, a chi ha stesi chilometri infiniti di binari affinché dei vagoni poi ci corressero sopra?

Certo, ma son pagati, mi direte.

Certo che son pagati ma un compenso non cambia la sostanza, il fatto è che, il bisogno del lavoro resta, obbligatoriamente qualcuno deve lavorare e sottolineo, deve lavorare, affinché la società sopravviva, almeno nei termini in cui la viviamo.

Nulla esisterebbe senza il lavoro, ci vuol poco, quindi, a capire che dove c’è un obbligo non ci possa essere libertà, per cui, fondare una Repubblica sul lavoro significa fondarla non su un diritto ma su una coercizione.

Il lavoro ci dà la dignità, rende la persona degna di rispetto e, in qualche modo, ne certifica l’onestà ed il buon comportamento sociale.

E’ un lavoratore! Si dice, e la parola “lavoratore” ha una valenza diversa, più alta, cambia il senso intrinseco della stessa, prescinde dal lavoro, non si parla di lavoro ma è un attributo migliorativo della persona.
Quindi una persona che lavora, un “lavoratore” appunto, è una persona migliore di una che non lavora?

E’ l’azione manuale o intellettiva che fa la differenza?

No, non è questo, se una persona non è una persona a modo, non lo diventerà di certo andando a lavorare, così come una persona buona non diventerà cattiva quando dovesse abbandonare il lavoro.

La differenza non la fa il lavoro ma la volontà di cercarlo e di svolgerlo nella maniera migliore anche quando questo richiede sacrificio e sofferenza.

Però non raccontiamoci balle e abbandoniamo l’ipocrisia, facciamolo, se non altro, per non offendere chi svolge lavori al limite, e non accostiamo la parola "libertà" alla parola lavoro.

Andiamo a disquisire sulla bellezza del lavoro con un operaio alla catena di montaggio, magari ad un turnista notturno, in lotta con una macchina ed il sonno che lo assale di continuo.

Andiamo a dirlo ad un cameriere che il sabato sera serve da bere a gente che ride e scherza beatamente, diciamogli che il lavoro nobilita, mentre mangiamo e poi rimaniamo lì a ciarlare, proviamo a capire il suo stato d’animo, mentre attende che alziamo il sedere dalla sedia per finire il lavoro che mai finisce.

Per questo motivo, mi sento tremendamente a disagio quando sono in un ristorante, non ho quasi il coraggio di guardare in faccia la persona che mi sta servendo, così come proverei  imbarazzo qualora dovessi passare davanti alla cucina.

“Mi sta servendo” che frase orrenda, io non voglio che qualcuno mi serva, non voglio nessuno che debba lavorare mentre io non lavoro, non voglio che nessuno faccia qualcosa per me se io non faccio nulla per lui, è contro la mia natura e contro le mie idee.

E me ne frego se pago per questo servizio, i soldi non sono sufficienti, non rimettono le cose in pari, non possono essere la paga per un sacrificio.

Il lavoro lo si cerca e lo si svolge per bisogno, perché è l’unico modo onesto per riuscire a sopravvivere e, sottolineo sopravvivere, non a vivere.

La schiavitù generazionale codificata persino nell’articolo della Costituzione, che vorrebbe essere l’essenza stessa della libertà, geneticamente schiavi, illusi di esser liberi solo grazie a dei rettangolini di carta con delle cifre stampate sopra.

E così si giunge al paradosso; gli uomini liberati dalla schiavitù proprio da ciò che più li rende schiavi…. Il denaro.

I nostri progenitori avranno lavorato sotto il ricatto della paura, per avere del cibo, o magari per non essere uccisi, noi dobbiamo farlo col ricatto delle tasse, lavoriamo non più incatenati ma “volontariamente” per reperire il denaro per poterle pagare.

Una trovata geniale per chi non aveva nessuna volontà di rimboccarsi le maniche, a costo zero, anzi a guadagnandoci persino sul lavoro altrui.

Uno schiavo doveva essere sfamato in qualche modo, mantenuto sano per poter svolgere il proprio ruolo, col tempo hanno capito che bastava invece, solamente dire: Mi devi questa somma, se vuoi ti do io il lavoro per reperirla, altrimenti cercatelo dove vuoi, basta che paghi!

E poiché non c’è limite al peggio, ora siamo al punto che le tasse dobbiamo pagarle, non avendo nemmeno più la possibilità di reperire il denaro per farlo, ma dobbiamo farlo lo stesso, fino a quando il cerchio non si chiuderà e ritorneremo in catene.

La vita non è quella che comunemente crediamo sia, quella è solo sopravvivenza.
Quella che conosciamo come vita, ci è stata imposta con delle regole che rispondono ad un modello di schiavitù, un progetto tra i tanti progettabili, non l’unico, non il solo possibile, non il migliore.

E noi ci crediamo e ci uniformiamo a questo, perché mai, abbiamo pensato che un altro fosse immaginabile e men che mai attuabile.

Se abbiamo a disposizione una palla e vogliamo divertirci con essa, pensiamo che la cosa indispensabile sia la palla o le regole utili per giocarci?

Le regole, altrimenti a cosa giochiamo, ……. Penserete.

Ed è qui l’errore, le regole a che servono senza la palla?

E’ la palla il soggetto principale, le regole hanno importanza solamente se si indica il tipo di gioco a cui vogliamo giocare o solo quando tutti d’accordo vogliamo scriverle ma, tutto ciò, viene successivamente.

Noi siamo portati a dare la prima risposta perché ci hanno “ammaestrati” ad un unico pensiero e ad un unico gioco, questa è la palla e queste sono le regole per giocarci, e andate a giocare!

La palla è la metafora della nostra vita; la intendiamo come ce la fanno intendere, ci dicono sia nostra ma le regole per viverla non le abbiamo fatte noi, le troviamo preconfezionate.

Noi goffamente, stupidamente, ciecamente cadiamo nel tranello e viviamo una vita che vita non è, mugugnamo, ci stressiamo, ci ammaliamo e ne moriamo persino, senza capire che non è la vita insopportabile, lo sono le regole, che ci obbligano a viverla in questa triste maniera.

Il tempo cambia le cose, ogni cosa, perché non evolvere il pensiero verso nuove concezioni del modo di vivere?

Penso spesso a due preposizioni che mettiamo in relazione al soggetto “vita”.

La nostra, è la vita “di” o la vita “per”?

Ve la sentite di affermare che la vostra vita sia effettivamente quella di…… aggiungete il vostro nome e riflettete.

Siete assoluti padroni di essa e la potete gestire a vostro piacimento?

Domani, riuscirete a fare qualcosa di concreto, o anche di irreale, se preferite, per giustificare quel “di” che certifica la vostra proprietà?

Potrete pensare a chi veramente siete e a cosa veramente volete?
Potrete guardare il cielo e pensare a cosa mai ci sia al di là di esso, potrete andare in rifugio e lì, davanti ad un camino, aspettare che scenda la notte?

Potrete non fare la funzione di una macchina, potrete “non viver come bruti, ma seguir virtute e canoscenza”?

E per conoscenza non intendo la conoscenza di luoghi geografici ma quella dei luoghi dell’anima, quelli in cui possiamo trovare noi stessi, quei posti ancora inesplorati che ci possono dare la misura di chi siamo e di cosa stiamo a fare in questo mondo manipolato.

No, domattina vi alzerete per correre una corsa ad ostacoli, per spendere ogni vostra energia per trovare i mezzi necessari per far fronte ad impegni che, se fosse stato per voi, mai avreste presi.

 
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Il sole di Ottobre. 3° parte

Post n°219 pubblicato il 18 Febbraio 2013 da lontano.lontano
 
Foto di lontano.lontano

Una vita “per”, insomma, “per” che fa pensare ad un fine da raggiungere o ad una negazione dell’identità, ed anche se analizzata nell’aspetto più alto, ad esempio, un’esistenza “per” i figli, “per” un amore o quant’altro, ma, mai deve coincidere con l’annullamento personale, ed invece, succede quasi sempre.

Personalmente m’impegno ogni giorno per rivendicare il possesso di questa mia vita e vorrei dirlo a questo bambino taciturno e sognatore che ho qui davanti ai miei occhi.

Vorrei fargli conoscere una scorciatoia segreta per trovare meno intoppi sulla normale via,

vorrei parlargli con la voce suadente dell’esperienza condita di folle saggezza.     

Sento il desiderio di farlo accomodare vicino a me, su questa panchina che il sole di ottobre ancora sfacciatamente riscalda, e dirgli che io mi son sentito libero, e lui si sentirà libero, non fisicamente libero, perché anch’io come ognuno di noi sono schiavo di qualcosa ma, intellettualmente, concettualmente, interiormente libero, quando troverà in sé la forza della ribellione a tutto ciò.

Quando l’orgoglio della mia umanità e il rispetto di essa, ad esempio, mi hanno consentito di dire, e a lui consentiranno finalmente di esclamare, quel sempre nascosto: “Non lo so”!

Libero di non sapere tutto, di non dover sempre dimostrare di essere preparato in tutto e su tutto, in ogni occasione, anche la più stupida occasione, sempre che esistano occasioni non stupide che obblighino a questa penosa farsa.

Basta per sempre con la finzione, mia, e con quella ancor più penosa di interlocutori desiderosi di mostrare un’ipotetica superiorità più finta ancora.

Nessuno sa nulla, se è vero com’è vero, che il nostro, è un piccolo mondo e non l’intero universo, se il nostro pianeta è un punto invisibile perso nel cosmo, se ammettiamo essere un nulla, con il nulla delle sue leggi fisiche, chimiche, matematiche e tutte le altre che crediamo cardini della nostra esistenza per la loro sacralità ed intangibilità.
Leggi e teorie che riteniamo possano spiegarci tutto solo perché, mai, ci passa per la mente che nulla valgono a distanza di qualche anno luce.

Tesi da dover dimostrare sempre, perché l’uomo è immodesto e presuntuoso ma, soprattutto, non riesce a convivere con altra realtà che non sia quella codificata, perché questa lo rassicura e lo mette al riparo dall’ignoto.

La paura dell’ignoto, di quello che esiste anche se non ci è dato vederlo, di ciò che si sente ma ci sfugge, di ciò che ci si ostina a negare perché non si possiedono le capacità per poterlo dimostrare.

E’ più importante, più significativo, cosa conta di più, in sostanza, ciò che è codificato, ciò che per convenzione è tenuto come unico parametro o ciò che noi percepiamo?
Il tempo, ad esempio, è più reale quello che ci mostra l’orologio o quello che noi avvertiamo, scandito dal nostro orologio interno?
Se noi facciamo caso al tempo che passa, non possiamo non notare che trascorre in modo sempre diverso.
Quante volte abbiamo detto o diremo… “Belin ma oggi non passa più”……. oppure, se stiamo vivendo un momento bello………. “Ma il tempo è volato”.
Ma chissenefrega  di ciò che segna uno strumento convenzionale, per noi conta il tempo percepito, quello che prescinde da ogni regola, quello che solo ci appartiene, il nostro tempo, non quello altrui.
Per spiegarmi ancor meglio, faccio un esempio di tipo meteorologico, che, guarda caso, ma a mio parere un caso non è, anche a livello climatico/atmosferico si parla di tempo.
Io vivo in un posto che, quando andavo a scuola, si diceva dal clima mite e temperato, ebbene, quando da noi, in inverno ci sono 8° avvertiamo che è freddo e ci stringiamo nel giaccone, più volte però, mi è capitato di vedere dei turisti nordeuropei che passeggiavano tranquillamente con addosso solo un golfino.
E poco più in là, un ragazzo africano imbacuccato, tipo omino Michelin, con gli occhi che, soli, spuntavano da sotto il berretto di lana e il naso da sopra la sciarpa avvolta intorno al collo.
Se dovessimo far solo riferimento al dato oggettivo, dovremmo dire che 8° di temperatura non giustificano né l’atteggiamento del ragazzo che gela dal freddo, né quello di chi gira per strada vestito come in primavera.
Ed è qui l’errore di fondo; considerare quella temperatura un dato da cui non poter prescindere per determinare una sensazione.
La temperatura è molta per uno e poca per un altro, esattamente come il tempo che trascorre.
Immaginiamo che il tempo scorra in linea retta, più propriamente lo possiamo rappresentare come un segmento: la linea retta più breve che unisce due punti.
Ipotizziamo però che quello non sia il solo modo con il quale passino i secondi, i minuti, le ore, gli anni…….
Se prendiamo un termometro, possiamo notare che è diviso in due sezioni, sopra e sotto lo zero, una indica valori positivi (+) l’altra negativi (-).
Proviamo a visualizzare orizzontalmente il segmento tempo proprio come un termometro, di valore 60 minuti, se grosso modo, tracciamo una linea che dal centro di esso, sale verso l’alto e un’altra che scende vero il basso, avremo due valori; positivo e negativo, esattamente come i gradi della temperatura.
Se facciamo corrispondere al valore positivo (verso l’alto) una percezione di malessere - Belin oggi non passa più …. - e gli diamo un valore a caso, mettiamo di trenta minuti, e quella (verso il basso) una percezione di benessere - Ma il tempo è volato…. - il tempo stesso non sarà più rappresentabile con un segmento ma con una linea curva.
Ne deriva che, questa curvatura del tempo, non sarà più il tratto più breve, il tempo “neutro”che abbiamo rappresentato col segmento ma, verrà aumentato del valore positivo e diminuito del valore negativo.
Quindi quell’ora passata in maniera noiosa, stancante o sofferente la percepiremo di 90 minuti (60+30) mentre quella passata in maniera lieta e serena ci sembrerà quantomeno dimezzata a 30 minuti (60-30).
Naturalmente il mio, è solo un ragionamento teorico, ma tutti, nessuno escluso, abbiamo avuto la sensazione che il tempo non sia quell’entità neutra, inalterabile, immutabile che trascorre a prescindere dal nostro operato.
Il tempo “neutro” che è quello che scorre quando non ci soffermiamo ad osservarlo, quello trascorso senza percezioni particolari, quello del sonno ad esempio, esiste ma, se altresì, esistesse anche quello determinato dal nostro comportamento?
Arrivare a dominare il tempo, è un’ipotesi affascinante ma, forse, sarebbe troppo, ciò che più realisticamente possiamo provare a fare è limitare al massimo i periodi di malessere affinché il loro tempo non si espanda e viceversa aumentare quelli di benessere che son sempre troppo brevi.
Lo so che è troppo facile a dirsi e molto difficile a farsi, forse impossibile, come dimostrare la teoria del tempo percepito ma, non tutte le cose possibili, sono possibili e non tutti quelle impossibili sono impossibili, per cui vale la pena tentare.

Riflettete, ma se io so una cosa che potrebbe essere smentita, completamente rovesciata nel suo ragionamento, io so veramente qualcosa?

No, non so nulla, se del nulla, in effetti, parlo.

Viviamo in un mondo tridimensionale e tutto ci pare logico così, e da questa conoscenza tutto facciamo derivare ma, se esistono la quarta e la quinta, e la sesta e chissà quante altre dimensioni, per cui, quanto conta la nostra attuale conoscenza? Zero.

Quindi, anche chi più sa, nulla sa perché il suo sapere è solo, nella migliore delle ipotesi, sbagliato e, nella peggiore ipocritamente fuorviante.

Io non so tutto, so quel che so, esattamente come tutti, nessuno può sapere tutto, ma questo logico pensiero, logico è diventato solo quando ho presa coscienza delle mie possibilità.

Solo quando ho compreso chi sono e mi son liberato dalla schiavitù del pensiero unico di una società che, sempre, mi aveva detto chi “non sono” ma, mai, insegnato ad essere chi veramente sono.

Gira e rigira, tutto ruota intorno a questo, a delle regole finte di una vita resa finta che della finzione si nutre.

“Divide et impera” è uno stratagemma ancora in voga, dividere per dominare, separare, chi può da chi non può, chi ha da chi non ha, chi sa da chi non sa, così da creare sottomissione a livello sia sostanziale che psicologico.

Discriminare le persone facendole sentire inferiori affinché siano passive, affinché si convincano di non essere all’altezza di ricoprire certi ruoli e, in conseguenza di questo, deleghino sempre ad altri il loro destino.

Non sono orgoglioso del mio non sapere, lo sono nel non nasconderlo ipocritamente, lo sono nel chiedere spiegazioni che mi illuminino e, se mi fa piacere ascoltarle, lo sono quando affermo che di ascoltarle nulla mi può interessare.

Non pensiate che sia presunzione la mia, io non posso essere presuntuoso per definizione, se presuntuoso deriva da presumere, ovvero ritenere di essere, io non ritengo di essere, io sono, semplicemente, modestamente sono, perché ho presa coscienza di me e della mia esistenza.

Io sono, non migliore di altri, sono uno, non nessuno, né centomila, io sono io, e così come sono mi accetto e mi voglio perché tanto mi sono impegnato per diventarlo.
Mi appassiono quando dico queste cose perché la ribellione è passione, perché lasciare il limbo del “non essere” per vedere la luce dell’”essere”, è nascere o, se preferite, ……. rinascere.

Sorrido appena io bambino, mentre, quasi a voce alta, gli parlo, parlandomi di queste cose, sorrido nel vento e nel sole di quella giovinezza che a lui pare eterna e che io invece so essere effimera.

Gli vorrei insegnare ad essere sé stesso, svelargli qualche trucco per vivere meglio, e potrei farlo visto il mio grado di preparazione che ritengo oggi sia alto, perché ho capite tante cose che prima mi sfuggivano, perché mi sono accorto che il meccanismo nel quale noi fungiamo da ingranaggi è stato inventato per portare vantaggi unicamente a chi lo ha progettato.

Ed a questo meccanismo mi ribello, perché la ribellione è dello schiavo, ma uno schiavo che si ribella, anche solo con il pensiero è meno schiavo.

Non dobbiamo mai dimenticare che: “Ci fanno ciò che noi permettiamo ci facciano”.

Riflettete bene su questa frase e imprimetevela nella mente affinché sia la luce che vi guida nella notte dell’esistenza.

Spesso, diamo una mano al destino avverso, con i nostri comportamenti; non possiamo certo scongiurare una malattia ma possiamo, talvolta, scongiurare qualche problema di relazione.

Se siamo passivi, se non facciamo rispettare un nostro diritto, se abbassiamo la testa davanti al sopruso, state certi, che tali vessazioni si ripeteranno diventando una prassi consolidata.

Se essendo in fila, il solito personaggio che arriva per ultimo, con destrezza, cerca di guadagnare posizioni, trova accondiscendenza, è chiaro che per lui diventi abitudine farlo visto il raggiungimento del suo scopo, e sempre si comporterà così.

Se qualcuno, agendo per il proprio interesse, ci mette in una condizione che ci penalizza e noi non solleviamo il problema, quel qualcuno, non penserà certamente al nostro malessere, ma al contrario, si convincerà che se noi non obiettiamo nulla è perché, in fondo, la cosa viene bene pure a noi.

E’ questo il passaggio importante, il silenzio assenso, che in questi casi si traduce con subdola e violenta prevaricazione.

“Ma non me lo potevi dire subito?  Io pensavo che……..”

Ecco cosa ci sentiamo rispondere quando alfine ci ribelliamo, quando facciamo notare che il trattamento al quale siamo sottoposti è figlio dell’ingiustizia.

Passiamo pure dalla ragione al torto; non dicendo nulla, diamo il tacito assenso, e ora che le cose sono stabilite andiamo a disattendere questo patto non scritto con le ripercussioni sulla vita degli altri? 

Ma come ci permettiamo un atto simile?
E ne viene ancora a loro perché l’arroganza va di pari passo con la sfacciataggine più estrema.

Non dico di fare delle scenate o di scatenare una rissa ma soltanto di avere rispetto per noi stessi e, conseguentemente, esigerlo dagli altri, esattamente come noi agli altri lo riserviamo.

E’ un nostro diritto ma è anche nostro preciso dovere, perché se non fermiamo coloro che hanno la tendenza ad abusare della timidezza altrui, avremo sempre più tiranni in giro e, di tutto possiamo avere bisogno, tranne che di tiranni.

L’uomo è stato creato schiavo ma molti appartenenti alla nostra specie hanno imparato presto a fare il salto di categoria e diventare padroni, il guaio è che vigliaccamente tiranneggiano i loro pari e mai i potenti.

Una delle cose che più odio nell’uomo è la viltà, l’esser forti con i deboli e deboli con i forti.

Non riesco a giustificare chi, avendo la schiavitù nei propri geni, senta il desiderio di moltiplicarla anziché quello di debellarla.

Pensate ai fenomeni del “nonnismo” nelle caserme o al “bullismo”; individui che, sottomessi gerarchicamente trovano motivo di rivalsa nella vessazione dei sottoposti o comunque di chi non sa difendersi.

Ma questo comportamento quali spiegazioni può avere?

A mio parere coloro i quali si coprono di una tale infamia, lo fanno perché non si rendono conto lucidamente della loro condizione.

Non vogliono ammettere, o non si accorgono veramente, della loro triste vita e la mascherano con un’altra, una pseudo vita, irreale, ma che nella sua allucinazione si presenta loro più gratificante e vivibile.

Se si guardano allo specchio non vedono lo schiavo che deve ubbidire ma il dittatore al quale si deve obbedienza.

Tale deformazione della coscienza non prevede la ribellione ma la prepotenza, non prevede il riscatto e la liberazione ma un’esistenza fatta di una libertà inventata che è peggio della schiavitù vera.

Povero ragazzino, quante cose vorrei dirti, e altre ancora, quasi a farti un lavaggio del cervello se solo tu avessi la possibilità di ascoltarmi e ascoltandomi, avessi anche la minima possibilità di cavartela meglio di quanto abbia fatto io quando ero te!

 
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Il sole di Ottobre. 4° parte.

Post n°220 pubblicato il 18 Febbraio 2013 da lontano.lontano
 
Foto di lontano.lontano

Povero ragazzino, ma mi crederesti se io ti raccontassi questa favola o la prenderesti proprio come una favola, per cui soltanto fantasiosa ed inattendibile?

Mi crederesti a modo tuo, forse, con la speranza in un finale diverso, con quel tuo modo di credere che oggi, non ricordo manco bene quale fosse.

Crederesti a me che ti ribalto lo scenario che ti hanno imposto fin da piccolo affinché si radicasse in te, facendoti diventare un ottimo fruitore di menzogne confezionate ad arte?

Crederesti a chi ti dice che quella alla quale vai incontro, non sarà la tua vita se non ti batterai per riappropriartene, se non capirai che la vogliono per usarla a loro piacimento.

Ora stai credendo nell’onestà, nella buonafede, nella bontà che, sei convinto, sia insita nell’uomo stesso, in quella visione virtuale di una vita che pensi sia fatta di tanti come te.

Oggi invece, a differenza tua, io coniugo sempre di meno il verbo “credere” che è, a mio parere, un verbo definitivo, ovvero preclude ogni confronto e limita gravemente ogni pensiero.

Se io parlo con una persona che crede fermamente in qualcosa, come posso mettere in discussione il suo sentire che è fondato sulla fede?

Fede, in senso allargato significa fiducia, certezza, convinzione basata su un dogma da cui non prescindere, è così e basta, e se è così non si torna indietro ma, a mio parere, con questa presa di posizione, non si andrà neppure mai avanti.

Io non voglio credere in Dio, ad esempio, io voglio parlare di Dio, voglio pensare a chi sia Dio, voglio capire, ragionarci anche senza prove, preferisco vederci male piuttosto che essere cieco.

Credere in Dio mi pare persino una bestemmia, è come dare ragione a qualcuno tanto per toglierselo dalle scatole, è come dire, massì meglio credere a ciò che mi hanno detto piuttosto che perderci del tempo a pensarci su.

E invece voglio pensarci, a modo mio, senza il timore di ragionamenti improbabili e azzardati, facendo volare il pensiero razionale nel cielo dell’immaginazione più fantasiosa.

Se ritorniamo un attimo alla genesi dell’uomo che passa dallo stadio di animale a quello di umano, cosa può essergli successo a livello fisico nonché emotivo?.

Di certo i primi esperimenti di passaggio da scimmia ad umano, non saranno venuti un granché, probabilmente questi “scarti” saranno stati abbandonati al loro destino, e, con tutta probabilità, ciò che la scienza dice di sapere dell’evoluzione è proprio questo.

Ma degli altri, quelli che di esperimento in esperimento sono stati perfezionati cosa si sa?

Come ho già detto, sono diventati quegli schiavi utili alla causa, che per semplificare chiamerò “extraterrestre”, ma non solo.

Proviamo a pensare che questa nuova razza di schiavi umanoidi, sia venuta proprio bene, forse troppo bene e il loro cervello avesse cominciato a funzionare come forse, neppure i loro creatori si aspettassero.

Poiché nello schiavo è insita la ribellione, proviamo ad immaginare che, presa coscienza del loro destino e delle loro possibilità, questi “quasi umani” si fossero ribellati veramente.

Non ho la pretesa di suffragare queste mie fantasie con delle prove, mi limito a farvi notare queste curiose coincidenze.

Le frasi: “L’uomo è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio” e all’atto della cacciata dal Paradiso “Partorirai con dolore”, rivolto alla donna, vi offrono occasione per qualche riflessione?

Se davvero lo scenario fosse quello che ho proposto, si potrebbe asserire che; se l’uomo è stato creato geneticamente, ed è immagine e somiglianza del suo creatore, posto che il suo creatore è un essere extraterrestre, Dio è un essere extraterrestre e non il Dio del catechismo.

E poi, perché mai una donna, tutto ad un tratto, dovrebbe partorire con le classiche doglie di un parto umano? Prima non le aveva?

Evidentemente no.

Secondo me è andata in questa maniera: La nuova razza semiumana essendo schiava, non doveva far fronte alle proprie esigenze, doveva solo lavorare, a tutto il resto provvedeva la razza padrona.

All’atto della ribellione che, pare senza spargimento di sangue, forse perché gli schiavi non erano più così insostituibili, la razza extra terrestre li mollò al loro destino, esattamente come aveva fatto con i primi esemplari.

E’ logico pensare che le donne in quel “paradiso” avessero fecondazioni non del tutto naturali ed anche i loro parti avvenissero in maniera tecnologica.
Ottennero la libertà ma non gratuitamente perché, da quel giorno, dovettero provvedere al loro sostentamento, dovettero probabilmente scontrarsi con le razze meno evolute (ecco spiegato perché queste sparirono), la procreazione non fu più assistita e senza “aiuti” il loro DNA diventò unicamente umano.

Di tutto ciò, cosa rimane in noi?

Il concetto di schiavitù e il concetto di Dio.

E’ strano se la concezione di Dio è legata ad un essere perfetto che sta nei cieli, che intimorisce perché così troppo diverso da chi lo guarda, perché avvolto di luce, perché riesce a fare cose impossibili?

No, penso proprio di no, la rappresentazione dell’accaduto nella sua approssimazione è dettagliata ma i dettagli sono confusi nella difficoltà lessicale.

Ogni descrizione è figlia dei propri tempi e, come dicevo all’inizio, se una cosa non si è mai vista, la si può descrivere solamente facendo riferimento a cose conosciute, motivo per il quale è logico che essa possa essere fuorviante.

Immaginate di essere un uomo all’inizio della sua evoluzione, ancora limitato nel linguaggio, come descrivereste una torcia elettrica?

Bastone che fa luce?         E un accendino? Una pietra da cui esce fuoco?

E un’astronave non potrebbe ricordare un drago volante?

A questo punto, mi pare certa la presenza di un Dio nella vita degli uomini, stabilire chi esso sia veramente è cosa molto meno scontata di quanto ci suggeriscano alcune religioni.

Io non posso andare al di là di queste mie fantasiose congetture, non posso affermare nulla e nulla posso negare, mi limito a pormi delle domande e a darmi delle risposte, visto che risposte esaurienti e definitive in giro non ne trovo.

Mi piacerebbe cercarle dove penso che siano, tra i documenti segreti dell’archivio Vaticano, in quegli ottanti chilometri di scaffali contenenti la storia del mondo, forse, la vera storia del mondo o, forse, la storia del mondo vero.

Vi siete mai chiesti perché tutto il sapere mondiale sia concentrato in Vaticano?
Uno Stato inesistente, in pratica, ma uno Stato così potente da dominare il mondo con quattro guardie armate di alabarda, a fare e disfare a proprio piacimento senza render conto a nessuno.

Perché tanto potere in pochi chilometri di terra?

Forse perché il potere lo danno le ricchezze economiche, i segreti ricattatori posseduti e i personaggi ricattabili.

Ci sono cose che non possono essere svelate perché, chi comanda il mondo non ha nessun interesse a farlo, e chi potrebbe farlo tace, oltre che per il proprio tornaconto, anche in cambio di altrettanto potere, in nome di un Dio che, poverino, è solo un mezzo innocente e non il fine.

Pertanto una cosa mi pare scontata, se ci hanno proposto un Dio diverso da quello che realmente in origine fu, è perché avevano la convenienza per farlo.

Questo povero Dio è stato gestito e usato per compiere ogni tipo di infamia, nel suo nome hanno compiuti genocidi, hanno ammazzate milioni di persone, hanno torturato e calpestata la dignità umana, pensate che raccontando un’altra storia tutto ciò, avrebbe potuto avvenire ugualmente?

Proviamo a fare questo ragionamento: se Dio è il potere assoluto, chi si propone quale suo “portavoce” non ha il potere assoluto perché sarebbe impossibile, ma quello terreno si, perché da tale investitura lo fanno derivare.

C’è qualcuno che pensa che a codeste persone importi qualcosa del potere ultraterreno, delle ricchezze spirituali, quando possono disporre a piene mani di quelle terrene?

E comportandosi in questa maniera che credibilità possono avere, come possono venirci a parlare di Dio, quando coi fatti, smentiscono ogni atto che gli attribuiscono ed ogni parola che ci dicono da lui proferita?.

Mi piacerebbe davvero tanto, che ci fosse un essere sovrannaturale che tutto vede e che tutto regola, che interviene per soccorrere chi è in difficoltà e per punire chi sta compiendo il male; raffigurato tra le nuvole con un’espressione austera ed un bel barbone bianco.

Mi piacerebbe perché sarebbe un bel paracadute sempre aperto, una polizza assicurativa contro la sofferenza ma mi sa che non vada proprio così, il male prolifera su questa terra e, chi lo causa, tanti disagi mi pare che non li soffra.

Mi piacerebbe perché ricorrere a Lui nei momenti difficili è cosa automatica per tutti, anche per i non credenti, perché un Dio nella nostra memoria ancestrale c’è e ritenerlo un padre al quale affidarci per essere aiutati è cosa logica e spontanea, per quanto riguarda poi la natura di questa paternità, ho ampiamente detto sopra.

Un paracadute non lo è, o almeno non per tutti, ma un parafulmine per molti lo è eccome.

E’ facile e comodo mugugnare e incolpare Dio per il mancato intervento nella necessità ma, questo nostro atteggiamento è una puerile scusa per tacitare la nostra coscienza che, a dirla tutta, non è che rimorda poi un granché.

Ci dovrebbe pensare Dio, e se non ci pensa lui che può tutto, perché mai dovremmo farlo noi?  E quest’inno al paraculismo, al menefreghismo, giustifica la sua presenza anche nel pensiero dei non credenti che si avvalgono di questo per essere anche “non operanti”.

Nella mia mente pensieri su chi sono, da dove io venga, su cosa io faccia qui, su Dio e sulla realtà irreale che vivo, pensieri rivolti a sto ragazzino con le braghe corte ed il fare misurato, che già rincorre un pensiero che gli sfugge, che arriva al limite delle sue conoscenze e non riesce ad andare oltre.

Lui oggi crede per abitudine, crede a ciò che gli viene messo a disposizione, tanti “perché”, tanti “se” e tanti “ma” difficili, si nascondono ancora dietro risposte più semplici.

Vive oggi quell’età che, comunemente, si definisce meravigliosa e spensierata ma per lui così non è.

Non riesce ad essere spensierato perché un’educazione improntata alla responsabilità non glielo ha mai permesso.

Mi accorgo oggi che quel bambino è stato solo parzialmente bambino, me ne accorgo oggi che sono quasi totalmente bambino.

Si, oggi sono libero di essere quel bambino che lui non poteva essere, oggi che posso rincorrere i sogni che lui aveva in embrione, quei sogni in attesa di un sognatore che li potesse sognare.

Vivo così una vita perennemente intrisa di irrealtà, una vita vera e una non vera ma, sempre più spesso, non capisco quale sia l’esatta successione.

Se non impegnata in pensieri pressanti, la mente vaga in un mondo lontano, lontano un centimetro dal nostro, che si potrebbe raggiungere con il minimo sforzo, se solo si usasse  un minimo di buonsenso.

Provo grande affetto per lui, ma non perché quel “lui” sia io ma perché so che avrà da patire e non è possibile non provare questo sentimento verso chi si appresta alla sofferenza.

E’ l’affetto che si ha per la vittima designata, per colui che non può sfuggire al proprio destino, senza aver la possibilità di combattere, a differenza di quanto tutti noi possiamo fare, per cambiarlo, o forse, come tutti noi ci illudiamo di poterlo cambiare.

Vorrei dargli dei consigli, vorrei poter parlargli e raccontargli, come quei “vecchi” che più volte ci hanno detto….. “io ci sono già passato”, rendere possibile, almeno per una volta, quel fatidico “ se potessi tornare indietro…!”

Ma non posso farlo perché sarebbe inutile e, quand’anche inutile non fosse, non potrei lo stesso perché se lui mutasse il proprio destino io non sarei qui ora, non sarei la persona che oggi sono e, non è escluso, che potrei anche non esistere più.

Sono dell’avviso che la vita sia una sequenza di eventi indissolubilmente legati uno all’altro,

un evento influisce e determina sempre quello successivo.

Essì perché, la vita che stiamo vivendo, avrebbe potuto essere una vita completamente diversa se soltanto avessimo cambiata anche una sola scelta fatta in  un dato momento.

Immaginate che la vita sia una catena fatta di anelli di misura diversa.

Gli anelli più grandi sono i momenti delle scelte importanti che potremmo chiamare “Scelte base”, quelli più piccoli sono i periodi di tempo comuni, quelli vissuti in maniera, diciamo, normale o automatica.

Devo precisare che il mio ragionamento è valido per le persone che hanno raggiunta un’esperienza di vita importante o un periodo di vissuto che abbia imposta almeno una Scelta base, altrimenti è inutile proseguire.

Ebbene, io sostengo che, cambiando un anello “Scelta base” della nostra catena, cambierebbe tutta la catena da quel momento in poi.

Per essere ancora più chiaro, chiamerò:

“A” il periodo di catena prima della Scelta Base.

“B” l’anello Scelta Base

“C” il periodo dopo l’anello “B”

Ne deriva che la nostra esistenza vista oggi sia la catena “AC” ovvero una sequenza che riteniamo logica e naturale, lo svolgimento della nostra vita.

Proviamo invece ad immaginare di sostituire l’anello “B” con l’anello “X” ovvero una scelta totalmente diversa da quella fatta realmente.

Non è difficile osservare che la catena “A” rimane inalterata ma cambia la parte da “B” a “C” che diventerebbe “XY”.

Quindi la catena originata sarebbe “AY”

E’ ovvio che questo giochetto si possa fare a solo a posteriori, solo ora possiamo analizzare la nostra vita, solo dopo che si sia compiuto possiamo dare un giudizio sul nostro destino.

Ma dopo tante formulette che non facilitano la lettura proviamo a fare un ragionamento molto più pratico ed un esempio che meglio ancora chiarirà il mio pensiero.

 
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Il sole di Ottobre. 5° parte.

Post n°221 pubblicato il 18 Febbraio 2013 da lontano.lontano
 
Foto di lontano.lontano

Pensate ad un uomo che rimane vittima di un incidente, i suoi impegni giornalieri vengono stravolti e cambiano improvvisamente.

Viene trasportato al pronto soccorso dove è curato, ed è assistito da un’infermiera coi capelli del colore del grano e gli occhi scuri e profondi.

Quegli occhi si incontrano coi suoi e, senza parole, per dei momenti infiniti, non si staccano, non si vogliono staccare e, in silenzio hanno già deciso che non si staccheranno.

Quell’incontro sarebbe potuto avvenire se uno avesse fatta un’altra strada o se l’altra avesse avuto un turno di lavoro diverso?

Certo che no, ma questo attiene al caso, al destino e non al libero arbitrio ma i due, ora si trovano davanti ad una scelta.
Dipende solo da loro se attaccare l’anello ad una delle due catene che, attualmente sono del tutto virtuali ed una lo rimarrà per sempre mentre l’altra sarà la loro vita.

In questo momento si decide del loro futuro ma anche di quello di tutte le altre persone che avranno a che fare con loro da questo momento in poi.
Si decide ora se dei bambini verranno al mondo oppure no, si decide ora persino della vita o della morte di qualcuno.

E’ probabile che nessuno di voi ci abbia mai pensato, provate a farlo ora, provate ad osservare la vostra vita fin qui vissuta, provate a sostituire un “si” con un “no” oppure a concretizzare un “se” e vi renderete conto che, forse, non sareste neppure qui a leggermi, ammesso che io oggi potessi esser qui a scrivervi.

Non mi trovo nella situazione dei personaggi cinematografici che tornano indietro nel tempo e, facendo questo, riescono a determinare l’andamento della loro vita da quel momento in poi, io ho davanti solo la mia immagine da ragazzino, il ricordo animato di me, e i ricordi anche se un po’ confusi dal tempo, non modificano gli eventi.

Non posso modificare nulla, e dico non posso e non, non vorrei, perché lo vorrei eccome, ma non mi è, e non mi sarebbe possibile, neppure cambiare una virgola di ciò che ho fatto, perché anche una sola virgola aggiunta o eliminata muterebbe l’intero corso della mia storia.

Ed anche per questo motivo dobbiamo estirpare dalla nostra mente tutti quei sensi di colpa che ci logorano la mente e l’anima, non ha senso averli perché non ha senso stare male due volte, perché non ha senso questa maledetta visione di colpa e peccato che ci hanno inculcata.
Non ha senso provare rimorsi perché nel momento di prendere una decisione, chiunque sia in grado di intendere e di volere, ha sicuramente optato per la scelta che in quel momento riteneva essere la migliore.
Si può sbagliare, e tutti noi abbiamo sbagliato qualcosa, ma processarsi e condannarsi alla pena eterna non è giusto perché mai, facendo questo, prendiamo in considerazione che, nella decisione incriminata non c’è dolo e soprattutto è assicurata la buonafede.

Che sia poi il tempo ad emettere un giudizio sulla bontà o meno della scelta fatta è del tutto irrilevante perché è troppo facile parlare a posteriori, perché è troppo facile puntare sul vincitore a gara conclusa.

Sono dell’avviso che conti solo il presente perché il passato non esiste più, se non nella nostra memoria, mentre del futuro non possiamo avere la certezza della sua esistenza.
Da ciò si desume che l’unico stato razionalmente esistente, il presente appunto, sia anche quello più breve, è una frazione di secondo tra il futuro ed il passato.

Ora è presente, tra un secondo sarà passato ed il prossimo secondo sarà futuro, ciò dimostra che dobbiamo vivere nel momento in cui viviamo, aspettare a farlo domani è inutile quanto rimpiangere oggi di non averlo fatto ieri.

Ciò che affermo penso sia innegabile ma è innegabile per le nostre conoscenze attuali, per la nostra realtà conosciuta e non per quella che potrebbe esistere a nostra insaputa.

Supponiamo che esista una dimensione sconosciuta, che risponda ad una legge naturale, innaturale per le nostre esperienze attuali, un qualcosa che non so definire e che, per farmi capire da tutti, definirò  in maniera accessibile, macchina del tempo.

Bene, se esiste la macchina del tempo, posso ipotizzare che con essa, ci si possa spostare su e giù per lo stesso e per lo spazio, nel passato che fu e nel futuro che sarà.

Ipotizziamo ora, che io sia già morto almeno una volta, morto un giorno di un anno indefinito, e sia rinato, esattamente come certificato all’anagrafe.

Ebbene, se accettiamo il teorema dell’esistenza della macchina del tempo, perché dovrei  dare per scontato che io sia nato, per forza, in un mio futuro?

Potrei esser morto, ieri, oggi magari, o domani, e poi, essere ritornato in una nuova vita, cinquantasette anni fa, esser nato, quindi, nel mio passato.

E se diamo per vera questa mia tesi, oggi, io sto vivendo in un tempo già trascorso, e non, come tutti diamo per certo, in un tempo a me successivo.

In breve, se un individuo muore nel 2013, essendo il tempo, percorribile per tutto il suo corso, e non solo in proiezione futura, è lecito pensare che si possa ritornare anche ad epoche precedenti.

Forse ho lasciato la mia vita nel 2019 o nel 2099, in un anno a caso, ciò che mi chiedo è perché sia rinato proprio nel 1956.

Se potessi scegliere, io vorrei vivere nell’epoca dei cavalieri e delle castellane, quel segmento di civiltà e di storia che si mescola con la magia, col mito e la leggenda.

Castelli, cavalli al galoppo, duelli, e capelli biondi di donne angelo, il fuoco che arde nei camini ed una natura ancora incontaminata.

Perché allora non vivo lì ora?         
Ho scelto io la nostra epoca o mi è stata imposta?

Propendo più per la seconda ipotesi, l’idea di una libera scelta, mi lascia alquanto perplesso, esser liberi totalmente, penso che sia solo una meravigliosa illusione.

Io, e tutti voi, potremmo essere, come una stella già morta ma che crediamo ancora esistente, solo perché la sua luce sta ancora viaggiando verso i nostri occhi.

Possiamo escludere che la terra sia già disabitata, priva del genere umano, forse causa di una catastrofe naturale, forse a causa di una guerra atomica o chissà per cos’altro ancora?

E’ solo fantascienza pensare che si possa vivere pur essendo già morti?

Non è follia pensarlo, anche perché di resurrezione e nuova vita, non ne parlo di certo io per primo, che effettivamente esista una connessione, tra le dottrine religiose e la “macchina del tempo” è altamente suggestivo.

Chissà se la verità è nella fantasia, chissà se la realtà è davvero così reale, una cosa è certa però, la vita, qualunque essa sia non riusciamo a viverla degnamente, invece di essere una grande occasione da sfruttare è un peso difficile da sopportare.

Qualcuno si è mai chiesto perché succeda tutto ciò, e soprattutto perché, alla logica idea di un radicale cambiamento, si risponda sempre che ciò sia impossibile?
Ma perché un’azione, un pensiero, un ragionamento, devono essere ritenuti impossibili, anche solo concettualmente, senza neppure essere presi in considerazione?
Eppure alcune idee sono progredite, persino progetti che sapevano di mera follia hanno vista la luce, ma una nuova filosofia di vita non ha mai avuto successo a livello planetario.
Che la spiegazione sia da ricercarsi nella paura di un mancato profitto che, coloro i quali reggono le sorti del mondo possano avere, non mi pare priva di fondamento.
Proviamo a pensare, per fare qualche esempio, alle pietre preziose.
E’ razionalmente concepibile che si attribuisca un valore così alto a delle pietre che, per tanto splendide esse siano, sempre pietre rimangono?
Eppure, a causa di questo valore, delle persone sono ridotte in schiavitù e arrivano anche a perdere la vita, ammesso che quella che conducono si possa chiamare così.
Altre fanno sacrifici economici rilevanti per far si che una di esse luccichi e faccia bella mostra di sé sul dito di una donna ma, sempre di una pietra si tratta.
Una pietra su un piatto della bilancia e le vite invivibili di molte persone sull’altro, esistono dei dubbi sulla parte dalla quale il piatto penderà?

Le pietre preziose, diventano tali perché sono rarissime e l’unica legge economica che, a mio parere abbia un fondamento, recita che se un bene è scarsamente disponibile il suo valore aumenta.

Ma chi attribuisce l’importanza e, conseguentemente il valore di tale bene?

Il consumatore finale, verrebbe da pensare, ma se ci riflettiamo un momento ci accorgiamo che non è proprio così automatico.

L’entità economica del bene e la sua fruizione, sono determinati dal produttore stesso e solo indirettamente dal bisogno del compratore.
Per rimanere sull’argomento pietre preziose, se coloro i quali hanno visto un affare economico la loro commercializzazione, non avessero creata l’attrazione verso l’effimero, oggi non avrebbero maggior valore di una pietra qualsiasi.

Sono bellissimi quei colori e quei giochi di luce incredibili che le gemme creano ma, ci nutrono i diamanti, ci tolgono la sete se siamo assetati, sono un bene irrinunciabile come l’acqua o possiamo vivere anche senza possederle?
Certo che possiamo ma, nonostante questo, desideriamo i diamanti più di quanto possiamo desiderare l’acqua, e li desideriamo perché qualcuno ha fatto in modo che li desiderassimo.

Ricordate i film in bianco e nero degli anni 30’?
I personaggi erano avvolti nelle nuvole di fumo delle loro sigarette, secondo voi, perché fumavano così accanitamente?

Perché le industrie del tabacco pagavano affinché i miti cinematografici fossero da emulare, anche e soprattutto per quello.
Esiste in natura qualcosa di più effimero del fumo?

No, lo è per definizione ma il vacuo, l’inutile e, parlando di fumo persino il dannoso, è diventato oggi un bene irrinunciabile.

Gli esempi da citare sarebbero innumerevoli, ed ogni volta la logica ed il buonsenso rimbalzano contro il muro di gomma di intoccabili interessi economici.

La società in cui viviamo, il mondo ed  il suo modo di intenderlo e di viverlo dovrebbero essere riformati su basi nuove, sulle cose concrete ma, contemporaneamente sul sogno, sulla ragione ma anche sull’utopia, sulla prosa ma anche sulla poesia.

Se si vuole davvero giocare ad un gioco nuovo, ci vogliono regole nuove, non è possibile continuare ad adottare quelle vecchie che, tra l’altro, hanno fatto di un gioco il peggiore degli incubi.

Vivere in maniera diversa, cambiare il mondo e ripensarlo secondo una concezione nuova, abbatterlo per poi ricostruirlo, di per sé, non sarebbe difficile come potremmo ipotizzare, la cosa quasi impossibile è rimuovere l’ostacolo personificato dal potere di coloro che a tale cambiamento si oppongono.

Il potere economico di pochi che non se ne vogliono privare, una casta che ha costruiti i propri privilegi sulla sofferenza dei popoli, individui che, con la forza della ricchezza, hanno instaurata una dittatura mondiale organizzata ed imbattibile.

Sono stati bravi costoro, non hanno lasciato nulla al caso, sono persone preparatissime e senza scrupoli che hanno saputo creare una trappola mortale nella quale l’umanità è caduta senza neppure rendersene conto.

Un passo alla volta nascosti nell’ombra, senza apparire, senza esistere ufficialmente, hanno dettate le loro regole economicide e ce le hanno fatte accettare spacciandole per la panacea per i nostri affanni.

Corrompendo, mettendo a libro paga l’intera informazione e schiere di politici senza scrupoli, hanno cancellata la verità per sostituirla con le loro menzogne, trasformandola nel verbo divino al quale dobbiamo attenerci senza mai obiettare, pena la condanna per eresia.

La cosa tragica è che facendo il lavaggio del cervello alle masse, cancellando le facoltà critiche e inibendo il pensiero libero e autonomo di esse, sono riusciti a far controllare le masse dalle masse stesse.

Se io faccio questi ragionamenti, se espongo queste mie tesi anche a persone che ritengo fidate, persino da queste, ottengo delle frasi fatte, delle controteorie composte al massimo da tre parole, che partono in automatico dalla bocca senza neppure passare per il cervello.

Pur essendo, i miei interlocutori, persone intelligenti, non riescono ad affrancarsi dall’indottrinamento di cui sono vittime e, come automi obbediscono a dei riflessi condizionati e alle sollecitazioni fatte loro pervenire dai sicari dei potenti.
Dei perfetti imbecilli diventano così, grazie a questa falsificazione, dei vati dell’economia, della politica, dei massimi sistemi, per cui grazie a questo giochetto ogni idea di cambiamento e di speranza per una vita a misura d’uomo muore sul nascere, costringendoci pertanto a continuare a vivere una vita a misura di schiavo.

E così il cerchio si chiude, nati per essere schiavi e da schiavi morire.

Sono persino stanco di pensare ma come fare a non pensare?

Molte persone mi dicono di fare mille cose per non pensare, io riesco a fare a malapena una sola cosa fra mille pensieri.

Si cerca di non pensare perché pensare è sofferenza, pensare è aver a che fare con i guai giornalieri, con il passato di rimpianti e col futuro di timori.

Ma sfinire il cervello nel non pensiero non è una soluzione praticabile, meglio piuttosto imparare a pensare, elaborando una strategia che porti ad un'assoluzione di un passato ormai passato ed una consapevole presa di coscienza della non certezza del futuro.

Meglio evadere nell'irrealtà reale che ci liberi, anche se momentaneamente, dalle ansie di una realtà irreale, meglio lasciarsi andare in un sogno che faccia nascere una speranza piuttosto che rimanere nell'incubo che la fa morire.

Mi alzo dalla panchina e mi accorgo che queste ore passate qui non sono state un’allucinazione, non ho sognato, non ho visualizzato nulla di irreale, io bambino sono qui, in un involucro di cinquant’anni di più.

Gli anni mi sono passati addosso, ma non sono riusciti ad invecchiare il bambino che è in me, come ora fa l’onda su questi piccoli scogli, ma non riesce a coprirli che per pochi secondi.
Oggi mi sono incontrato in questo pomeriggio illuminato dal sole di Ottobre, ho rivista la mia vita senza fare un bilancio, e non avrebbe senso farlo perché il mio passato è stato solo un passaggio obbligato per avere questo presente e quel po’ di futuro che mi sarà concesso.

 
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