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Il sole di Ottobre. 3° parte
Post n°219 pubblicato il 18 Febbraio 2013 da lontano.lontano
Tag: Costituzione italiana art.1, Dio e gli dei, genesi umana, il tempo percepito, La macchina del tempo, libro Una vita “per”, insomma, “per” che fa pensare ad un fine da raggiungere o ad una negazione dell’identità, ed anche se analizzata nell’aspetto più alto, ad esempio, un’esistenza “per” i figli, “per” un amore o quant’altro, ma, mai deve coincidere con l’annullamento personale, ed invece, succede quasi sempre. Personalmente m’impegno ogni giorno per rivendicare il possesso di questa mia vita e vorrei dirlo a questo bambino taciturno e sognatore che ho qui davanti ai miei occhi. Vorrei fargli conoscere una scorciatoia segreta per trovare meno intoppi sulla normale via, vorrei parlargli con la voce suadente dell’esperienza condita di folle saggezza. Sento il desiderio di farlo accomodare vicino a me, su questa panchina che il sole di ottobre ancora sfacciatamente riscalda, e dirgli che io mi son sentito libero, e lui si sentirà libero, non fisicamente libero, perché anch’io come ognuno di noi sono schiavo di qualcosa ma, intellettualmente, concettualmente, interiormente libero, quando troverà in sé la forza della ribellione a tutto ciò. Quando l’orgoglio della mia umanità e il rispetto di essa, ad esempio, mi hanno consentito di dire, e a lui consentiranno finalmente di esclamare, quel sempre nascosto: “Non lo so”! Libero di non sapere tutto, di non dover sempre dimostrare di essere preparato in tutto e su tutto, in ogni occasione, anche la più stupida occasione, sempre che esistano occasioni non stupide che obblighino a questa penosa farsa. Basta per sempre con la finzione, mia, e con quella ancor più penosa di interlocutori desiderosi di mostrare un’ipotetica superiorità più finta ancora. Nessuno sa nulla, se è vero com’è vero, che il nostro, è un piccolo mondo e non l’intero universo, se il nostro pianeta è un punto invisibile perso nel cosmo, se ammettiamo essere un nulla, con il nulla delle sue leggi fisiche, chimiche, matematiche e tutte le altre che crediamo cardini della nostra esistenza per la loro sacralità ed intangibilità. Tesi da dover dimostrare sempre, perché l’uomo è immodesto e presuntuoso ma, soprattutto, non riesce a convivere con altra realtà che non sia quella codificata, perché questa lo rassicura e lo mette al riparo dall’ignoto. La paura dell’ignoto, di quello che esiste anche se non ci è dato vederlo, di ciò che si sente ma ci sfugge, di ciò che ci si ostina a negare perché non si possiedono le capacità per poterlo dimostrare. E’ più importante, più significativo, cosa conta di più, in sostanza, ciò che è codificato, ciò che per convenzione è tenuto come unico parametro o ciò che noi percepiamo? Riflettete, ma se io so una cosa che potrebbe essere smentita, completamente rovesciata nel suo ragionamento, io so veramente qualcosa? No, non so nulla, se del nulla, in effetti, parlo. Viviamo in un mondo tridimensionale e tutto ci pare logico così, e da questa conoscenza tutto facciamo derivare ma, se esistono la quarta e la quinta, e la sesta e chissà quante altre dimensioni, per cui, quanto conta la nostra attuale conoscenza? Zero. Quindi, anche chi più sa, nulla sa perché il suo sapere è solo, nella migliore delle ipotesi, sbagliato e, nella peggiore ipocritamente fuorviante. Io non so tutto, so quel che so, esattamente come tutti, nessuno può sapere tutto, ma questo logico pensiero, logico è diventato solo quando ho presa coscienza delle mie possibilità. Solo quando ho compreso chi sono e mi son liberato dalla schiavitù del pensiero unico di una società che, sempre, mi aveva detto chi “non sono” ma, mai, insegnato ad essere chi veramente sono. Gira e rigira, tutto ruota intorno a questo, a delle regole finte di una vita resa finta che della finzione si nutre. “Divide et impera” è uno stratagemma ancora in voga, dividere per dominare, separare, chi può da chi non può, chi ha da chi non ha, chi sa da chi non sa, così da creare sottomissione a livello sia sostanziale che psicologico. Discriminare le persone facendole sentire inferiori affinché siano passive, affinché si convincano di non essere all’altezza di ricoprire certi ruoli e, in conseguenza di questo, deleghino sempre ad altri il loro destino. Non sono orgoglioso del mio non sapere, lo sono nel non nasconderlo ipocritamente, lo sono nel chiedere spiegazioni che mi illuminino e, se mi fa piacere ascoltarle, lo sono quando affermo che di ascoltarle nulla mi può interessare. Non pensiate che sia presunzione la mia, io non posso essere presuntuoso per definizione, se presuntuoso deriva da presumere, ovvero ritenere di essere, io non ritengo di essere, io sono, semplicemente, modestamente sono, perché ho presa coscienza di me e della mia esistenza. Io sono, non migliore di altri, sono uno, non nessuno, né centomila, io sono io, e così come sono mi accetto e mi voglio perché tanto mi sono impegnato per diventarlo. Sorrido appena io bambino, mentre, quasi a voce alta, gli parlo, parlandomi di queste cose, sorrido nel vento e nel sole di quella giovinezza che a lui pare eterna e che io invece so essere effimera. Gli vorrei insegnare ad essere sé stesso, svelargli qualche trucco per vivere meglio, e potrei farlo visto il mio grado di preparazione che ritengo oggi sia alto, perché ho capite tante cose che prima mi sfuggivano, perché mi sono accorto che il meccanismo nel quale noi fungiamo da ingranaggi è stato inventato per portare vantaggi unicamente a chi lo ha progettato. Ed a questo meccanismo mi ribello, perché la ribellione è dello schiavo, ma uno schiavo che si ribella, anche solo con il pensiero è meno schiavo. Non dobbiamo mai dimenticare che: “Ci fanno ciò che noi permettiamo ci facciano”. Riflettete bene su questa frase e imprimetevela nella mente affinché sia la luce che vi guida nella notte dell’esistenza. Spesso, diamo una mano al destino avverso, con i nostri comportamenti; non possiamo certo scongiurare una malattia ma possiamo, talvolta, scongiurare qualche problema di relazione. Se siamo passivi, se non facciamo rispettare un nostro diritto, se abbassiamo la testa davanti al sopruso, state certi, che tali vessazioni si ripeteranno diventando una prassi consolidata. Se essendo in fila, il solito personaggio che arriva per ultimo, con destrezza, cerca di guadagnare posizioni, trova accondiscendenza, è chiaro che per lui diventi abitudine farlo visto il raggiungimento del suo scopo, e sempre si comporterà così. Se qualcuno, agendo per il proprio interesse, ci mette in una condizione che ci penalizza e noi non solleviamo il problema, quel qualcuno, non penserà certamente al nostro malessere, ma al contrario, si convincerà che se noi non obiettiamo nulla è perché, in fondo, la cosa viene bene pure a noi. E’ questo il passaggio importante, il silenzio assenso, che in questi casi si traduce con subdola e violenta prevaricazione. “Ma non me lo potevi dire subito? Io pensavo che……..” Ecco cosa ci sentiamo rispondere quando alfine ci ribelliamo, quando facciamo notare che il trattamento al quale siamo sottoposti è figlio dell’ingiustizia. Passiamo pure dalla ragione al torto; non dicendo nulla, diamo il tacito assenso, e ora che le cose sono stabilite andiamo a disattendere questo patto non scritto con le ripercussioni sulla vita degli altri? Ma come ci permettiamo un atto simile? Non dico di fare delle scenate o di scatenare una rissa ma soltanto di avere rispetto per noi stessi e, conseguentemente, esigerlo dagli altri, esattamente come noi agli altri lo riserviamo. E’ un nostro diritto ma è anche nostro preciso dovere, perché se non fermiamo coloro che hanno la tendenza ad abusare della timidezza altrui, avremo sempre più tiranni in giro e, di tutto possiamo avere bisogno, tranne che di tiranni. L’uomo è stato creato schiavo ma molti appartenenti alla nostra specie hanno imparato presto a fare il salto di categoria e diventare padroni, il guaio è che vigliaccamente tiranneggiano i loro pari e mai i potenti. Una delle cose che più odio nell’uomo è la viltà, l’esser forti con i deboli e deboli con i forti. Non riesco a giustificare chi, avendo la schiavitù nei propri geni, senta il desiderio di moltiplicarla anziché quello di debellarla. Pensate ai fenomeni del “nonnismo” nelle caserme o al “bullismo”; individui che, sottomessi gerarchicamente trovano motivo di rivalsa nella vessazione dei sottoposti o comunque di chi non sa difendersi. Ma questo comportamento quali spiegazioni può avere? A mio parere coloro i quali si coprono di una tale infamia, lo fanno perché non si rendono conto lucidamente della loro condizione. Non vogliono ammettere, o non si accorgono veramente, della loro triste vita e la mascherano con un’altra, una pseudo vita, irreale, ma che nella sua allucinazione si presenta loro più gratificante e vivibile. Se si guardano allo specchio non vedono lo schiavo che deve ubbidire ma il dittatore al quale si deve obbedienza. Tale deformazione della coscienza non prevede la ribellione ma la prepotenza, non prevede il riscatto e la liberazione ma un’esistenza fatta di una libertà inventata che è peggio della schiavitù vera. Povero ragazzino, quante cose vorrei dirti, e altre ancora, quasi a farti un lavaggio del cervello se solo tu avessi la possibilità di ascoltarmi e ascoltandomi, avessi anche la minima possibilità di cavartela meglio di quanto abbia fatto io quando ero te!
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