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Selfie

Post n°228 pubblicato il 18 Giugno 2014 da lontano.lontano
 
Foto di lontano.lontano

Fanno il “Selfie”!.......... fanno che?
Chiedo alla persona che, con naturalezza, mi dice una cosa che non so manco cosa sia.
Si il “Selfie” una fotografia che si scatta da soli col cellulare ed il braccio ben teso.
Un autoscatto! Dico, come folgorato da un'intuizione che mi illumina la mente.
Essì è un autoscatto, un semplice autoscatto.
Uno di quelli che persino io mi son fatto, per prova, quando avevo un cellulare che faceva le foto, ora 
non potrei neppure più perchè, il suo sostituto fa solo il telefono.
Ma allora pure io feci sta cosa, senza neppure saperlo, pensavo fosse un semplice autoscatto e non 
un gesto reso incomprensibilmente incomprensibile da un'altra lingua.
Non c'è nulla di futuribile in un autoscatto, è una cosa ormai obsoleta, che bisogno c'è di dar una 
parvenza di modernismo ad un'azione primitiva? 
Eppure è così; è la moda, è la mania, è la psicosi che attanaglia la mia gente, quella gente che un tempo parlava per farsi capire e che io capivo, quella gente che, al massimo, inseriva nella frase qualche bel 
vocabolo regionale per illustrarla meglio.
Ma una volta che sto“Selfie” è stato scattato, cosa appare?
Cosa appare?
Il viso o i visi delle persone immortalate, il contesto, lo sfondo....... penserete.
Certo, tutto questo ma, andando oltre quei visi, cosa appare?
Appare la foto di un Paese che non esiste più, la raffigurazione del disfacimento di ciò che un tempo era cultura, arte, bel canto e piacevole dizione, di tutto ciò che lo ha fatto grande e di tutto ciò che oggi, 
viene accuratamente occultato da un velo tetro di indotta vergogna.
Essì, ci costringono a vergognarci di essere italiani, non ci vogliono più italiani, non dobbiamo più essere italiani, non dobbiamo più avere una lingua nostra, non dobbiamo più avere nulla di nostro, dobbiamo essere degli apolidi, senza cittadinanza, senza sovranità né di governo, né di moneta, né di gestione, né di futuro.
Un “Selfie” di una nazione perennemente tirata per un orecchio, messa dietro la lavagna col cappellino 
di carta e le orecchie d'asino, messa alla gogna da chi si erge a giudice senza aver alcun titolo per farlo.
Sembrano stupidaggini e forse, nemmeno ci facciamo caso, anzi non ci facciamo caso per niente, ma il 
fatto di toglierci una lingua propria, è stato propedeutico a toglierci tutto, non ultima la libertà.
Se siamo “costretti” dalla subcultura di regime ad usare vocaboli che non ci appartengono ma, che siam portati a credere che, sulle nostre labbra, diventino espressioni di modernità ed intelligenza, beh 
è la dimostrazione di quanto e come i nostri cervelli ormai siano manipolati.
Tutto è stato pianificato da tempo, ed il piano è passato senza traumi apparenti, anzi, con l'illusione di 
renderci tutti fighi, potenti, ultramoderni e iperattivi; l'olio di ricino col sapore di sciroppo di rose.
Non siamo alla moda se parliamo la lingua dei nostri padri, io sono un derelitto se dico ancora autoscatto e, per fare una volta ogni tanto un po' di retorica, lo sono se rispetto il sangue versato da tanti giovani italiani per dare ai giovani, ormai ex italiani di oggi, la possibilità di essere liberi, liberi anche di parlare la propria lingua.
Essì io sono un derelitto se affermo queste cose ma, per me è un vanto essere dalla parte dei derelitti.

 
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