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Lettera al Destino.

Post n°231 pubblicato il 28 Luglio 2014 da lontano.lontano
 
Foto di lontano.lontano

Ciao destino,
scrivo anche a te una lettera ma, non son certo che tu possa leggerla e, forse, mai la leggerai.
Non perché indaffarato a complicare o render leggere ed accessibili le nostre vite ma, proprio perché io non ho nessuna garanzia della tua esistenza.
Nella precedente, ho personificata la morte, ed è stato facile, perché ormai nella nostra mente ha dei connotati ben precisi; un volto senza volto, una falce affilata e la fama di inesorabile boia, che poi io abbia, in qualche modo, voluto rivalutarla ha un' importanza relativa.
Ciò che è certo e certificato è che essa esista, viene alla fine, per tutti, cambiano gli scenari, magari è commedia per alcuni atti ma è sempre tragedia nell'ultimo e, l'ultimo atto, non manca mai.
Ma tu che prove mi dai della tua esistenza?
Nessuna, sei solo virtuale, esisti perché ti facciamo esistere noi, non sei neppure personalizzabile, che volto hai e che volto ti hanno dato?
O meglio, che icona possiamo utilizzare per concretizzare un'entità astratta che ha milioni di volti e milioni di sembianze e sfaccettature?
Sei truce come la morte o dolce come gli occhi di un'anima triste, sei disperato nel pianto e nel dolore o mostri quell'insopportabile opulenza di una risata fonte di un'esagerata fortuna?
Nessuno mai ti ha raffigurato, nessuno ha mai dato di te un'idea precisa; non sei neppure personalizzabile perché sei 
mutevole nel tempo, puoi essere malevolo prima e benevolo dopo, per chiunque, puoi persino mischiare queste due caratteristiche nello stesso momento, come in un mazzo si mischiano le carte per esser poi distribuite a giocatori che, se vorranno partecipare al gioco, non potranno prescindere da loro.
Persino il tuo nome è vago ed incerto: Destino, che significa in realtà?
Significa tutto, di quel “tutto” che poi è nulla, un nome perennemente ondeggiante sul labile confine tra l'essere e il non essere, sempre in bilico tra l'opaco presente e l'incerto futuro, tra la vana speranza e l'ottimismo più acceso.
A mio parere, sei diventato un modo di dire, una giustificazione per il nostro errato libero arbitrio, la risposta a quella voglia tutta umana di dare sempre la colpa a qualcuno per cosa fatte e persino per quelle non fatte.
Sei diventato così, il nulla elevato all'ennesima potenza, un'entità virtuale concretizzata nell'immaginario collettivo per ragioni di mero opportunismo.
Il padrone assoluto di ogni vita e di ogni morte, sottoposto, forse e non so come e perché, al solo Dio che, a questo punto è l'unico che, veramente, può giustificare la tua esistenza ed il tuo ruolo.
Però, riflettendo su questo aspetto, mi chiedo: Ma è veramente così o anche questa è una storia tutta da riscrivere?
Chi conta veramente di più tra voi, te o Lui e in ultima analisi, chi esiste davvero te o Lui?
E' Dio a farti agire o sei stato tu a determinare ciò che Lui stesso è?
Per semplificare il discorso, se ad una persona le cose vanno per il verso sbagliato, se la vita che conduce è fonte di 
disperazione e lutti, con chi se la deve prendere? 
Ammesso che prendersela con qualcuno possa avere una propria utilità.
Se si incazza con Dio, deve per forza scagionare te, in quanto del tutto non responsabile per fatti sui quali non hai giurisdizione, se si infuria con te, poiché sei quello che predispone tutto, deve, per forza, ammettere che il Dio che, in teoria, tutto poteva, può, viceversa, soltanto assistere impotente ad ogni accadimento.
Ho tante domande in mente e nessuna risposta certa, non so chi sovrintenda alla nostra vita, non so in che termini lo faccia e neppure il perché, mi ferisce e mi addolora però questo stato di cose perché non amo essere schiavo né di 
un dio, né di un supposto destino.
Io ti chiamo in causa spesso, perché in tal modo non entro nel profondo di discorsi che, in certi frangenti, le persone non hanno alcuna volontà di seguire, per chiuderla lì, per dare l'unica risposta possibile a domande impossibili.
Uso anche molto spesso un motto non mio, e mi piace in modo particolare (per la cronaca, appartiene al Battaglione Tuscania):
Se il destino è contro di noi ... peggio per lui!
Lo uso, non per ammettere la tua esistenza ma, per andar oltre il razionale, oltre il possibile, per far reagire le persone tramite l'energia rabbiosa che quelle parole fanno scaturire, per non dar nulla per scontato, men che mai 
una fine virtualmente già scritta, per non arrendersi mai.
Non arrendersi neppure ad un'entità astratta che, per definizione, è sempre ritenuta vincente; non per nulla ti han definito “cinico e baro”.
Cinico perché te ne freghi del dolore che la tua opera può causare e“baro”, perché, secondo la mia interpretazione, risulti sempre vincente, esattamente come colui che gioca non rispettando le regole stesse del gioco.
Non può perdere mai perché se un avvenimento accade è perché tu volevi che accadesse, qualora non si verificasse è perché tu non hai voluto farlo accadere.
Capite bene che così è troppo facile; è come, a testa o croce, scegliere le due facce della moneta e lasciare all'avversario l'opzione della moneta che cade dritta, ed è a fronte di ciò che il destino ha, per chi crede in lui, il crisma dell'onnipotenza.
E penso di essere nel giusto nel non arrendermi perché son fermamente convinto che, decidere di non agire, attendendo gli accadimenti già “scritti” non sia mai una scelta proficua, ed a maggior ragione, non ci si deve arrendere, proprio quando tutto appare già fatalmente stabilito.
Voglio però dimostrare questa mia tesi con un esempio calcistico.
Se io sono l'allenatore di una squadra che gioca una partita il cui risultato è già determinato (non dall'arbitraggio, come sovente accade) ma, dal destino, posso determinare col mio operato un risultato diverso?
Se, detto risultato vedesse la mia squadra soccombere, no, perché si dà per scontato che ogni mia scelta tecnico-tattica sia stata volta ad un risultato positivo, il non esserci riuscito non è dipeso da ciò.
Ma se invece io fossi il tecnico della squadra vincente, potrei dormire sonni tranquilli, confidando in un risultato comunque positivo, a prescindere da ogni mia scelta?
Tutto ciò che fin qui ho scritto farebbe pensare di si, se il destino vince sempre, non può andar diversamente da quanto ha stabilito ma, è veramente così?
Se io in panchina prendo decisioni logiche ancorché infelici, vinco lo stesso, ma se faccio scelte completamente fuori 
dalle logiche del gioco non è assolutamente detto che porti a casa il risultato.
Voi probabilmente mi darete torto asserendo che un risultato impostato dal destino non si cambia ma, detto che il 
calcio si gioca con dieci giocatori di movimento ed un portiere, se io stravolgo questa regola logica e schiero il portiere, non a guardia dei pali ma come centravanti, siete certi che il risultato rimarrebbe quello del finale stabilito?
Ci state pensando, lo vedo!
E solo questo pensarci avvalora la mia tesi, neppure voi state dando per scontato l'esito finale della gara ma, in ultima analisi, neppure vi convince l'ineluttabilità del destino.
A questo punto, un assioma emerge chiaramente: Il destino si può mettere in discussione solo con la follia.
Quella lucida follia che crede nell'impossibile, quella follia che crede nei nostri sogni irrealizzabili, quella follia che 
vuole ribaltare lo scontato ed il non fattibile, quella follia che non si arrende al “sarebbe bello ma non è possibile!”
A dirvela tutta, non è neppure la cosa principale riuscire nell'intento, ciò che conta è aver la forza di provarci, la 
forza di crederci, di non arrenderci senza aver prima lottato. 
Poi, se il destino avverso sarà più forte della nostra follia vincerà ma, questa è tutta un'altra storia, per ora sappia che nei nostri confronti rischia grosso e se proprio vorrà esser contro di noi........... sarà peggio per lui.

 
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