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 intervista a Rivas

Post n°895 pubblicato il 09 Luglio 2007 da ossimora
 

 
  

Il fumo e la felicità

Ognuno deve poter inseguire e avere la possibilità di realizzare la propria felicità in base a valutazioni strettamente personali e impiegando le risorse di cui legittimamente dispone

di Rodrigo A. Rivas



Domanda: Possono le azioni intese a disincentivare il fumo di tabacco conciliarsi con la libera scelta individuale del proprio stile di vita?

1. “Fumare è un piacere, geniale, sensuale. Fumando spero, la donna che amo” recita un vecchio tango. E in Sei minuti all’alba, racconta Enzo Jannacci, nella cella del condannato a morte (perché partigiano), “entra un ufficiale, mi offre da fumar. Grazie ma non fumo, prima di mangiare. Fa la faccia offesa, mi tocca di accettare...”. Mancano, appunto, sei minuti all’alba e alla sua fucilazione.Nella Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti, Thomas Jefferson fece scrivere che tutti gli uomini hanno il diritto alla ricerca della felicità. Ma non, come si afferma solitamente, che tutti hanno il diritto a essere felici, frase quest’ultima, che avrebbe autorizzato e costretto lo Stato a formulare una determinazione quantitativa della felicità (prima) e a garantirla ai cittadini (dopo) e, forse, avrebbe potuto legittimare il proibizionismo. Invece, il punto essenziale del testo è che ognuno deve poter inseguire e avere la possibilità di realizzare la propria felicità in base a valutazioni strettamente personali e impiegando le risorse di cui legittimamente dispone. Il tango, il condannato a morte, il moribondo o il prigioniero di guerra di tanti film, eccetera, ci dicono, banalmente, ma mica tanto poi, che molte persone conquistano un attimo di felicità semplicemente fumando una sigaretta. D’altronde, se così non fosse, non si capirebbe come mai, in molti abbiamo smesso di fumare per un periodo, per poi ricominciare. Un medico direbbe che il tabagismo è una malattia. Quindi, che si è sempre soggetti a ricaduta. Ma, non solo a questo riguardo, mi convince assai poco l’idea di sterminare i sani, di trasformare tutto in malattia. Come ha scritto Ivan Illich nella sua Nemesi medica, mi sembra una logica perversa, dipendente dagli affari anche se travestita da morale. Per quanto mi riguarda, banalmente ho ricominciato a fumare poiché - avendo smesso - sentivo di aver perso un etto della mia personale felicità e benessere, senza aver ottenuto nulla in cambio.

2. Capisco che, questa confessione, non ha nulla di politically correct. Ma, alle convenzioni sociali, preferisco di gran lunga l’affermazione di Rosa Luxemburg: “La cosa più rivoluzionaria che si possa fare è sempre quella di affermare a gran voce ciò che sta accadendo”. Il che, tuttavia, non mi salva di un problema. Il guaio, per dirla con Hegel, è che “ciò che è noto, proprio perché è noto, non è conosciuto. (Che) Nel processo della conoscenza, il modo comune di ingannare sé e gli altri è di presupporre qualcosa come noto e di accettarlo come tale. (Che) La verità si consegue soltanto quando i diversi aspetti parziali della realtà sono considerati non più nella loro astratta separazione, bensì come momenti e articolazioni della totalità di cui fanno parte”. Ossia, che ogni analisi che prenda in considerazione solo un aspetto della realtà, equivale a una condanna a non capire la realtà. Che la verità sta nel bosco, non in ogni singolo albero o, detto in un altro modo, che la questione è sì la vita, ma tutta la vita.

3. Per sua natura, la totalità è complessa. Ad esempio, sebbene oggi nessuno spenderebbe una parola contro la necessità di controllare l’inquinamento, nella realtà avviene, per limitarmi a un solo dato, che la produzione mondiale di sostanze chimiche sia passata, tra il 1930 e il 2005, da 1 milione a 400 milioni di tonnellate. E che, secondo l’Unione Europea, 100.106 delle 103.000 sostanze chimiche commercializzate in Europa non siano mai state oggetto di alcuno studio sanitario o tossicologico serio. Come i prodotti chimici hanno la cattiva abitudine di combinarsi tra loro, ad esempio nei tubi di scappamento delle nostre autovetture, tutte le nuove sostanze inquinanti ci risultano altrettanto sconosciute. E un semplice calcolo matematico, combinando in gruppi da tre queste 100.000 sostanze, ci dice che le sostanze chimiche potenzialmente nocive per la salute e per l’ambiente sono 166.000 miliardi. È assai curioso, penso concorderete, che in un contesto proibizionista come quello che si disegna in tutto il mondo, non si abbia il diritto a passeggiare nel centro di una città senza aspirare i gas di scarico delle automobili, che rendono assai più irrespirabile l’aria di qualsiasi sigaretta. Oppure, che non si costringa la popolazione a utilizzare i mezzi pubblici per diminuirne l’inquinamento. Nella sua etica della responsabilità, Max Weber afferma che non bisogna guardare le intenzioni ma gli effetti delle proprie azioni. Ma, aggiunge: “finché gli effetti sono prevedibili”. Solo che, è proprio della tecnica produrre effetti imprevedibili. Ad esempio, nessuno avrebbe potuto prevedere la clonazione o la capacità di produrre organismi geneticamente modificati.

4. Siamo tutti persuasi di vivere nell’età della tecnoscienza e che gli eventi della tecnica comportano problemi etici per i quali non disponiamo di una morale adeguata. In Occidente, l’ordine giuridico è costruito in modo tale che, di fronte al delitto, il giudizio cade sull’intenzione (delitto intenzionale, preterintenzionale, eccetera). Ma l’intenzione di Fermi quando ha inventato la bomba atomica non la può conoscere nessuno. Il che ci dice che la morale dell’intenzione non è all’altezza dell’evento tecnico.
5. In ciò che possiamo ritenere il testo fondante della morale laica, Immanuel Kant scrive tra l’altro che ognuno deve fare il proprio dovere, indipendentemente dal fatto di ricavarne un beneficio. Che l’uomo è un fine, non un mezzo, per cui la vita di ogni uomo è un unicum, non sostituibile, senza prezzo. Che la propria libertà finisce dove comincia quella dell’altro. All’interno di questa logica, reputo adeguato il divieto di fumo nei locali pubblici, in quanto il mio fumo ostacola la libertà di altri a non soffrire il fumo passivo. E, avendo due figli, ho sempre evitato di far aspirare loro il fumo passivo. Ma negli Usa si discute oggi sulla introduzione di un divieto di fumo anche nella solitudine degli spazi privati, e cioè, da soli, nella propria casa. Il tema, quindi, non è il rispetto degli altri, ma quello degli assoluti individuali. Ciò suona tanto di Stato terapeutico, una forma di Stato totalitario che reputo inaccettabile, sempre. Anche quando la tendenza del momento lo ha portato in tutt’altra direzione. Come, ad esempio, avveniva quando Papa Leone XIII pubblicizzava l’uso della coca, e poiché il corso Angelo Mariani produceva in Corsica il Vin Mariani (con 11% di alcol e 6,5 milligrammi di cocaina), il Papa decise di premiarlo con una medaglia. O quando Sigmund Freud scriveva un trattato per magnificarla (Uber coca) e Robert Louis Stevenson s’inventava Mister Hyde e il dottor Jekill dopo un trip di cocaina durato sei giorni. O quando un medicinale per la febbre e il catarro era costituito da cocaina pura al 99,9% e, ad Atlanta, per seguire la domanda dei cocainomani, tra cui i presidenti William McKinley e Ulysses Grant, John Pemberton cercava di imitare il Vin Mariani ma, essendo maldestro, riusciva solo a produrre quella che oggi viene definita “la bibita più nota del mondo”.

6. Non si tratta solo del fatto che l’atteggiamento - permissivo o meno - nei confronti delle droghe, legali e illegali, sia più volte mutato nel tempo. E neppure del fatto che il proibizionismo non abbia mai dato i risultati teoricamente attesi. Perché mi sembrano ancor più importanti altri due fatti. Innanzitutto, che la citata morale laica non è mai stata realizzata (basta vedere la condizione degli immigrati che hanno diritto di cittadinanza solo se diventano produttori di profitto e di uomini). E poi, che se anche si fosse realizzata, non funzionerebbe più nell’età della tecnica, perché quelli che all’epoca di Kant erano solo un mezzo, ora sono fini da salvaguardare (penso all’acqua, all’aria, agli animali, al clima, alle foreste). Perché l’uomo non è più l’unico fine, oggi, e noi non abbiamo ancora formulato un’etica che si faccia carico della natura, perché le etiche di cui disponiamo si sono sempre limitate a regolare i rapporti tra gli uomini.

7. La mancanza di un’etica adeguata che regoli anche i rapporti tra uomo e natura si traduce nell’Imperialismo di una scienza e di una tecnica senza scopi antropologici, che non lavora in vista dell’uomo ma soltanto in funzione del suo autopotenziamento. Chi tra noi non sa, ad esempio, che siamo in grado di distruggere 10 mila volte la nostra terra con la bomba atomica, ma si continua a fare ricerca sull’atomica? Bisognerebbe ricordarlo ogniqualvolta ci ritroviamo davanti a unanimismi giustificati da quelli che sembrano luoghi o senso comuni. In positivo, l’unica idea da opporre, certamente debole, purtroppo, è quella che, seguendo il poeta Antonio Machado, possiamo definire “etica del viandante”. Il viandante non ha una meta, si muove e di volta in volta trova le modalità per scalare montagne o attraversare fiumi. Non lo fa in base a mappe o a principi. Lo fa in base a quello che i greci denominavano “la virtù di Ulisse”, e cioè alla possibilità di decidere in base alle circostanze e ai risultati attesi. Seguendo questa indicazione, la ricerca della dimensione del dialogo in contrapposizione a quella della violenza - ad esempio travestita da scontro di civiltà - significa sforzarsi per trovare, di volta in volta, di fronte ai problemi che sorgeranno, il massimo consenso possibile intorno alle cose da fare.

8. E allora, per non farla troppo lunga, ritorno al passato/futuro di questa comunicazione, e cioè al fumo.
Per riaffermare che non esistono giustificazioni morali per il proibizionismo.
Per ribadire che non è accettabile l’idea che lo Stato debba difendere i cittadini dalle loro cattive abitudini.
Per ricordare che non esiste una particolare categoria di persone - i politici, i medici, i moralisti, gli economisti, i filosofi - autorizzata a prendersi cura di tutti gli altri, a prescindere dalla loro volontà. Detto con la maggiore banalità possibile: non considero che fumare sia una mostra di intelligenza. Considero inaccettabile costringere gli altri a fumare passivamente con me. So, persino, che se non fumassi, probabilmente vivrei di più.
Da bimbo, mia mamma mi raccontava che il “segreto di Matusalemme”, che come tutti sappiamo è vissuto più di qualsiasi altro figlio di uomo, consisteva in non fumare, non bere, mangiare frugalmente, andare presto a letto, non avere rapporti carnali o - quanto meno – averne pochi... Si trattava di un’ingenua modalità, casereccia ma non ruspante, di proporre la auto-moderazione dei consumi e dei rapporti. A questo elenco si potrebbero aggiungere tanti altri particolari da proibire.
Crescendo, non ho mai messo in dubbio la verità di questo segreto. Ma, probabilmente perché non ho mai messo a posto la testa del tutto, ho cercato di praticarne solo ciò che mi appariva come l’essenza, e cioè ho cercato di contenere i miei consumi, in generale, poiché mi reputo un animale pensante e non solo una parte del target di qualche pubblicitario. Ma, confesso, qualche volta mi sono pure detto che, tutto sommato, se dovessi rispettare alla lettera le condizioni imposte dal Matusa, non troverei poi così interessante la possibilità di vivere così a lungo.

 
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Commenti al Post:
elioliquido
elioliquido il 09/07/07 alle 07:01 via WEB
Secondo me, in linea teorica lo Stato, quale entità, quale espressione del "meta-animale" che è la nazione, ha il dovere di difendere i cittadini dalle loro cattive abitudini. Solo che non c'è cittadino o gruppo di cittadini che, ad oggi, abbia la capacità di essere espressione dello Stato in questi termini. Per cui è vero che non esiste alcuna categoria particolare di persone autorizzata a prendersi cura di tutte le altre. Il proibizionismo che entra fin nelle stanze chiuse delle case private, come quello paventato da questa proposta di legge americana, è non solo ingiusto, ma anche una scemenza. Non solo perché ogni uomo è un "evento" a sé stante, ma anche perché millenni di indagine filosofica, religiosa, psicologica, non hanno ancora individuato quale debba essere il fine della sua vita. Per cui se non sai dove devi andare, non puoi spiegare come arrivarci. Il che si collega con l'affermazione che la vita potrebbe essere poco interessante, senza "eccessi", ed a quel punto la sua aumentata lunghezza, merito della moderazione in tutto, rischierebbe di essere insopportabile. Riguardo al fumo, ho smesso undici anni fa, e non me ne è mai tornata la voglia "pericolosa". Mi sono sicuramente risparmiato qualche faringite. Credo sia giusto che chi fuma sia messo a parte dei rischi che si corrono col fumo. È un po' lo stesso discorso che si può fare con l'alcol. Ci sono diverse malattie che possono essere concausate dall'alcol, ed è meglio saperlo per gestirsi con maggiore consapevolezza. Posso fregarmene di non bere, se solo il mio bere è inviso ai benpensanti, diciamo, ma posso cambiare atteggiamento se so che può contribuire a disturbi fisici. Potrei desiderare di bere, ma anche di non distruggermi psicofisicamente. Ovviamente, nella valutazione dei rischi, concorre attualmente anche un giudizio morale. Sono molti i medici che, in un passato recente, si "scagliavano" contro il consumo anche di un milionesimo di grammo di alcol in un anno, pro salutismo, ma perché vi mescolavano un giudizio etico, abusando della loro posizione di "maggiormente informati". Però se ti viene la gotta, è meglio che tu sappia che è causata anche dall'alcol, perché se lo sai, forse preferisci smettere di bere. Magari non te ne frega così tanto. Se hai un figlio che fuma tre pacchetti al giorno, anche se non cercherai di proibirglielo (mai che ne abbia facoltà), tenderai molto probabilmente ad un atteggiamento simile a quello dello Stato.
(Rispondi)
 
betulla64
betulla64 il 09/07/07 alle 08:34 via WEB
Risposta: non, non possono. La libera scelta in fatto di vita è per me un dogma intoccabile. Lo è per quanto riguarda la libertà di "farsi del male" con stili di vita apparentemente discutibili, così come lo è nel caso di libertà di scegliere se e come curarsi. Sul fumo: ho fumato per venticinque anni e negli ultimi dieci avevo notato un impennarsi della mia dipendenza. Non credo fosse una necessità maggiore di felicità quell'impellente bisogno di accendere 30 sigarette nell'arco di una giornata, sono anzi convinta che negli anni l'uso (abuso) di additivi da parte delle multinazionali del tabacco sia cresciuto in modo delinquenziale, per cui la romantica sigaretta del milonguero non ha più nulla a che fare con quella roba che ti costringono ad inalare ai giorni nostri. Purtroppo ho la certezza che se mi concedessi una sigaretta oggi, fra un mese al massimo sarei tornata al pacchetto e mezzo (cosa che non posso permettermi nè economicamente nè dal punto di vista della salute), quindi non sono più tanto convinta che fumare sia una mia libertà; ho piuttosto la sgradevole sensazione che sia una cosa che mi si impone per il profitto,anzi, ricordo che questo era il pensiero fisso ogni volta che accendevo una sigaretta. La felicità nell'atto di fumare, pur concentrandomi, non riesco davvero a ricordarla. Comnplimenti per il post e per l'analisi. Buon lunedì.
(Rispondi)
 
 
ossimora
ossimora il 09/07/07 alle 14:54 via WEB
io credo che fumare possa essere un piacere ma quando lo si riesce a fare una tantum ,in un gesto di scelta ,certamente quando si innesca la dipendenza lo è molto meno Ciao!
(Rispondi)
 
What_your_soul_sings
What_your_soul_sings il 09/07/07 alle 08:58 via WEB
Ciao.. ho potuto leggere adesso soltanto di corsa, mi riservo di leggere meglio stasera. Sono un ex fumatore che si autodefinisce ex tossicodipendente, però questo mio atteggiamento è una mia valutazione personale della mia situazione. Sono di indole antiproibizionista, anche se ritengo che le regolamentazioni degli ultimi anni contro il fumo passivo sono giustissime (esempio: divieto di fumo nei bar e ristoranti). Sono contento poi di vedere citato Weber, eroe dei miei giorni da studente, quanto rimane importante quella distinzione che citi... spero di leggere meglio stasera e commentare meglio. Intanto.. ti auguro una buonissima settimana :-)
(Rispondi)
 
What_your_soul_sings
What_your_soul_sings il 09/07/07 alle 09:01 via WEB
P.S. qualche psicologo probabilmente prenderebbe il tuo post come prova di quanto sia forte la capacità di un fumatore di autogiustificarsi nonostante tutto ... non mi permetterei tali valutazioni affrettate, però è un altro punto di vista sulla questione che forse andrebbe tenuta in considerazione!
(Rispondi)
 
 
ossimora
ossimora il 09/07/07 alle 14:55 via WEB
mi sembra comunque una difesa ...molto tranquilla un puor parler,più che altro...piuttosto consapevole
(Rispondi)
 
What_your_soul_sings
What_your_soul_sings il 09/07/07 alle 09:04 via WEB
P.P.S. non so se sono bravo a tradurre la battuta dall'inglese, ma c'è anche chi afferma che smettere di bere, fumare, ecc. non ti fa in realtà vivere più a lungo.. semplicemente sembra più lungo
(Rispondi)
 
Vieniviaadesso
Vieniviaadesso il 09/07/07 alle 09:08 via WEB
Mi viene da sorridere.... ho conosciuto Rodrigo qualche anno fa, persino sostenuto nella sua campagna elettorale.... ciò che scrive te lo fa ricordare perchè è esattamente così... riesce sempre ad introdurre argomenti nuovi quando tutto sembra essere assodato.... ed è una gran dote, una ricchezza per chi lo ha vicino. Sono d'accordo... ricordo che in francia si propose il casco obbligatorio per andare in bicicletta.... il simbolo della libertà con il preservativo della (eccessiva)ragionevolezza... non si deve controllare tutto... si dovrà pur morire di qualcosa.
(Rispondi)
 
 
ossimora
ossimora il 09/07/07 alle 14:57 via WEB
Rivas ,lavora ed è soesso daueste parti.Indubbiamente una persona simpatica Ciao!
(Rispondi)
 
lupopezzato
lupopezzato il 09/07/07 alle 10:13 via WEB
Trovo l’opinione di Rivas primitiva ed incoerente con se stessa. Primitiva perché fra Stato e cittadino c’è sempre rivalità piuttosto che un accordo e questo deve succedere per forza quando un individuo decide di scendere dal suo albero per entrare a far parte del gruppo. La società è di per se stessa una limitazione alle libertà e non può essere diversamente e Rivas diventa incoerente quando dice “impiegando le risorse di cui legittimamente dispone”. Metto da parte la legittimità sulle risorse perché dovrei osservare che se Bill Gates è l’uomo più ricco del pianeta significa che non divide equamente con i lavoratori delle sue aziende la quantità di ricchezza che tutti assieme producono ovvero, in qualche modo, ruba. Torniamo a Rivas, “legittimamente” significa che sa che esistono le leggi ovvero lo strumento che volendo regolamentare una società dovrà, obtorto collo, limitare alcune libertà individuali. Limitare non è proibire. Non si proibisce e nemmeno si limita la quantità di fumo ma si de-limita. Il casco non proibisce di guidare ma ti chiede d’indossare una protezione. Così come all’elettricista viene imposto di mettere i guanti e le scarpe protettive. Ecco perché troppo spesso confondiamo il primitivo con il nuovo. Ma non solo il fumo e i limiti di velocità sono limitazioni alle nostre libertà. Anche i piani regolatori, la scelta dei libri scolastici, i terreni edificabili, quelli con vincoli archeologici, gli edifici considerati “beni culturali”, gli orari dei negozi, le aree pedonali ed i parcheggi a pagamento. Mettiamo da parte lo Stato e pensiamo ad un gruppo di 6 amici che vanno in multisala. Per “realizzare la propria felicità” ognuno andrà a vedere un film diverso sulla base della propria libera scelta? Nella sala ognuno siederà dove preferisce? Più avanti o più indietro e lo farà sulla base del suo intimo ed individuale benessere? In sala fumeranno a prescindere se il vicino chiederà “cortesemente” di non fumare oppure il vicino non dovrebbe nemmeno chiederti di spegnere la tua felicità per realizzare invece la sua? E quando poi si va al ristorante e si ordinerà ovviamente quello che ognuno preferisce ma sul vino avremo sei vini diversi? E’ così che ciascuno vorrebbe realizzare la propria felicità? A prescindere da quella degli altri?
Penso che sarebbe una felicità al singolare ovvero egoismo. La felicità dovrebbe invece essere sempre plurale.
Lo Stato, com’è nel mandato dei cittadini, non deve preoccuparsi della loro felicità ma soltanto del suo benessere sociale. Le leggi sull’obbligo del casco e della cintura o la prevenzione sul lavoro non devono servire a proteggere la vita del cittadino ma devono servire a proteggere la società dai costi sociali che derivano da incidenti ed infortuni. L’unica morale dello Stato sono le leggi e la sua Costituzione. Guai se uno Stato fosse etico e morale, vivremmo nell’oscurantismo vestito di perbenismo di quei paesi dove le donne non possono entrare in chiesa se hanno le braccia completamente scoperte oppure in quei paesi dove convivono, interferendo, Stato e chiesa oppure in quei paesi dove esistono due cimiteri, uno consacrato ed uno sconsacrato oppure in quei paesi dove i bambini dovrebbero essere tutelati contro le violenze ed invece lo Stato laico lascia che, a prescindere dalla loro volontà, gli vengano imposti il battesimo, la prima comunione o la cresima oppure in quei paesi dove i giornalisti scomodi possono essere messi a tacere dal Governo oppure in quei paesi dove comunque esiste uno stato di polizia oppure in quei paesi dove il matrimonio civile non è solo un atto amministrativo motivo per il quale è un diritto anche delle coppie omosessuali oppure in quei paesi dove le immagini sull’11 settembre sono libere ed accessibili ma non quelle sull’Iraq e l’Afghanistan oppure in quei paesi dove si muore perché non ci sono organi da trapiantare perché l’espianto degli organi è soggetto al feudalesimo delle donazioni.
(Rispondi)
 
 
MacRaiser
MacRaiser il 09/07/07 alle 10:48 via WEB
Mi permetto di intervenire solo su un punto, per ora. La considerazione sulla smodata ricchezza di Bill Gates risente, secondo me, di una visione desincronizzata.. non al passo coi tempi. I lavoratori (ossia gli sviluppatori, in sostanza) di Microsoft sono assai ben pagati e godono di sontuosi privilegi (lauto stipendio, assoluta liberta' di orari, ecc). Il costo del mostruoso e anomalo potere e arricchimento di Gates e della Microsoft, dunque non ricade affatto sui suoi dipendenti, ma sui consumatori; attraverso il meccanismo-garrota della "licenza d'uso". Il consumatore d'information technology (ossia praticamente la totalita' della popolazione occidentale) oggi si configura come l'equivalente del proletario ai tempi di Marx. Tutto questo senza ovviamente voler tirare in ballo questioni di pauperismo a livello planetario. Chiedo venia per la digressione, pur essendo io fumatore. Ciao :)
(Rispondi)
 
 
 
lupopezzato
lupopezzato il 09/07/07 alle 13:09 via WEB
Ciao Mac, Gates come qualunque altro magnate. Il profitto netto è dato dall’utile realizzato al netto di ogni uscita (investimenti compresi). Le licenze d’uso così come la proprietà dei brevetti o come l’esclusività o i regimi di monopolio non modificano il fatto che il profitto è legato al prodotto realizzato nell’ambito delle leggi e regolamenti. Caso vuole che se la Microsoft fosse formata da 100 soci-lavoratori, ciascuno in possesso di 1/100 del pacchetto azionario societario, allora il Gates guadagnerebbe 1/100 degli utili così come ogni altro socio-lavoratore. Penso che sarebbe più opportuno osservare che la ricchezza di Gates è proporzionale alla quantità di azioni possedute.
Detto ciò, mi dici cosa intendi per "assai ben pagati e sontuosi privilegi"? Il tuo metro Mac. Perché il mio metro rimane quello che se Bill Gates è l’uomo più ricco del pianeta significa che i suoi dipendenti – in relazione alla quantità di ricchezza prodotta - sono comunque i lavoratori più sfruttati e sottopagati del pianeta e se gran parte di quella ricchezza è dovuta alle licenze o al monopolio il merito o demerito è delle leggi e non di Gates che però ne intasca i benefici. Ciao :o)
(Rispondi)
 
 
 
 
MacRaiser
MacRaiser il 09/07/07 alle 21:08 via WEB
Sono sostanzialmente d’accordo, Lupo. Anche se temo che la teoria Marxiana del plusvalore non possa applicarsi in modo cosi’ piano al caso e all’epoca in questione. Bill Gates non e' esattamente "come qualunque altro magnate". E' IL magnate; e non e' un caso. Il fatto e' che Marx non ci puo' aiutare piu' di tanto a capire i meccanismi di questa assurda distribuzione della ricchezza. Faccio l’esempio pratico: Microsoft Word, l’equivalente moderno della penna a sfera. Il plusvalore di cui si appropria Bill Gates (prendiamolo come archetipo del software-capitalista oscenamente arricchito) non e’ quello che sottrae ai suoi dipendenti. Se pure fosse possibile un’ipotetica redistribuzione della ricchezza prodotta dalla vendita di questo software tra tutti i dipendenti-azionisti Microsoft, essa modificherebbe di una virgola l’ingiusta divisione della ricchezza che ne viene prodotta? No. Creerebbe semplicemente una casta di persone comunque spaventosamente ricche. Perche’? Perche’ il “plusvalore” economico di cui si appropria Gates, in questo caso, non viene prodotto dallo sviluppatore che scrive il codice (sostanzialmente lo stesso da anni, tra l’altro), o dall’operaio che prepara la confezione, eccetera. La parte rilevante in assoluto, quella che crea l’immensa ricchezza, viene prodotta dal cliente che lo usa e lo paga. Esso (il plusvalore) infatti e’ conseguenza diretta della diffusione e dell’uso di tale software, non di altro. Piu’ persone usano Word (ma l’esempio vale di piu’ per Windows), piu’ contribuiscono alla sua diffusione, piu Word acquista valore e diventa una sorta di commodity. Come il petrolio; un bene che sta alla base della produzione di altri beni e la cui alienazione dal mercato diventa, non solo non desiderabile, ma addirittura impensabile. Il valore economico di Word infatti, non nasce dal valore intrinseco del prodotto (ci sono software che svolgono le medesime funzioni, completamente gratuiti), ma semplicemente dal bisogno che se ne induce nel tessuto sociale ed economico. In questo senso, si puo’ dire che ogni cliente utilizzatore di prodotti Microsoft (ma ripeto, e’ solo un esempio) e’ a, tutti gli effetti, un dipendente Microsoft. Per dirla piu’ semplicemente, Gates ha trovato il modo di "tassarci di un centesimo" per ogni volta che accendiamo il PC, usiamo la carta Bancomat o la carta di credito, paghiamo un bollettino alla posta o prenotiamo un biglietto, eccetera. Quindi e’ NOI che sfrutta, non i suoi dipendenti. Ogni volta che contribuiamo ad usare (e quindi moltiplicare e diffondere) il suo sistema, noi lavoriamo per lui. E non solo non veniamo retribuiti, paghiamo pure. E’ da questo che nasce la sua incommensurabile ricchezza, dal nostro lavoro. Questo meccanismo perverso nel quale siamo immersi e di cui ci accorgiamo solo a causa dei suoi effetti a livello macroeconomico, e’ reso possibile da tutta una serie di fattori, le cui fondamenta giuridiche poggiano sul meccanismo della licenza d’uso e della monetizzazione dei diritti derivanti dalla proprieta’ intellettuale. Chiedo scusa per la lunghezza e l'off-topic. Ciao :)
(Rispondi)
 
magdalene57
magdalene57 il 09/07/07 alle 21:17 via WEB
il fumo...odiato e amato. riconosco che quando han vietato di fumare nei locali pubblici li per lì ho pensato: ecco limitano la libertà. poi mi son ricordata di quelle fettuccine ai fuinghi che inevitabilmente diventavano ai funghi e fumo... per non parlare della crostata di frutta... frutta e fumo. ho smesso e ricominciato, ed ogni volta son stata zitta. perchè quando andavo dal medico q1uesto mi diceva: limitiamo i grassi, l'alcool ed il fumo. ora lo stato ha pensato al fumo, e cerca, più o meno, di limitare il resto. Non credo che lo stato debba/possa diventare la nostra coscienza, dal momento che dalla nostra cattiva coscienza ricava anche introiti. resta a noi la decisione di morire come vogliamo, dopo aver vissuto come vogliamo. ma... c'è un ma... i costi che la società, gli altri, per dirla in soldoni, sborsano per chi decide di vivere sopra le righe. chi più ne ha, più ne metta. che a me vengono in mente solo alcuni eclatanti esempi. ebbene, che puoò fare lo stato? vietare di fumare in luoghi pubblici, fare campagne per una alimentazione e movimento, dire che il casco se non c'è e se è slacciato può costarti la vita, dire che l'alcool fa male, e che la droga pure.... il resto è compito nostro, e del nostro senso del sociale. altro non può. sempre per quella vecchia storia del libero arbitrio. ..
(Rispondi)
 
What_your_soul_sings
What_your_soul_sings il 10/07/07 alle 08:20 via WEB
Ciao ora ho letto tutto... Grazie, molti spunti per la riflessione. Sono libero di considerarmi un ex tossicodipendente, per cui guai a trasgredire nemmeno una volta... come sono libero di amare una donna che fuma (sto attento a non coltivare sensi di colpa). Tornerò a rileggerti :-)
(Rispondi)
 
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