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 intervista a Rivas

Post n°895 pubblicato il 09 Luglio 2007 da ossimora
 

 
  

Il fumo e la felicità

Ognuno deve poter inseguire e avere la possibilità di realizzare la propria felicità in base a valutazioni strettamente personali e impiegando le risorse di cui legittimamente dispone

di Rodrigo A. Rivas



Domanda: Possono le azioni intese a disincentivare il fumo di tabacco conciliarsi con la libera scelta individuale del proprio stile di vita?

1. “Fumare è un piacere, geniale, sensuale. Fumando spero, la donna che amo” recita un vecchio tango. E in Sei minuti all’alba, racconta Enzo Jannacci, nella cella del condannato a morte (perché partigiano), “entra un ufficiale, mi offre da fumar. Grazie ma non fumo, prima di mangiare. Fa la faccia offesa, mi tocca di accettare...”. Mancano, appunto, sei minuti all’alba e alla sua fucilazione.Nella Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti, Thomas Jefferson fece scrivere che tutti gli uomini hanno il diritto alla ricerca della felicità. Ma non, come si afferma solitamente, che tutti hanno il diritto a essere felici, frase quest’ultima, che avrebbe autorizzato e costretto lo Stato a formulare una determinazione quantitativa della felicità (prima) e a garantirla ai cittadini (dopo) e, forse, avrebbe potuto legittimare il proibizionismo. Invece, il punto essenziale del testo è che ognuno deve poter inseguire e avere la possibilità di realizzare la propria felicità in base a valutazioni strettamente personali e impiegando le risorse di cui legittimamente dispone. Il tango, il condannato a morte, il moribondo o il prigioniero di guerra di tanti film, eccetera, ci dicono, banalmente, ma mica tanto poi, che molte persone conquistano un attimo di felicità semplicemente fumando una sigaretta. D’altronde, se così non fosse, non si capirebbe come mai, in molti abbiamo smesso di fumare per un periodo, per poi ricominciare. Un medico direbbe che il tabagismo è una malattia. Quindi, che si è sempre soggetti a ricaduta. Ma, non solo a questo riguardo, mi convince assai poco l’idea di sterminare i sani, di trasformare tutto in malattia. Come ha scritto Ivan Illich nella sua Nemesi medica, mi sembra una logica perversa, dipendente dagli affari anche se travestita da morale. Per quanto mi riguarda, banalmente ho ricominciato a fumare poiché - avendo smesso - sentivo di aver perso un etto della mia personale felicità e benessere, senza aver ottenuto nulla in cambio.

2. Capisco che, questa confessione, non ha nulla di politically correct. Ma, alle convenzioni sociali, preferisco di gran lunga l’affermazione di Rosa Luxemburg: “La cosa più rivoluzionaria che si possa fare è sempre quella di affermare a gran voce ciò che sta accadendo”. Il che, tuttavia, non mi salva di un problema. Il guaio, per dirla con Hegel, è che “ciò che è noto, proprio perché è noto, non è conosciuto. (Che) Nel processo della conoscenza, il modo comune di ingannare sé e gli altri è di presupporre qualcosa come noto e di accettarlo come tale. (Che) La verità si consegue soltanto quando i diversi aspetti parziali della realtà sono considerati non più nella loro astratta separazione, bensì come momenti e articolazioni della totalità di cui fanno parte”. Ossia, che ogni analisi che prenda in considerazione solo un aspetto della realtà, equivale a una condanna a non capire la realtà. Che la verità sta nel bosco, non in ogni singolo albero o, detto in un altro modo, che la questione è sì la vita, ma tutta la vita.

3. Per sua natura, la totalità è complessa. Ad esempio, sebbene oggi nessuno spenderebbe una parola contro la necessità di controllare l’inquinamento, nella realtà avviene, per limitarmi a un solo dato, che la produzione mondiale di sostanze chimiche sia passata, tra il 1930 e il 2005, da 1 milione a 400 milioni di tonnellate. E che, secondo l’Unione Europea, 100.106 delle 103.000 sostanze chimiche commercializzate in Europa non siano mai state oggetto di alcuno studio sanitario o tossicologico serio. Come i prodotti chimici hanno la cattiva abitudine di combinarsi tra loro, ad esempio nei tubi di scappamento delle nostre autovetture, tutte le nuove sostanze inquinanti ci risultano altrettanto sconosciute. E un semplice calcolo matematico, combinando in gruppi da tre queste 100.000 sostanze, ci dice che le sostanze chimiche potenzialmente nocive per la salute e per l’ambiente sono 166.000 miliardi. È assai curioso, penso concorderete, che in un contesto proibizionista come quello che si disegna in tutto il mondo, non si abbia il diritto a passeggiare nel centro di una città senza aspirare i gas di scarico delle automobili, che rendono assai più irrespirabile l’aria di qualsiasi sigaretta. Oppure, che non si costringa la popolazione a utilizzare i mezzi pubblici per diminuirne l’inquinamento. Nella sua etica della responsabilità, Max Weber afferma che non bisogna guardare le intenzioni ma gli effetti delle proprie azioni. Ma, aggiunge: “finché gli effetti sono prevedibili”. Solo che, è proprio della tecnica produrre effetti imprevedibili. Ad esempio, nessuno avrebbe potuto prevedere la clonazione o la capacità di produrre organismi geneticamente modificati.

4. Siamo tutti persuasi di vivere nell’età della tecnoscienza e che gli eventi della tecnica comportano problemi etici per i quali non disponiamo di una morale adeguata. In Occidente, l’ordine giuridico è costruito in modo tale che, di fronte al delitto, il giudizio cade sull’intenzione (delitto intenzionale, preterintenzionale, eccetera). Ma l’intenzione di Fermi quando ha inventato la bomba atomica non la può conoscere nessuno. Il che ci dice che la morale dell’intenzione non è all’altezza dell’evento tecnico.
5. In ciò che possiamo ritenere il testo fondante della morale laica, Immanuel Kant scrive tra l’altro che ognuno deve fare il proprio dovere, indipendentemente dal fatto di ricavarne un beneficio. Che l’uomo è un fine, non un mezzo, per cui la vita di ogni uomo è un unicum, non sostituibile, senza prezzo. Che la propria libertà finisce dove comincia quella dell’altro. All’interno di questa logica, reputo adeguato il divieto di fumo nei locali pubblici, in quanto il mio fumo ostacola la libertà di altri a non soffrire il fumo passivo. E, avendo due figli, ho sempre evitato di far aspirare loro il fumo passivo. Ma negli Usa si discute oggi sulla introduzione di un divieto di fumo anche nella solitudine degli spazi privati, e cioè, da soli, nella propria casa. Il tema, quindi, non è il rispetto degli altri, ma quello degli assoluti individuali. Ciò suona tanto di Stato terapeutico, una forma di Stato totalitario che reputo inaccettabile, sempre. Anche quando la tendenza del momento lo ha portato in tutt’altra direzione. Come, ad esempio, avveniva quando Papa Leone XIII pubblicizzava l’uso della coca, e poiché il corso Angelo Mariani produceva in Corsica il Vin Mariani (con 11% di alcol e 6,5 milligrammi di cocaina), il Papa decise di premiarlo con una medaglia. O quando Sigmund Freud scriveva un trattato per magnificarla (Uber coca) e Robert Louis Stevenson s’inventava Mister Hyde e il dottor Jekill dopo un trip di cocaina durato sei giorni. O quando un medicinale per la febbre e il catarro era costituito da cocaina pura al 99,9% e, ad Atlanta, per seguire la domanda dei cocainomani, tra cui i presidenti William McKinley e Ulysses Grant, John Pemberton cercava di imitare il Vin Mariani ma, essendo maldestro, riusciva solo a produrre quella che oggi viene definita “la bibita più nota del mondo”.

6. Non si tratta solo del fatto che l’atteggiamento - permissivo o meno - nei confronti delle droghe, legali e illegali, sia più volte mutato nel tempo. E neppure del fatto che il proibizionismo non abbia mai dato i risultati teoricamente attesi. Perché mi sembrano ancor più importanti altri due fatti. Innanzitutto, che la citata morale laica non è mai stata realizzata (basta vedere la condizione degli immigrati che hanno diritto di cittadinanza solo se diventano produttori di profitto e di uomini). E poi, che se anche si fosse realizzata, non funzionerebbe più nell’età della tecnica, perché quelli che all’epoca di Kant erano solo un mezzo, ora sono fini da salvaguardare (penso all’acqua, all’aria, agli animali, al clima, alle foreste). Perché l’uomo non è più l’unico fine, oggi, e noi non abbiamo ancora formulato un’etica che si faccia carico della natura, perché le etiche di cui disponiamo si sono sempre limitate a regolare i rapporti tra gli uomini.

7. La mancanza di un’etica adeguata che regoli anche i rapporti tra uomo e natura si traduce nell’Imperialismo di una scienza e di una tecnica senza scopi antropologici, che non lavora in vista dell’uomo ma soltanto in funzione del suo autopotenziamento. Chi tra noi non sa, ad esempio, che siamo in grado di distruggere 10 mila volte la nostra terra con la bomba atomica, ma si continua a fare ricerca sull’atomica? Bisognerebbe ricordarlo ogniqualvolta ci ritroviamo davanti a unanimismi giustificati da quelli che sembrano luoghi o senso comuni. In positivo, l’unica idea da opporre, certamente debole, purtroppo, è quella che, seguendo il poeta Antonio Machado, possiamo definire “etica del viandante”. Il viandante non ha una meta, si muove e di volta in volta trova le modalità per scalare montagne o attraversare fiumi. Non lo fa in base a mappe o a principi. Lo fa in base a quello che i greci denominavano “la virtù di Ulisse”, e cioè alla possibilità di decidere in base alle circostanze e ai risultati attesi. Seguendo questa indicazione, la ricerca della dimensione del dialogo in contrapposizione a quella della violenza - ad esempio travestita da scontro di civiltà - significa sforzarsi per trovare, di volta in volta, di fronte ai problemi che sorgeranno, il massimo consenso possibile intorno alle cose da fare.

8. E allora, per non farla troppo lunga, ritorno al passato/futuro di questa comunicazione, e cioè al fumo.
Per riaffermare che non esistono giustificazioni morali per il proibizionismo.
Per ribadire che non è accettabile l’idea che lo Stato debba difendere i cittadini dalle loro cattive abitudini.
Per ricordare che non esiste una particolare categoria di persone - i politici, i medici, i moralisti, gli economisti, i filosofi - autorizzata a prendersi cura di tutti gli altri, a prescindere dalla loro volontà. Detto con la maggiore banalità possibile: non considero che fumare sia una mostra di intelligenza. Considero inaccettabile costringere gli altri a fumare passivamente con me. So, persino, che se non fumassi, probabilmente vivrei di più.
Da bimbo, mia mamma mi raccontava che il “segreto di Matusalemme”, che come tutti sappiamo è vissuto più di qualsiasi altro figlio di uomo, consisteva in non fumare, non bere, mangiare frugalmente, andare presto a letto, non avere rapporti carnali o - quanto meno – averne pochi... Si trattava di un’ingenua modalità, casereccia ma non ruspante, di proporre la auto-moderazione dei consumi e dei rapporti. A questo elenco si potrebbero aggiungere tanti altri particolari da proibire.
Crescendo, non ho mai messo in dubbio la verità di questo segreto. Ma, probabilmente perché non ho mai messo a posto la testa del tutto, ho cercato di praticarne solo ciò che mi appariva come l’essenza, e cioè ho cercato di contenere i miei consumi, in generale, poiché mi reputo un animale pensante e non solo una parte del target di qualche pubblicitario. Ma, confesso, qualche volta mi sono pure detto che, tutto sommato, se dovessi rispettare alla lettera le condizioni imposte dal Matusa, non troverei poi così interessante la possibilità di vivere così a lungo.

 
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