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Insegnami a essere figlia.
Post n°551 pubblicato il 05 Marzo 2013 da lascrivana
Mi sembra ancora di udire la voce squillante di mia madre, mentre mi urlava dalla cucina: -Danìì! Fai attenzione a Micheluzzo quando si sveglia! Ora invece vieni qui in cucina a dare un occhiata alla minestrina che io devo scappare al lavoro- -Ma mamma! Devo ancora finire di fare i compiti!- -Ma quale compiti e compiti! A che ti serve studiare? Femmina sei, e per fare figli e mantenere la casa, non ci vuole di certo il diploma figlia mia. Come arrivi alla maggiore età ti devi maritare con un bravo ragazzo; lavoratore innanzitutto, che ti porta il pane a casa. Anzi prima è meglio che ti porti la casa-. Non ha fatto altro che ripetermi sempre le stesse cose per anni. Non potevo uscire a giocare con le mie amiche senza che mi portassi dietro Michele. Non potevo distrarmi nemmeno un secondo, perché se lui si faceva male, le buscavo io. Ricordo che un giorno cadde e si sbucciò il ginocchio malamente, grondando sangue fino a casa. Non dimenticherò mai la drastica reazione di mia madre; dopo aver pulito e fasciato la ferita a Michele, mi venne a cercare dove mi ero nascosta (dietro al bidone della spazzatura, inalando quell'orribile puzza di marcio per oltre mezz'ora)e mi fece salire le scale trascinandomi per i capelli. Quando qualche volta provavo a lamentarmi delle mie gravose responsabilità; mi rammentava sempre della sua infanzia e di tutte le difficoltà che aveva affrontato lei: -Ma tu che ne sai di quello che facevo io da bambina? Per fare il bucato mi recavo con la vasca piena di panni sulla testa fino alla lavanderia comune, che si trovava quasi alla fine del paese a 500 metri di distanza da casa, e per mano tenevo pure lo zio Gianni; che all'epoca era ragazzino terribile-. Zio Gianni era il fratello più piccolo di mamma; e così che la storia sembrava ripetersi senza fine. Anzi a quanto pare io, ero pure più privilegiata, perché almeno non dovevo fare il bucato a mano. Da quando eravamo emigrati al nord per lavoro, i miei genitori si erano modernizzati in tutto: tranne che per gravare il peso della casa sulla figlia femmina. Era già tanto che mi mandavano alla scuola elementare, perché era d'obbligo e non potevano farne a meno, altrimenti mi avrebbero tenuto a casa pure la mattina per badare a mio fratello e rassettare la casa. Comprendo anche i sacrifici di mia madre che si trovava costretta a fare solo i turni pomeridiani e notturni, nella fabbrica dove lavorava, per potersi occupare di Michele la mattina, quando andavo a scuola. (Continua...) L@ur@
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