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Colpevole o innocente: A un passo dalla fine
Post n°1018 pubblicato il 16 Giugno 2015 da lascrivana
Mi risvegliai alle prime luci dell'alba, il corpo indolenzito e teso. Non avevo mai dormito sul divano, e solo ora ne capivo il motivo. Andai in cucina e mi preparai un caffè, mi sentivo stordita. Seduta al tavolo, mi guardai attorno. Era la mia casa ma, nonostante questo, non ne trovai conforto. La situazione non riusciva a farmela vedere in questo modo, non la sentivo più come mia. Prigioniera tra le mura amiche, impossibilitata a comunicare e a vivere, mi sentivo soffocare. Cesare. Il solo pensiero mi fece rabbrividire. Avrà letto la lettera? Mi avrà creduto? Improvvisamente, mi accorsi di desiderare l'arrivo dell'avvocato più di ogni altra cosa. Mi aveva promesso che, in mattinata, sarebbe passato con la risposta di Cesare. Ma sarebbe arrivata quella risposta? Si, non avevo dubbi. Avrei voluto vestirmi e andargli incontro, ma la paura di tornare in carcere era immensa, non avrei potuto sopportarlo. Respirando a fondo, posai la tazza nel lavello e tornai in camera da letto. Mi preparai con cura, cercando di non pensare a nulla ed evitando di guardare l'orologio. Il campanello mi fece sussultare. Di corsa, raggiunsi la porta, una scarpa calzata e una no. Senza nemmeno chiedere chi fosse, pigiai sul tasto d'apertura più volte, quindi tornai verso il divano. Trascorsero un paio di minuti durante i quali, sempre più agitata, non smisi un istante di fissare l'ingresso. Incapace di resistere oltre, mi precipitai verso la porta e la spalancai.
-Ciao stronzetta- Il cuore mi mancò di un battito mentre la vista, improvvisamente, si appannò. Ritta sulla soglia, le mani sui fianchi, Miriam mi guardò sorridendo. -Ma che bella casetta che hai, stronzetta, complimenti- Senza darmi il tempo di reagire, mi spinse all'interno con violenza. Dietro di lei, altre due donne fecero irruzione richiudendosi la porta alle spalle. -Adesso facciamo due chiacchiere, stronzetta, che ne dici?- Paralizzata dalla paura, non riuscii a spiaccicare parola. In quella confusione, l'unica cosa che mi venne da pensare era che avessero liberato anche loro. Assurdo. No, erano evase, e volevano farmi fare la stessa fine di Paula.
Guardandosi attorno, l'uomo ripassò per l'ennesima volta davanti al portone. Si, l'indirizzo era quello esatto. Alzando il bavero dell'impermeabile nero, diede una scorsa ai campanelli. Era venuto a conoscenza della notizia quasi per caso. Raramente leggeva i quotidiani ma, un paio di giorni prima, aveva fatto un eccezione. Quando aveva visto l'articolo, per poco non aveva rovesciato la tazzina di caffè. Il pezzo, che occupava una pagina intera, descriveva i motivi per cui, a Rachele Camozzi, erano stati concessi gli arresti domiciliari per l'omicidio dell'antiquario Poretti. Qualche mese prima, abilmente camuffato, aveva seguito le varie fasi del processo con costanza e pazienza. Alla lettura della sentenza aveva tirato un sospiro di sollievo quindi, attardandosi all'uscita, aveva visto gli agenti scortare la ragazza verso il carcere. E l'aveva guardata negli occhi. No, non avrebbe dovuto temere nulla da lei, nessuno le avrebbe mai creduto. Nonostante questo, uno zelante avvocato era riuscito a instillare un dubbio nei giudici, e questo non era un bene.
In quel momento il portone si aprì e una donna anziana, con tanto di trolley, si affacciò sulla strada. L'uomo ne approfittò immediatamente. Prima che si richiudesse, riuscì a fermarlo con una mano senza che la donna se ne accorgesse. Un istante dopo, salì le scale con calma. Danio |
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