QATARGATE

È «Qatargate»?

Se solo fosse meno noiosamente perfetto, ovvero meno incline a una forma perniciosa di politicamente corretto, che direbbe Mario Draghi del Qatargate? Ovviamente avrà già scrollato lo smartphone alla ricerca di notizie, oltre a quelle di prima mano, riguardanti la corruzione del Parlamento europeo; ma sarà incappato in qualche editoriale che lamenta un silenzio ostinato da parte di signori che fino a prima di Soumahoro, e immemori del caso Mimmo Lucano, pretendevano di fare la morale a chiunque?

Uno degli slogan preferiti da chi si espone per lavoro è: bisogna essere garantisti. Ma anche di fronte all’evidenza di reato, ai sacchi di contanti tenuti in casa come un tempo Poggiolini col suo pouf? Forse questo post risente di qualche ibridazione di troppo, ma a me interesserebbe davvero l’opinione di Mario Draghi, del superuomo che forte di un carisma adamantino si è imposto sulla scena internazionale in modo così bruciante da suscitare scie di ammirazione che lo accompagneranno fino alla tomba. Dunque, che si pronunci il Supremo, ci indichi la via. Dica in cosa possiamo ancora credere.

Foto: Eva Kaili con il ministro del Lavoro del Qatar, Ali bin Samikh al-Marri, a fine ottobre.